di GIANPIERO TAVERNITI
Non e’ il solito pezzo, dove si criticano le scelte politiche del governo, dove si incita a consumare calabrese , dove si difendono i beni archeologici di questa regione, sempre piu abbandonati,ma si tratta di un racconto, di un anziano di un paesino in provincia di Reggio Calabria, del borgo di MONASTERACE, conglomerato urbano che con le sue abitazioni ammassate una in parte all’ altra, assomiglianti a dei petali stretti, compongono la rosa , che nel Cuore , profuma della storia del suo castello medievale.
Paesino dalle nobili e preziose origini magno- greche nella frazione Marina, come nobili e importanti sono quelle che vi andremo a raccontare del borgo e delle sua civilta’ contadina, che curava il territorio e ne portava dell’utile,rendendo vivo un bel borgo che nel passato era molto popolato e si svolgevano diverse attivita’.Il frutto del racconto sembra un set cinematografico, con tanto di figure , nomi e soprannomi che nella loro bellezza non hanno del virtuale ,bensi sono espressione popolare di una reale vita nel borgo, che con oggi non e’ rapportabile e paragonabile, visto lo spopolamento e le politiche deficitarie e poco produttive per ripopolarlo a dovere, riscoprendo e alimentando un piccolo racconto, di una perla brillante negli occhi del caro anziano che ce l’ha raccontata.E'una serata fredda ,fra il Santo Natale appena trascorso e il Capodanno ,il dialogo inizia con una gag, del tipo , l’arzillo anziano chiede se siamo della televisione? La risposta mia e’ stata , no siamo qui per intervistarla , per conoscere la storia del nostro paesello…alla risposta, l’anziano ride e sogghigna dicendo :”ALLURA ASSETTATEVI..”
Allora sedetevi. Seduti in una accogliente cucina, condividendo una zeppola calda e un bicchiere del suo vino e qualche mandorla tostata, comincia il racconto, dove si denota subito nostalgia e voglia di rivivere quei periodi, anche solo attraverso una piccola intervista,esordisce dicendo….”Chi pajisi chi avivamu” Che paese che avevamo, SI PRODUCEVA DI TUTTO, si lavorava sodo e le famiglie erano unite come gli anelli di una catena, salde e passionali,tra vicini ci si scambiava vivande , si lavorava assieme e la religiosita’ di ognuno ci univa sempre più. In questo racconto citeremo persone realmente esistite, con nome , cognomi o nomignoli, per ricordarne la loro distintiva laboriosita’ , cominciando dai “troppiti” frantoi, a Monasterace ve n’erano ben sette, si partiva da quello dei MAGNINI, a chidu e Mastru QUARANTA, passando e chidu e NDRIA USSIA e chidu e COLA ARMOCIDA, senza scordarci quello di GIUSEPPE QUARANTA(u patra do medicu) ,per finire a quelli di Francesco QUARANTA e Vincenzo SINOPOLI.
Troppiti che trasformavano i raccolti delle nostre belle olive piccole e sostanziose in un olio speciale di collina, che rendeva economia a tanta gente.Dopo qualche battuta , l ‘anziano, ricorda anche il mulino do Mulinaru e PEPPI da RUSSA, dove si portava il grano autoctono della zona , il senatore Cappelli, grano di ottima qualita’ che denotava la bellezza della sua spiga , oltre che la resa in qualita’….”u pana era pana, non comu a ojia”, una precisazione dell ‘anziano che rafforza l’attuale problema del prodotto che oggi circola nel settore. Dopo olio , grano , si aggiunge una risorsa, la pastorizia, paese che l’ha praticata da sempre,si ricordano su tutti PEPPINU U BOVISI e Peppinu QUARANTA, il primo addirittura aveva origini di Bova, nelle sue lavorate stanziali con greggi, dormiva riparato con gli animali in catoii abbandonati del borgo, storie antiche di grande umilta’ e sacrificio.Nel cuore del racconto, aumenta la gioia di chi racconta, perche ‘ rivive il suo Pajisi, nei ricordi rispolverati, che nessuno gli ha mai chiesto, per tutto il borgo si spandevano botteghe artigiane, “putihi”, artigiani del legno, partendo da Mastru BASILIU, passando per Peppino BARLETTA e concludendo con NDRIA MOSCA e Nicodemu Bumbaca, NELLE VIUZZE POPOLATE si sentivano gli attivi FORGIARI, lavoravano il ferro , preparavano gli zoccoli adi “nimali”, ndavia