Il ricordo di Franco Cimino: "Si è spenta la voce di Marisa Provenzano, la sua poesia resta"

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images Il ricordo di Franco Cimino: "Si è spenta la voce di Marisa Provenzano, la sua poesia resta"

  28 marzo 2020 21:28

di FRANCO CIMINO

E che, muoiono pure i poeti? E muoiono così come qualsiasi altra persona, all’improvviso senza neppure un saluto, una parola? E muoiono così anche in questo grigio tempo di dolore e morte, quando una loro poesia potrebbe restituire il mondo alla vita, colorare il cielo annerito di polvere e fango? Muoiono pure nel sonno, trattenendo in petto le loro parole che stavano per alleggerire il pianto dei dolenti, riaprire di sorrisi le labbra serrate di un popolo e le finestre serrate delle case? No, non è possibile, non può essere così.

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Marisa Provenzano era una donna piena di vita, di baci, di abbracci, di carezze e di sorrisi, che spargeva, con quella fisicità che partiva dagli occhi luminosi d’azzurro cielo, a chiunque volesse bene o ne avesse bisogno di suo. Pensare che potesse morire presto e nel “battito d’un sospiro”mentre la sua Città più muta silenzia nella notte, è un assurdo della logica. Però, è accaduto.

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La notizia che sembrava circolasse come una delle tante false notizie in movimento, un incubo di breve durata, uno scherzo di cattivo gusto, una minaccia del riflesso della paura odierna, è purtroppo vera. I giornali e le agenzia di stampa locali l’hanno battuta tra le prime di questo sabato cruciale per il destino del coronavirus. Il dolore vero, forte e sincero, sale nella nostra comunità man man che il tragico fatto passi di bocca in bocca, di chat in chat, di telefono in telefono. Il lutto da privato si fa collettivo. Fasciato idealmente di nero sia il gonfalone di Catanzaro, la sua città tanto amata da dedicarle molte delle sue fatiche letterarie e quel sano orgoglio identitario che lei manifestava in giro per l’Italia quando partecipava, sempre con successi premiali, ai più importanti concorsi di poesia. Ci teneva a dire, ovunque andasse, di essere nostra, di appartenere a questo luogo, di cui conosceva, anche per essere vissuta quasi sempre in pieno centro, tutti “i basuli e i petri de muri”, come amava dire con il suo dialetto confermativo della storia dei padri e della sua insistita identificazione con la Città.

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Lei, studiosa e innamorata della lingua italiana, quando si arrabbiava un po’ o voleva sdrammatizzare qualche spiacevolezza, superare sterili polemiche o alleggerire una situazione, parlava “u catanzarisa strittu”. Poche battute accompagnate dalla sua classica risata e via, il “ tuttapposto”convenzionale diventava una nuova scena, quella dell’amicizia e del buon vicinato. Marisa era così, una persona speciale, genuina, sincera, per nulla ipocrita. Se sentiva di avere sbagliato per distrazione o stanchezza verso qualcuno, se ne dispiaceva molto e non esitava a chiedere scusa. Di questa persona e del suo animo, che io ho toccato con il mio, voglio dire oggi. Della poetessa fine e della letterata profonda, diranno i critici accreditati e i poeti veri, come il suo amico fraterno Franco Brescia quando si sarà liberato del pianto che lo sta invadendo da stamattina o come il grande calabrese a Milano, Ottavio Rossani, poeta anch’egli, che mi ha promesso di approfondire parte della sua poetica e di parlarne nei suoi consessi. Certamente ne parlerà, degnamente celebrandola, l’Amministrazione Comunale quando tutto sarà restituito alla normalità.

Dico soltanto, lei me lo consentirebbe sicuramente, che la sua poesia, al di là dei canoni classici e moderni usati, e quella forma didascalica dai forti richiami romantici, è poesia sociale. Anche politica in senso lato. Politica non intesa come esternazione di un pensiero o una ideologia di parte, alle quali la sua scrittura non fu mai interessata, ma come promozione della cultura. E, attraverso di essa, di una nuova coscienza che portasse sempre più persone a guardare con i propri occhi e sentire con il proprio cuore la realtà in cui vive. Per cambiarla radicalmente o almeno migliorala. Come dovrebbe accadere per Catanzaro, ancora troppo sofferente anche per il continuo depauperamento della sua bellezza. La Poesia può cambiare e le persone e i luoghi. Può cambiare soprattutto l’uomo, in quanto maschio che si porge alla donna con l’ignoranza che lo veste di prepotenza e aggressività prima ancora che della violenza di cui parlano le cronache o le stanze mute delle molte donne abusate e violate nel corpo e nella dignità.

