Il vescovo Bertolone sulla fede in tempo di pandemia: "Perché ha senso ancora pregare"
Mons. Bertolone con la reliquia di San Vitaliano
08 maggio 2021 10:24di VINCENZO BERTOLONE*
- Pregare per ottenere la fine della pandemia? Abbiamo cominciato il mese di maggio con due autorevoli appelli a pregare: la maratona di preghiera alla Vergine Maria (in Italia sono stati scelti i due Santuari della santa Casa di Loreto e della Beata Vergine del Rosario di Pompei), per essere liberati dalla pandemia che affligge i popoli di tutto il mondo; le nuove invocazioni per le Litanie di san Giuseppe che, dopo le indicazioni della Congregazione per il culto divino, invocheremo attingendo al magistero dei Pontefici del dopo-Concilio come «Custode del Redentore», «Servo di Cristo», «Ministro della salvezza», «Sollievo nelle difficoltà, «Patrono degli esuli, degli afflitti e dei poveri» (Patris corde, n. 5). Qualcuno si è domandato il senso di una preghiera elevata al cielo per ottenere la fine della pandemia, oppure il significato d’invocazioni a san Giuseppe allo scopo di essere aiutati in azioni di prossimità e di consolazione verso i più afflitti e colpiti da un contagio che non perdona, talvolta nonostante i vaccini. La spiritualità cristiana autentica è fatta di queste cose, oppure si tratta di residui superati di una vecchia devozione, dalla quale siamo stati finalmente “vaccinati”? Ha scritto Tertulliano: «Prega ogni essere creato, pregano gli animali e le fiere e piegano le ginocchia; quando escono dalle stalle o dalle tane alzano la testa al cielo e non rimangono a bocca chiusa, fan risuonare le loro grida secondo le loro abitudini. E anche gli uccelli, non appena spiccano il volo, van su verso il cielo e allargano le loro ali come se fossero mani a forma di croce, cinguettano qualcosa che pare preghiera» (De oratione, XXIX).
- Cosa potrebbe ottenere da Dio una preghiera umana? Domandiamoci da capo: davvero una preghiera elevata da una creatura fragile e finita, qual è la creatura umana, è in grado di ottenere da Dio onnipotente quello che Egli, con un solo pensiero o un atto di volontà, sarebbe ben in grado di realizzare autonomamente? Si tratta di domande non “impertinenti”, che chiedono qualche precisazione in merito alla nostra visione – fino a che punto è cristiana? – circa un cosmo autonomo e circa i suoi rapporti con il Creatore del cielo e della terra. Già in età moderna, ai tempi del filosofo Leibniz, una non corretta concezione di tali rapporti condusse a teorizzare Dio come una specie di un grande orologiaio cosmico: Egli viene chiamato al banco degli imputati quando il marchingegno, che Lui stesso ha posto in essere, mostra d’incepparsi, come si constatò drammaticamente nei momenti dei terremoti, dei cataclismi e, da ultimo nei nostri tempi, della pandemia globale. Più recentemente, è stato il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer a teorizzare l’autonomia del mondo e dell’essere umano rispetto al Creatore: «Il movimento nella direzione dell’autonomia dell’uomo (intendo con questo la scoperta delle leggi secondo le quali l’uomo vive e basta a sé stesso nella scienza, nella vita della società e dello Stato, nell’arte, nell’etica e nella religione) che risale all’incirca col XIII secolo, ha raggiunto nel nostro tempo una certa compiutezza. L’uomo ha imparato a bastare a se stesso in tutte le questioni importanti senza l’ausilio ‘dell’ipotesi di lavoro Dio’». Ci domandiamo: davvero Dio dev’essere relegato al ruolo di “ipotesi lavoro”, di fronte a cui è pressoché inutile imbarcarsi in una preghiera d’intercessione, rivolta alla Santa Vergine o a san Giuseppe? E soprattutto: perché pregare per ottenere l’auspicata fine della pandemia, quasi che Dio possa agire su elementi naturali non umani, perfino sui virus che, a motivo del salto di specie, sono ritenuti la causa di tale pandemia?
- Non si muove foglia che Dio non voglia? Davvero si dà una dipendenza del mondo da Dio al punto che, come dice il proverbio, non si muove foglia che Dio non voglia e, all’inverso, è Lui che costituisce la causa della pandemia e, quindi, potrebbe ben essere invocato perché devii l’orientamento della sua decisione? Già il profeta biblico Amos (3,6) si domandava: «Avviene forse nella città una sventura, che non sia causata dal Signore?». E Tommaso d’Aquino, commentando il brano nella sua Somma di teologia (I, q. 49 in vari articoli), orientava la possibile risposta nella direzione della distinzione tra male di pena e male di colpa. In altre parole, spiegava l’Angelico. l’Onnipotente è in stretta relazione causale con la sua creazione. Tuttavia, non ha causato il bene o il male morale in quanto detentore di una volontà benevola o colpevole di provocare un male al posto di noi esseri umani (come se fosse una specie di divinità a volte buona, a volte malvagia, che procura sia il bene che il male in modo colpevole, cioè intenzionale e consapevole). Piuttosto, il Creatore permette che la nostra libera volontà umana compia il bene o il male; e di conseguenza, permette anche che esista un premio o una pena corrispondente all’uso giusto o colpevole della libertà da parte nostra. Ovviamente, tutto questo ci convince soltanto se si crede alla dipendenza di tutto, anche dell’essere umano e del mondo dal suo Creatore; e inoltre, soltanto se si distingue opportunamente tra male morale e male fisico.
