di BRUNO GEMELLI
Catanzaro è la città dei ponti, oltre che del vento. Il viadotto più conosciuto è il ponte Bisantis (il politico che lo sponsorizzò alla fine degli anni ‘50), progettato dell’ingegnere Riccardo Morandi, lo stesso che ideò il viadotto Polcevera a Genova, crollato il 14 agosto 2018 per cattiva e colpevole manutenzione.
All’epoca della realizzazione il ponte Bisantis di Catanzaro era il secondo ponte ad arco singolo in calcestruzzo armato in Europa e nel mondo per ampiezza della luce, dopo lo svedese Sandöbron. Oggi è il 3° in Europa per altezza (dopo il Pont du Gueuroz e il Ponte di Los Tilos), 11° in Europa per luce e il 1° (e unico) in Italia per luce, altezza e lunghezza. Quest’ultimo è probabilmente il primato più notevole del ponte Bisantis.
Molto prima del Bisantis nel capoluogo c’era un unico ponte, quello di Siano che congiungeva (e congiunge anche se ora non è frequentato) il centro storico al quartiere est della città. Questo ponte, che sovrasta la vallata del Musofalo, fu progettato dagli ingegneri Giuseppe Cefalà e Antonio Leone e venne costruito dalla ditta “Sacripante ed Emanuelli” di Roma tra l’ottobre 1928 e i primi anni ‘30. Tale ponte era tristemente famoso perché il sito preferito per i suicidi. Lugubre modalità poi trasferita al ponte Bisantis che, però, oggi è stato dotato di barriere di protezione che tentano di scoraggiare gli insani gesti.
Il ponte di Siano, (struttura ad arco unico con un’altezza massima di 54 metri), fu anche teatro di tanti misteri, ancor’oggi inspiegabili.
Il più clamoroso riguardò un muratore di 19 anni, Giuseppe Veraldi detto “Pepè”, il cui corpo esanime fu trovato alle 8 ore del mattino del 13 febbraio 1936. Un caso apparentemente semplice che, dopo una breve indagine di routine, venne archiviato dalle forze dell’ordine come suicidio nonostante non ci fosse una spiegazione per quel gesto inconsulto; e, a detta di amici e parenti, il caso venne chiuso.
Qualche dubbio sul suicidio di Giuseppe, tuttavia, rimase anche se non se ne parlò più; almeno fino al 1939. Quando entrò nella storia, mai chiarita, lo strano caso di Maria.
Le cronache del tempo riportarono questa notizia: «A circa 3 anni dalla disgrazia, il 5 gennaio del’39, sul passaggio di quello stesso viadotto, accade qualcosa di inimmaginabile. Un gruppo di adolescenti della zona stanno attraversando il ponte, quando una di loro, Maria Talarico, 17 anni, avverte uno strano malore. Quello che sembrava un normale giramento di testa, si trasforma in una crisi convulsiva che si rivelerà essere una crisi mistica. La ragazza viene subito accompagnata a casa, ma è quando si riprende che le cose iniziano a prendere una piega strana. La voce e gli atteggiamenti di Maria assumono toni maschili, non riconosce quell’abitazione come sua e insiste per parlare con la sua “vera” madre. Si fa accompagnare in Rione Baracche alla ricerca di Caterina Veraldi che al momento però non si riesce a reperire. Non vi dice niente il cognome Veraldi? Esatto, la donna in questione, la presunta “vera madre”, è la mamma della giovane vittima del ponte. Prima di essere riaccompagnata a casa, Maria, lascia sul portone di un palazzo un biglietto per la donna. Quando la signora Caterina riceve il messaggio è sotto shock, tanto per il contenuto quanto per la calligrafia che pare quella del figlio defunto. La donna si reca dai carabinieri e il caso viene riaperto. Il biglietto verrà successivamente allegato agli atti dell’indagine, ma cosa c’è scritto di così importante?
Da quel momento in poi l’antico viadotto fu definito “il ponte maledetto”.
A Socrate viene attribuita questa frase: «Infatti, cittadini, aver paura della morte non è nient'altro che sembrare sapiente senza esserlo, cioè credere di sapere quello che non si sa. Perché nessuno sa se per l'uomo la morte non sia per caso il più grande dei beni, eppure la temono come se sapessero bene che è il più grande dei mali. E credere di sapere quello che non si sa non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza?». E Albert Einstein aggiunse: «Quello che è più incomprensibile è che ci sia ancora qualcosa di comprensibile».
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