di PAOLO CRISTOFARO e CLAUDIA FISCILETTI
Prometeo: il titano amico degli uomini, del progresso, della libertà; il titano che affronta Zeus, che affronta il divino - subendone le punizioni - per liberare l'uomo, per portare il fuoco all'uomo. E proprio a Prometeo - e alla dualità racchiusa nel suo agire - il Teatro di Calabria, al Museo MARCA di Catanzaro, ha dedicato una rappresentazione, interpretata in occasione dei festeggiamenti per il 10° anniversario dalla fondazione della compagnia (LEGGI QUI). Gli attori lo hanno fatto unendo alla tragedia del titano, condannato a restare incatenato ad una roccia, alcuni uomini e alcune pagine della letteratura italiana.
Già nel corso dell'ultimo appuntamento - sempre al MARCA - avevano parlato dei personaggi di Manzoni. Questa volta sono stati protagonisti Francesco d'Assisi - ribelle, rivoluzionario, controcorrente, che va dal Papa per fondare un nuovo ordine, per riformare quasi le coscienze - e Italo Svevo, in chiusura, con un passaggio tratto dalla Coscienza di Zeno, laddove l'autore parlava dei pericoli a cui va incontro l'umanità, di quell'ordigno - suggestione che non può che far pensare alla bomba atomica - che potrebbe distruggere la vita sulla terra.
Fino a che punto il progresso umano porta benefici e quando, invece, porta alla distruzione? Su questo si sono concentrati gli attori del Teatro di Calabria. Già, perché Prometeo è luce, verità, crescita, presa di coscienza, libertà, è quasi umanesimo primordiale, un mito sulla dignità dell'uomo (volendo fare forse un'azzardata menzione anche al trattato di Pico della Mirandola). Ma Prometeo è anche responsabilità, è triste realismo, è frenesia, è tecnicizzazione dell'umano... Prometeo è forse anche illusione, illusione dell'uomo di poter controllare l'universo, superando gli dei.
E così il Prometeo messo in scena al MARCA (interpretato da Salvatore Venuto), urlava incatenato i suoi meriti. Il merito di aver dato la luce all'uomo, di aver dato la scrittura, i numeri, la base per il calcolo e per la memoria storica. Ma quelle catene - spiegate abilmente dal narratore del TdC, il prof. Luigi La Rosa - sono un segno inequivocabile di punizione, intanto per Prometeo, ma anche e soprattutto di avvertimento per l'uomo. "Le catene sono prodotto umano, della tecnica. Quell'incatenamento di Prometeo, forse, può essere capito meglio da noi oggi che da chiunque altro", ha detto La Rosa. "Giove ha voluto ricordare agli uomini che i mezzi, la tecnica - donata dal titano ribelle all'umanità - possono imprigionare l'umanità stessa oltre che liberarla", ha sottolineato. Già, perché talvolta, concentrandosi troppo sui mezzi, dimentichiamo i fini, dimentichiamo il senso della vita e del vivere, troppo impegnati a pensare a come prolungarla e migliorarla.
Ma anche Francesco d'Assisi, un po', è stato Prometeo. Ha cercato di allontanare gli uomini e la Chiesa dal legame col terreno, per tornare al divino. Ma ciò gli è stato rimproverato - sulla scena del MARCA nella rappresentazione immaginaria pensata dal TdC - da Papa Innocenzo III (il maestro Aldo Conforto), che gli da del pazzo, che lo accusa di essere come Prometeo, di essere un ribelle. Il lamento di Prometeo, prima incatenato da Zeus e poi fatto sprofondare nel Tartaro (perché rifiutatosi di rivelare a Mercurio il suo segreto su come lo stesso Zeus perderà il trono) è stato accompagnato dalle voci del coro di accompagnamento, Mariarita Albanese, Anna Maria Corea, Alessandra Macchioni, Marta Parise. Nei panni di Mercurio (Hermes), invece, l'attore Paolo Formoso. Al termine dell'incontro i saluti e i ringraziamenti della presidente del Teatro di Calabria, Anna Melania Corrado.
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