di PAOLO CRISTOFARO
Un avviso di garanzia che ha bussato alla porta di un carabiniere. Un'indagine riguardante un fatto grave: il presunto concorso in estorsione con metodo mafioso ai danni di un imprenditore calabrese. Per questo un luogotenente dell'Arma in servizio in Calabria, era stato sospeso dal servizio per 8 mesi, in attesa delle verifiche giudiziarie. Ora una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (presidente: Giancarlo Pennetti; estensore Francesca Goggiamani), dietro ricorso dell'interessato, difeso dall'avvocato Ferdinando Palumbo, ha annullato il provvedimento. Alla base della decisione la complessità delle indagini e la titubanza dei pentiti nel raccontare il fatto.
Nel dispositivo di sentenza si legge, infatti, che "nella relazione finale dell’ufficiale inquirente è lo stesso organo ad affermare in diversi passi la complessità delle indagini, la carenza allo stato di sufficienti elementi di prova al di là dell’imputazione da parte del Pubblico Ministero e il mancato vaglio delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia da parte dell’Autorità giurisdizionale giudicante". I giudici rimarcano che "le gravissime accuse rivoltegli dai collaboratori di giustizia, sono ancora da dimostrare nel corso giudizio/dibattimento". E' scritto che "l’esame delle dichiarazioni dei collaboratori che induce a sussumere i fatti addebitati in fattispecie con insufficienza di elementi conoscitivi. Le dichiarazioni sono acquisite dei pentiti nei rispettivi verbali di interrogatorio di persona indagata o di persona indagata in procedimento connesso".
In particolare uno dei pentiti non ha saputo riferire chi fosse il Maresciallo intervenuto nella vicenda ed ha affermato che una terza persona ricevette telefonata di intimazione del Carabiniere a tralasciare la richiesta estorsiva. Il militare, dunque, stando alle dichiarazioni, avrebbe avuto notizia della richiesta estorsiva, ma avrebbe minacciato gli autori allo scopo di farli desistere. Ma l'incertezza appare chiara, dato che il collaboratore prima (2016 ) ha affermato di non ricordare chi fosse il militare (né le sue fattezze), per poi dire, due anni dopo, nel 2018, in un primo momento che non l’avrebbe saputo riconoscere e in seguito averlo riconosciuto in foto. Uno dei collaboratori, accusando il militare, aveva riferito di non averlo fatto prima perché questo lo aveva fatto arrestare e di essersi deciso solo dopo collaborazione. Data la complessità della vicenda, non ancora conclusa, e la difficoltà nell'addebitare al luogotenente dell'Arma, con assoluta certezza, le accuse rivoltegli, il Tar ha annullato la sanzione della sospensione dal servizio, non riconoscendo però la richiesta risarcitoria.
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