Il Tribunale di Palmi condanna l'Espresso per diffamazione, Saccomanno (LEGA): " Riconosciuta l'estraneità di Cusato e Gioffrè dalla criminalità organizzata"

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images Il Tribunale di Palmi condanna l'Espresso per diffamazione, Saccomanno (LEGA): " Riconosciuta l'estraneità di Cusato e Gioffrè dalla criminalità organizzata"
Giacomo Francesco Saccomanno
  05 dicembre 2021 12:25

Rilevante sentenza emessa dal Tribunale di Palmi, Sezione Civile, Giudice Unico, dott.ssa Ginevra Chinè, che ha ritenuto diffamatorio un articolo del settimanale l’Espresso, condannando il giornalista Giovanni Tizian, il direttore responsabile Marco Damilano e l’editore Gruppo Editoriale GE.DI., al pagamento in favore di Vincenzo Cusato e Vincenzo Gioffrè dei danni subiti e quantificati in   7.000,00 euro, oltre interessi al tasso legale e delle spese legali. La vicenda nasce a seguito di un articolo comparso sull’Espresso in data 27.03.2019, dal titolo “ELEZIONI, LA LEGA PRIMO PARTITO A ROSARNO. TRA IMPRESENTABILI E LEGAMI CON LA ‘NDRANGHETA” e dal sottotitolo “Matteo Salvini sfonda al Sud e nel comune simbolo dello sfruttamento dei migranti nelle campagne. Dove il partito è rappresentato da personaggi che hanno intrattenuto legami di affari con esponenti della criminalità organizzata”, a firma di Giovanni Tizian. Nel contesto dell’articolo, dal titolo già abbondantemente denigratorio, venivano indicati, per giustificare tali presunti legami, tra l’altro, per Vincenzo Gioffrè, chiamato in causa per aver nel lontano 2000, appena maggiorenne, partecipato alla costituzione di una cooperativa e poi di un consorzio nel settore agricolo, ove vi erano due soggetti (Giuseppe Arfuso e Antonio Francesco Rao) non pregiudicati, né coinvolti con vicende mafiose. Altro passaggio, vi era poi per Vincenzo Cusato, incensurato, totalmente estraneo agli ambienti della criminalità organizzata, senza essere candidato e, quindi, senza alcun consenso elettorale, per essere il suocero di Domenico Bellocco, anch’egli incensurato. Per tali ragioni il giornalista affermava che grazie a tali soggetti la Lega aveva avuto un rilevante successo a Rosarno, divenendo il primo partito.

Ebbene, la sentenza con una ricostruzione certosina dei fatti e della giurisprudenza, ha affermato che già il titolo dell’articolo è di per sé diffamatorio, atteso che palesa un legame tra la Lega e i c.d. impresentabili e vicini alle cosche mafiose. Così come non si può trascurare il sottotitolo dell’articolo che è diffamatorio con riferimento ai ricorrenti, perché giudica soggetti “impresentabili e vicini alle cosche mafiose”. In relazione, poi, alla posizione di Cusato, il Tribunale ha statuito che l’autore per palesarne l’impresentabilità ed il legame con le cosche mafiose ha sottolineato che “è consuocero di uno dei reggenti del clan Bellocco, potente famiglia della ‘ndrangheta in Calabria”. Orbene, continua la sentenza, detta notizia -la cui oggettiva verità non è contestata- è inserita in un contesto diffamatorio, perché volta a rimarcare che il Cusato sia per ciò solo vicino alle cosche mafiose e, dunque, impresentabile ovvero non degno di svolgere attività politica. Il Tribunale ha ritenuto, comunque, questa ricostruzione una mera congettura e il sillogismo (genero di un mafioso ergo mafioso) oltre ad essere contrario ai principi di non colpevolezza … è fortemente contrario anche ai canoni etici, che dovrebbero accompagnare il diritto di informazione. Proseguendo il Tribunale afferma, ancora, che le notizie raccolte sul conto di Cusato, per il loro specifico contenuto e per la loro valenza essenzialmente neutra, essere consuocero di Bellocco, non potevano indurre nemmeno il sospetto di una possibile contiguità tra il ricorrente e la criminalità organizzata, salvo a voler considerare mafiosi tutti i soggetti imparentati agli stessi così da quantificare una mafiosità di genere e/o discendenza.

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Per quanto riguarda la posizione di Vincenzo Gioffrè, la sentenza afferma che le stesse considerazioni valgono per il medesimo, considerato dall’autore impresentabile e vicino alle cosche per avere avuto, in passato, rapporti di lavoro con soggetti successivamente coinvolti in processi per mafia. Anche in questo caso un fatto vero -l’avere fatto parte di una cooperativa dieci anni prima con tale Arfuso, personaggio vicino al clan Pesce e tale Antonio Francesco Rao, personaggio vicino al clan Pesce- è stato stravolto in maniera da rendere attuale il rapporto con  i pregiudicati, senza fornirne alcuna prova. Per quanto sin qui argomentato, la domanda di condanna al risarcimento danni formulata dai ricorrenti è meritevole di accoglimento anzitutto nei confronti del giornalista firmatario dell’articolo quale autore diretto della condotta diffamatoria.

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Per tale evidente denigrazione sono stati anche condannati il Direttore responsabile, Marco Damilano, e la società GE.DI Gruppo Editoriale S.p.a. Questi sono stati anche condannati al pagamento delle spese di lite.

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Gli avv.ti Giacomo e Roberto Saccomanno, difensori dei ricorrenti, hanno dichiarato che “finalmente giustizia è stata fatta e due galantuomini possono riprendersi quella dignità fortemente danneggiata e calpestata da articoli da tabloid scandalistici e che hanno distrutto due persone per bene per attaccare la Lega e Matteo Salvini. Una informazione che non ha nulla di serio e che dovrebbe far riflettere tutti prima di puntare il dito nei confronti di chi palesemente viene gratuitamente diffamato, per interessi personali e di parte. La sentenza del Tribunale di Palmi è importante per aver effettuato una ricostruzione in diritto e per aver, specialmente, riconosciuto la assoluta estraneità di Cusato e Gioffrè da pseudo rapporti con la criminalità organizzata. Un riconoscimento importante che, però, non può ripagare gli stessi dalle sofferenze che hanno subito in questi anni, unitamente alle loro famiglie. Questa è una battaglia di civiltà che serve per dare valore alla corretta informazione che, però, negli ultimi tempi ha perso di moralità ed etica”.

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