Marisa ha fatto di questa sensibilizzazione una delle sue insistenti, coraggiose, gentili, battaglie sociali. Una delle più belle che si siano viste a favore della donna e della libertà della persona, non solo in Calabria. Lei era poetessa per istinto e vocazione. Lo era anche per passione. Questa le proveniva con forza dalla parola. Marisa amava la parola. La studiava in profondità, cercandone sempre non solo i diversi significati che la nostra lingua ampiamente offre, ma la forza imponente in essa contenuta, al di là della stessa significazione etimologica. Amava la parola, ma di più la lingua italiana, sistema quasi scientifico che la sapeva curare e magnificamente impiegare. Rispettava, quasi commossa, coloro che la lingua italiana non potevano conoscere per la necessità di procurarsi da vivere o perché impediti nello studio dalle condizioni strutturali e sociali in cui sono vissuti. Non sopportava, però, gli ignoranti di professione, i “ciucci” per intenderci, quelli che non hanno voluto studiare, non studiano. Quelli che utilizzano la loro ignoranza come arma d’assalto della loro stupidità e presunzione, o come alibi per la propria incapacità di apprezzare la bellezza e capire la sofferenza degli ultimi. Quelli, in sostanza, che specialmente se laureati e professionisti, sfregiano la lingua, forzano la sintassi, offendono la grammatica o stracciano il vocabolario quando usano una parola con un significato diverso da quello che essa possiede.

Tutta questa sua “ indisponenza” Marisa la manifestava, però, con gentilezza ed ironia, mai con cattiveria, di cui lei, come Donna e Poeta, non era davvero capace. La sua spiccata intelligenza, tra l’altro, rendeva più divertente e puntuale questa leggerezza espressiva. Si divertiva sugli “scempi” culturali, sdrammatizzando e correggendo. L’ultimo suo “gioco” senza offendendere alcuno, è proprio di tre giorni fa, quando sul suo profilo faceebook pubblicò un lungo elenco di errori sintattici e grammaticali, morfologici direi anche. Da un lato l'espressione errata, dall’altro quella corretta. Insomma, lei che non era mai di fatto scesa dalla sua cattedra di professoressa di italiano, ammoniva insegnando. La sua ironia si arrestava dinanzi ai drammi umani e al dolore della gente, specialmente dei diseredati e delle persone sole. In questi giorni di guerra del virus , ha pensato, commossa fino alle lacrime, agli anziani che muoiono soli. Con quelle lacrime ha scritto una breve esortazione alla vita, pubblicata da qualche parte, di certo sul suo Facebook e che a questo giornale chiedo di riproporre.

È breve ed è poesia pura, una narrazione quasi scenica di quello che sta accadendo in questi giorni agli anziani, costretti dalle regole a una doppia solitudine e al rischio, per tanti, di una duplice morte. Quella di cessare di vivere per le varie complicanze rispetto al male che facilmente in quei polmoni induriti dilaga, e quella di morire senza una carezza familiare che non fosse quella dello sguardo di pietà di chi li cura. Marisa ne parla con sentimento di pietà e anche con compassione piena, mettendosi non nei panni di quelle persone, ma, lei, donna che teneva alla sua eternata giovinezza, accanto a loro. Anziana tra gli anziani, per respingere con vibrata indignazione l’idea, sempre più estesa in questa società edonistica, secondo la quale quanti hanno superato una certa età siano da considerare vecchi e basta. Quasi pesanti ingombri, che occupano molto spazio anche nei cimiteri. Inutili esseri che hanno perduto lo stigma umano.

Quanta grandezza vi è in questo suo pensiero! Tanta che ti viene da piangere quando le sue vibranti parole ti entrano in petto come un monito, ti scorrono nelle vene come uno stimolo a “farti vecchio” qualsiasi sia la tua età. E quando ti entrano nel cuore per farsi preghiera. Quella che sicuramente lei ha ascoltato ieri sera dalla voce di Francesco, davvero il padre santo di questo mondo da troppo tempo orfano del padre. Chissà che bella bella poesia dalle sue mani avremmo letto oggi! Forse, non era per noi. L’avrà già portata agli angeli, che ce la leggeranno domani.
 



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