- Causa seconda e causa prima. Il punto di partenza corretto è, insomma, constatare l’effetto lacunoso nella nostra sfera, di una causa seconda la quale, pur dipendendo dalla causa prima divina, manca di una qualche perfezione e quindi può provocare del male agli esseri umani. Ora, se una causa seconda è in un certo senso imperfetta, allora anche il suo effetto sarà difettoso ed imperfetto. Ad esempio, se una macchina non è precisa nella sua funzione di taglio nel campo tessile, allora il prodotto finale risentirà di un difetto di taglio; il suo difetto dipende da quella particolare macchina, non certamente dal progettista che ha ideato il funzionamento della macchina. Per riprendere la metafora di Leibniz, il difetto non sta tanto nell’orologiaio, ma nei meccanismi dell’orologio e nella loro usura. Se si precisano così le cose, oltre a constatare un raccordo tra Creatore e cosmo, si fanno risalire gli effetti alle cause seconde che li hanno provocati e non si finisce per pensare che sia la causa prima divina a giocare col cosmo come con dei birilli o dei dadi. Scrisse Pascal: «Per rendere felice l’uomo, la verità deve mostrare che c’è un Dio, che siamo obbligati ad amarlo, che la nostra vera felicità consiste nell’essere in Lui e il nostro unico male nel rimanere separati da Lui, che è consapevole delle tenebre di cui siamo pieni, tenebre che ci impediscono di conoscerlo e di amarlo» (Pensieri, 134).
- Perché ha ancora senso pregare. Stabilito un corretto rapporto tra il cosmo e il Creatore, tra cause fisiche e Causa trascendente, ha senso pregare Dio affinché diriga il corso delle cose in bene e, nel caso di qualche difetto emerso a motivo delle cause seconde, pregarlo perché intervenga a correggerle. A chi osservasse maliziosamente che, se le cose stanno davvero così dopo i fatti della pandemia, lo erano già prima del primo contagio e, dunque, Dio avrebbe comunque permesso all’esordio il male che ora ci affligge, si risponde che Dio rimane comunque la causa ultima di tutto, ma solo sul piano ontologico (in quanto egli tutto regge e mantiene nell’essere), non certo sul piano delle conseguenze e degli effetti negativi che dipendono, invece, dalle cause seconde e dal loro esercizio imperfetto. Dio, insomma, non è il nostromo di una nave che oggi è sballottata dai flutti e quindi potrebbe sbagliare a imboccare il porto e perfino affondare. Il nostromo della barca restiamo noi esseri umani e la tempesta dipende dalle condizioni climatiche: questo è il cosiddetto male di colpa, causato da un difetto, da un non corretto funzionamento, anche nel soggetto libero nel momento in cui compie una certa azione malvagia o peccaminosa. L’azione è malvagia in quanto dipende dall’intenzione malvagia di colui che la compie, seppur con la permissione dell’Altissimo. Solo che l’Altissimo, come osservava J. Maritain, ha emesso un decreto eterno non frangibile, che prevede anche una libertà umana capace di scegliere il male, il negativo, il falso. Il senso e il valore della nostra preghiera si può cogliere anche alla luce di un’altra verità teologica, che è quella di “creazione continua”. Dio cioè non ha creato il mondo e l’uomo con un’azione transeunte, perché il suo atto creativo persiste, continua in quanto sostiene e dà vita ad ogni cosa come diciamo nella Preghiera Eucaristica I «Per Cristo nostro Signore, tu, o Dio crei e santifichi sempre, fai vivere , benedici e doni al mondo ogni bene». E S. Paolo ci ricorda (Rm 8,22-23) che la stessa creazione geme in attesa che si compia quella trasformazione e si raggiunga quella pienezza di perfezione che è già iniziata con la resurrezione di Cristo, coinvolgendo sia noi che il cosmo creato. Quindi la preghiera ha questo obiettivo: chiedere a Dio che si realizzi questo progetto di perfezione e trasformazione del creato alla luce della resurrezione di Cristo. E quando si prega per gli esseri umani e per la pandemia, chiediamo al Signore che la nostra collaborazione al compimento del progetto di Dio sia docile, senza ostacoli che possono essere posti dalle scelte della nostra libertà.
