Con questa undicesima puntata il “viaggio nella sanità calabrese” di Lino Puzzonia per La Nuova Calabria entra nell’oggi e si cala nella presentazione di un insieme di idee per strutturare un sistema sanità possibile, funzionale alle esigenze umane del territorio, al servizio dei cittadini. Che bella espressione: una rete assistenziale ed ospedaliera. Cosa è e come dovrebbe funzionare
di LINO PUZZONIA
Una rete assistenziale territoriale ed ospedaliera
Ho già detto come sia andata modificandosi la struttura ospedaliera nel corso degli ultimi decenni ma è necessario fare ancora alcune considerazioni preliminari.
L’ospedale deve essere eccezione e non regola nella storia delle persone.
L’ospedale serve sostanzialmente alle
Situazioni di emergenza (cioè quando vi è un imminente pericolo di vita) vale a dire:
I politraumatismi e la chirurgia d’urgenza
Gli incidenti vascolari (Ictus, infarto)
L’ospedale poi è sede per
Le terapie intensive
La media e alta chirurgia di elezione
L’Ostetricia e la terapia intensiva neonatale
Le grandi patologie neoplastiche, metaboliche, gastroenterologiche, cardiologiche, neurologiche, infettive
Questo insieme di patologia richiede che si svolga attorno, in tutti i casi, un sistema di supporti estremamente articolato, complesso e costoso. Un Servizio di anestesia. I laboratori di chimica clinica, di microbiologia e virologia, quelli specialistici di ematologia, di biologia molecolare. Un servizio di Anatomia e Istologia patologica. Un servizio trasfusionale avanzato per la produzione di emocomponenti. Un Servizio di Medicina Nucleare con PET. Un Servizio di Radioterapia. Un articolato servizio di Imaging (Radiologia tradizionale, TAC, RMN, Ecografia). La gran parte e, in certi casi tutte, le principali competenze specialistiche.
Un sistema così complesso ed articolato deve curare solo le patologie che ho cercato di indicare schematicamente sopra e non può essere utilizzato per le patologie minori o per le piccole urgenze che rischiano di bloccare le sue finalità d’istituto. Gli ospedali calabresi sono da anni caratterizzati da una patologia assolutamente inappropriata che, oggi, è possibile “pesare” grazie a un sistema che si chiama DRG (raggruppamenti di Diagnosi) che ci descrive appunto la complessità della patologia trattata.
Per rendere possibile la restituzione dell’ospedale al proprio ruolo istituzionale e funzionale è allora indispensabile agire in maniera determinante sul territorio dando vita a un sistema, che a me piace di chiamare di Medicina di Prossimità, che, non solo è indispensabile al corretto funzionamento degli ospedali, ma consente di diminuire fortemente il disagio dei cittadini per le comuni patologie che devono trovare una risposta assistenziale appunto “in prossimità” delle proprie case.
Perché ciò sia possibile non può bastare il sistema delle cosiddette Cure primarie costituite dai medici di medicina generale e dalla pediatria di libera scelta oltre che dalla continuità assistenziale (specialmente come generalmente oggi organizzate). È necessario che le cure primarie possano avere, nel territorio e non nell’ospedale, un chiaro punto di riferimento diagnostico e specialistico.
Le cure primarie
Le cure primarie, cioè quelle del medico di famiglia, devono andare al di là dell’impegno che può assicurare un singolo professionista perché l’esposizione al possibile bisogno sanitario del cittadino va evidentemente al di là del ragionevole orario di lavoro del singolo medico.
Anche qui richiamo l’attenzione di chi legge sul fatto che le mie sono informazioni generiche e che i dettagli organizzativi devono essere realizzati dai tecnici del settore, tuttavia credo che i non addetti ai lavori, ma certamente attenti alla problematica, possano essere interessati a queste informazioni e possibili proposte.
Penso allora, fermo restando il rapporto fiduciario di ogni utente con il proprio medico, alle associazioni tra professionisti. Esperienze di questo tipo sono già presenti anche in Calabria su iniziativa di singoli gruppi di medici. Esistono strutture più semplici come le Aggregazioni funzionali territoriali (AFT) che permettono a piccoli gruppi di professionisti di migliorare l’offerta sanitaria in un certo comprensorio e strutture più articolate Le Unita Complesse di Cure Primarie (UCCP) che coprono generalmente un maggior numero di pazienti e utilizzano anche personale diverso (uffici di segreteria, infermieri, a volte presenza di qualche specialista) al fine di assicurare la massima soddisfazione possibile a tutti i pazienti interessati.
Credo che questo tipo di esperienze debbano essere generalizzate e articolate in base al variabile assetto territoriale della nostra regione. È chiaro che le UCCP sembrano più adatte ai grossi centri urbani mentre le AFT potrebbero essere più utilmente utilizzate in comprensori più sparsi di piccoli comuni vicini.
Anche la continuità assistenziale, quelli che tutti chiamano la guardia medica, dovrebbe essere radicalmente riorganizzata. Penso alla possibilità di un minor numero di postazioni però rafforzate dal punto di vista del personale e di qualche minimale presidio. La presenza di due medici, per esempio, garantirebbe sia la possibilità dell’intervento a domicilio sia la continuità dell’assistenza presso la postazione stessa.
È chiaro che una organizzazione come quella che sto prefigurando e, più ancora, il rapporto tra questa Area delle cure primaria e quella delle cure specialistiche territoriali di cui parleremo nella prossima puntata richiedono un formidabile sforzo di carattere informatico. Tale sforzo tuttavia è ormai ampiamente alla portata sia per lo straordinario sviluppo tecnologico degli ultimi anni, che può assicurare, a costi bassi sorprendenti risultati, sia per il graduale ma sempre più grande coinvolgimento e capacità di utilizzo da parte degli operatori come da parte degli utenti.
Insomma facciamo bonifici bancari dal telefono cellulare, comunichiamo con l’Australia a voce e in video praticamente a costo zero, non ritiriamo più la pensione alla posta, facciamo le raccomandate con avviso di ricevimento immediato dal nostro PC.
E allora perché un paziente che necessiti di una visita specialistica deve andare dal proprio curante, ricevere l’impegnativa, prenotare la visita, fare una fila per pagare il ticket e recarsi lontano dalla propria casa per ricevere la prestazione e poi tornare dal curante per comunicarne l’esito?
In Calabria questa è, più o meno, la realtà che ultimamente è ulteriormente aggravata dalle incredibili liste di attesa con le quali i cittadini fanno ogni giorno i conti.
Come ho già detto nel corso di questo viaggio l’esasperazione o la preoccupazione porta dritti nel posto sbagliato cioè all’ospedale più vicino dove, magari dopo molte ore di attesa, una qualche risposta comunque la si ottiene.
Credo che sia necessario e possibile cambiare e ne riparleremo ancora”
Lino Puzzonia
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