tri, li ricorda con grande precisione , il primo era Mastru VICENZU, poi Mastru GIORGIU e infine c’erano la coppia NDRIA ARMOCIDA E GALLELLI.A queste attivita’ si aggiungono quattro “barveri” con Cola e Parma, Ndria MIRIELLO, Rafeli BRESSI e Tiberio ORIGLIA.In un borgo , calcolando i tempi vi erano anche quattro “Custureri”SARTI, che confezionavano indumenti alla comunita’, erano Mastru LUICI, Ndria Miriellu , Rafeli BRESSI e Mastru Giovanni.Nella piacevole chiaccherata da macchina del tempo, si denota la fresca memoria e la felice brillantezza nel ricordarmi queste persone , queste uomini che fecero vivere MONASTERACE CENTRO, erano trainanti nella comunita’ unita, erano personaggi, che avevano grande cuore e dedizione al lavoro,si lavorava duro , ma ogni tanto si trovava il tempo di gustarsi un bicchiere di vino , o di bere un caffe d’orzo, c’erano due “bar”,uno di Paolo RUDI (da TITTA) e l ‘altro e Leonardo COMITO, u pajisi era vivu non ndi macava nenta, c’erano due PUTIHI, definirle drogherie , alimentari, di oggi, una da PREIATA e l’altra di Paolino BONAZZA nta Porteda,in questo dialogo, piacevolissimo, una frase colpisce, quella dell ‘anziano che ripete spesso,quella che recita”Stacivama mejjiu , quandu stacivama pejiu”, tradotto vuole dire , si stava meglio , quando si stava peggio ed i tempi non erano come oggi….Non mancava a GUCCERIA , l attuale macelleria, era di Mastru Vicenzu AGOSTINO, andavano bene i”SCARPARI” attuali calzolai, che aggiustavano scarpe da lavoro, ci facevano qualche ciontura in vera pelle animale e ci vendevano le stringhe in cuoio,ricorda bene che c’erano Mastru Giorgiu CHIARAVALLOTI, Cenzu DIANA e mastru NICOLA.Da questo racconto emergono ,le chiese , ve n’erano quattro dal Duomo (Chiesa Esaltazione della Santa Croce), alla chiesa di S.NICOLA da Bari, entrambi esistenti e praticate dal culto cittadino, a queste si aggiungono al chiesa della Madonna del Rosario e di S.Caterina d’ALESSANDRIA, demolite e crollate nel corso degli anni, chiese che venivano frequentate dai fedeli e dai cantori, che vale la pena citare da U Bati, a Luiginu Vasile, passando da Vici CUTERI(tamburrinaru), Guerinu ANANIA , Giosi da JANNARA , Ciccio e Cola PUNTURI,non mancavano le donne, che cantavano sempre e puntuali durante i Vespri, ricordo queste ma ve n’erano altre…da Marianna , a Franceschina da TRIPPA,a Jolanda NISTICO’, per concludere a MARIA da Perdominica.
Nella conclusione della chiaccherata, vuole ricordare che venivano mercanti a vendere stoffe, che i nostri sarti e concittadini compravano , durante il periodo delle feste e si facevano confezionare l’abito nuovo per la festa di S.Andrea e S.Nicola…era un paese vivo, la sua soddisfazione nel rimarcarlo e’ palesemente visibile,felicita’ che si tramuta in una frase molto significativa, ossia “Sugnu felici ca venistavu u mi trovati”(Sono felice che siete venuto a trovarmi),la sua felicita’ contagia anche me, perche’ denoto in questa frase il vero Cuore del Monasteracese accogliente e cordiale, nella sua umile spassionata amicizia..Nella mia personalissima esperienza vissuta e cercata, con il dialogo con questo anziano ho vissuto Monasterace viva e reattiva del dopoguerra,un paese che cercava di emergere dalla poverta’ con il lavoro , lo sfruttamento delle sue risorse territoriali, stesso paese che oggi deve riscoprire i suoi tesori e la sua identita’ originale nelle sue frazioni, rispolverando le sue culture contadine e marinare, tenendo con grandi progettualita’ i giovani, per continuare a farlo rivivere come gli anziani , oggi ci raccontano avendo nostalgia del passato e notando il flebile decadimento nell’ era moderna.La sfida e’ ardua, ma bisogna compierla conoscendo bene il proprio passato brillante, per dare una luce chiara e produttiva al futuro. CARISSIMO NONNINO do PAJISI , permettemi di ringraziarti , perche ‘con la tua umile ospitalita’ e contentezza, ci hai fatto rivivere la macchina del tempo del dopoguerra, con riferimenti a persone e cose reali.
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