Il prof Bilotti: “Oggi i rave e ieri la dance hall”

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Domenico Bilotti
  01 novembre 2022 08:23

di DOMENICO BILOTTI*

Arriva, rinforzato rispetto a progetti pregressi e attese degli ultimi minuti, il reato di invasione di terreni e edifici finalizzati a riunioni di più di 50 persone. La scelta è tutta politica, poco ha a che fare con la tecnica legislativa: è stata l'immediata risposta al lungo e controverso rave party di Modena Nord, svoltosi perdipiù in una struttura che ha dalla sua svariati capi di inagibilità. 

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Se ci chiedessero cosa pensiamo dei rave party (tema che non è qui in discussione), avremmo facilità a dire che c'è rave e rave, al di là se incontrino o meno i nostri gusti. Ci sono quelli molto incentrati sull'aspetto musicale, con dj che puntano all'effetto cinematico delle loro basi; ci sono quelli radicati in alcune piccole realtà sociali, non solo della sinistra antagonista. E ci sono ovviamente quelli in cui tra interessi esterni, malaffare e passaparola l'uso e la cessione di sostanze stupefacenti sono ritenuti coessenziali alla fruizione: soprattutto (ma non solo) sostanze altamente chimiche per abbattere il misuratore orario della fatica, della prestazione, dei limiti biologici che sono il nostro salvadanaio e la nostra sentinella. Quest'ultima ipotesi è evidente non meriti sostegno. Ci induce piuttosto altre riflessioni, in primis quella contro una società che ha introiettato sempre di più il principio prestazionale come suo unico scopo (sapientemente mescolato alla massima visibilità possibile di quel principio prestazionale). Basti pensare alla diffusione di certe sostanze nei settori della cantieristica, dell'autotrasporto o dell'analisi bancaria speculativa. Per non dire di troppi locali "borghesi" (sia i rampanti sia gli impoveriti) delle nostre città "bene". Per certi versi i rave combinano contraddittoriamente due forme del rapporto tra società e droghe: da un lato, il vincolo di resistenza esibita ed espansione di consumo; dall'altro, quello di annichilimento fino all'ossimorica negazione-affermazione del sé. 
Andando nel concreto, il nostro sistema non sembra faccia moltissimo per risolvere le dipendenze, visto che i veri vettori di intervento sono sempre quelli di una ospedalità procedimentale e disciplinare della dipendenza (somministrazione palliativa, regolarità analisi, introduzione disincentivante o rimozione premiale di divieti alla persona). Servirebbe una lettura integrata, che è anche in diritto il solo spazio tecnicamente efficace e possibile di sicurezza sociale: assistenza psicologica, mappatura aggiornata del fenomeno, consultazione medica, regolarizzazione a fini di comprensione e abbandono del proprio percorso di dipendenza. 

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Ci premeva dire ciò perché tra gli illeciti che possono essere commessi in un rave e gli effetti deleteri del narcotraffico ci sono connessioni, ma non sovrapponibilità. E qui rientra dalla porta ciò che credevamo di aver scacciato dalla finestra: la doppia faccia della legislazione emergenziale, della norma usata come rassicurazione momentanea, del farmaco che lenisce solo nel breve periodo gli effetti e la percezione della malattia. Se si doveva colpire la pratica dei rave (abbiamo visto senza ipocrisie che essa può avere avuto alcuni significati, ma i suoi disvalori non sono stati da meno), bisognava scriverlo. Messa così la fantomatica "invasione" di edifici e terreni inutilizzati per più di cinquanta persone ci dice poco sul piano specialistico e un troppo indistinto e pericoloso sul piano applicativo. In caso di un terremoto, gli abitanti di un quartiere privo di garanzie antisismiche operanti (la maggior parte dei nostri quartieri) si recano in un largo terreno pianeggiante dismesso e programmano un comitato di soccorsi. Stanno incorrendo nella nuova ipotesi di reato? Rischiano davvero i famigerati sei anni di massima pena edittale, quelli che, a proposito di rave e droghe, a volte non si vedono comminati nemmeno ai broker più o meno noti dell'acquisto internazionale di sostanze stupefacenti? 
Ricordo con divertito imbarazzo quando il brillante studente di un master in cui facevo una lezione, a proposito del 583bis del nostro Codice penale (in teoria nato per combattere la pratica dell'infibulazione in alcune comunità tribali, talora anche islamiche), ebbe a dirmi che la stesura della norma gli ricordava il piercing inguinale, più che l'escissione rituale. È proprio vero: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. 

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Prima dei rave, una generazione fa e una vita addietro, erano molto in voga le più brevi, modeste e forse salubri dance hall. Montepaone, Soverato, San Leonardo e chi più ne ha più ne metta. Quando accadeva nei dintorni qualche brutto fatto di cronaca nera, ingiusto e luttuoso come tutti i fatti di "nera", partiva l'immediato anatema a quei ritrovi più o meno spontanei, ma sostanzialmente pacifici e in regola, del tutto trasversali ad appartenenze politiche, stili di vita e persino anagrafe. E interi quartieri o lidi o posti si vedevano etichettati, tra Bronx e Babilonia (mi accorgo solo ora che nell'ordine alfabetico il mio cognome sarebbe proprio tra Babilonia e Bronx, perciò cambio registro). Quell'approccio era in qualche caso persino accorato, sovente genuino e tutto sommato spiegabile, quanto incauto, non risolutivo, anzi degradante per residenti e non. Sembra che i problemi si siano aggravati molto e noi nella prospettiva siamo invece rimasti fermi. Sia proprio questo che li fa aggravare?

 

*Docente dell’Umg

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