- Dio non ha creato la morte. Tuttavia, qualcuno osserva che il contagio da covid-19, anche se forse potrebbe aver origine da errori umani nel suo rapporto tecnologico con le cose e con il cosmo, resta un fatto di ordine fisico, del tutto indipendente da colpe umane, che tuttavia provoca sofferenza e morte in tanti altri esseri umani. Perché il Creatore permette anche questo? E soprattutto: perché non ha inizialmente evitato che potesse accadere? Sarà, forse, una forma di “castigo”, quasi che Dio voglia il male e la morte delle sue creature? La Bibbia ricorda in forma di preghiera: «O Dio, nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata». E ha creato per la vita, non per la morte: «Dio non ha creato la morte» (Sap 1, 13); quindi non può volere direttamente il male, la malattia, la morte. L’ha voluta, dunque, in maniera concomitante ed indiretta, in collegamento con la creazione delle cose fisiche, in quanto esse sono contingenti, cioè possono esistere e non-esistere. Dio, infatti, nell’ordine cosmico, ha creato anche delle cose contingenti, cioè delle realtà che perdono il loro essere, ovvero muoiono. Dunque, Dio non è creatore della malattia e della morte e di altri effetti correlati alla realtà contingente, ma di cose che in se stesse sono buone, però lo sono parzialmente, in quanto esse, essendo contingenti, si ammalano e muoiono. Detto altrimenti, Dio è creatore diretto di cose dotate di una perfezione di grado parziale (bene parziale); quindi Egli non è creatore diretto dell’effetto e delle conseguenze di quella parzialità, ma solo indiretto (quasi per accidens, scriveva l’Aquinate). Non siamo qui di fronte alla “vecchia” idea di Dio, del mondo e della loro intima relazione; né alla vecchia idea del Nocchiero eterno che non sa governare la sua nave nella tempesta. In più, non possiamo dimenticare che tra il divino e il terrestre, dopo Cristo, c’è una connessione divino-umana, suggellata dall’Incarnazione del Figlio eterno, nel seno della Vergine Madre, sotto l’occhio vigile e paterno del Custode del Redentore.
- Preghiera salvifica. Evitare gli estremi. Dobbiamo evitare due estremi: dire che la preghiera non ha nessun effetto di modifica del corso delle cose, oppure ritenere che la nostra preghiera possa cambiare le disposizioni eterne di Dio in qualche modo. Contro il primo estremo, ricordiamo i numerosi passi della Sacra Scrittura che ci chiedono di pregare e ci parlano dell’efficacia della preghiera (necessità di pregare sempre senza stancarsi mai). Contro il secondo errore, ricordiamoci che Dio è immutabile: «Io sono il Signore, non cambio» (Mal 3,6). La nostra preghiera, quindi, anche quella che con fervore continueremo a innalzare in questo mese per intercessione di Maria Vergine e del suo sposo Giuseppe, non ha lo scopo di cambiare le disposizioni divine, ma di impetrare quanto Dio ha disposto di compiere mediante la preghiera (S. Th. II-II, q. 83, a. 2). Pertanto, secondo la disposizione di Dio, la preghiera ha una vera causalità efficace e indispensabile, in tal modo che è vano pensare di ricevere alcuni benefici da Dio senza chiederli a Lui nella preghiera: «Liberaci dal male!». Dio è necessario al mondo, non il mondo a Dio; il primo è reale in modo eminente, il secondo solo in modo derivato. In tale contesto prendono alto rilievo le questioni del bene, della legge morale e soprattutto quella della libertà finita: abisso del male e abisso della libertà si richiamano mutuamente. La preghiera, mediante una nuova meditazione sul male, individua il suo centro nella capacità nientificante della libertà finita. La nostra libertà, anche la libertà di pregare, è in grado da sola di colpire al cuore l'Assoluto: un infinitesimale movimento della volontà, e un bene che potrebbe esserci, ma ancora non c’è.
- Conclusione. Meditiamo quanto ha scritto papa Francesco: «Dio risponde sempre: oggi, domani, ma sempre risponde, in un modo o nell’altro. Sempre risponde. La Bibbia lo ripete infinite volte: Dio ascolta il grido di chi lo invoca. Anche le nostre domande balbettate, quelle rimaste nel fondo del cuore, che abbiamo anche vergogna di esprimere, il Padre le ascolta e vuole donarci lo Spirito Santo, che anima ogni preghiera e trasforma ogni cosa. È questione di pazienza, sempre, di reggere l’attesa. Adesso siamo in tempo di Avvento, un tempo tipicamente di attesa per il Natale. Noi siamo in attesa. Questo si vede bene. Ma anche tutta la nostra vita è in attesa» (Udienza generale dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico, Mercoledì, 9 dicembre 2020).
*Arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace
X p. Vincenzo Bertolone, S.d.P.