Un volume di 250 pagine, con immagini in b/n e a colori, stampato da Laruffa Editore
16 dicembre 2022 16:34Michele De Luca, il glottologo e demologo romano, originario di Parghelia, ha recentemente pubblicato il volume dal titolo La storia d’o morzé??u catanzarisa. Il libro, di 250 pagine con immagini in b/n e a colori, stampato da Laruffa editore, apre uno scenario inedito nel mondo dello studio della cucina popolare, dell’antropologia culturale, della ricerca linguistica e glottologica, relativo ad una preparazione gastronomica che nasce, vive e sopravvive, in una area ben limitata della Calabria; un piatto povero e di strada che da anni ha varcato i confini di Catanzaro, divenendo simbolo, emblema, al pari delle “tre v” della città. Il vento, i velluti e san Vitaliano dovrebbero aggiungere un posto a tavola ed accogliere ‘o morzé??u al loro fianco!
Pietanza conosciuta da molti per la sua tipicità e apprezzata per il suo gusto unico, oggi il morzello di Catanzaro lo si trova anche, già pronto da riscaldare, in confezioni di tetra pack all’interno dei supermercati; un prodotto nato‘n??ê coddari di piccole bettole ed oscure taverne di vicolo, diventa, al pari della ‘nduja di Spilinga, che oggi si vende anche nei tubetti come il dentifricio, un prodotto massificato dal commercio.
Ma vediamo, nei particolari, il lavoro di De Luca, lasciando al lettore il fascino di scoprire, pagina dopo pagina, le tante curiosità, le preziosità, le chicche, i fatti inediti di questa succulenta ricerca della tipica specialità catanzarese. Traspare tra le pagine, nella lettura, una sorta di Sindrome di Stendhal in positivo: mentre si legge il testo si percepisce di entrare letteralmente nell’opera, ci si allontana dalla realtà, si inseguono le parole e si entra in una cupa e oscura bettola dei vicoli del borgo ottocentesco di Catanzaro, tra vino, odori e fumi, effluvi piccanti di peperoncino e profumi forti e invitanti che si diramano dal coddare??u d’o morzé??u, mazzetti di origano, sugo, tanto rosso sugo di concentrato di pomodoro, e quella pitta, quel pane così particolare nella forma a ruota di carro e nel suo sapore, le visioni della lettura continuano a penetrare la memoria in modo suggestivo. L’autore ci racconta che il passato del morzé??u catanzarese non è poi così remoto, come credono in molti, genericamente, e che questa specialità non arrivi nemmeno da Paesi lontani; non ha niente a che fare con preparazioni similari di tradizione araba, spagnola, argentina e di altri luoghi. Il morzé??u è una squisitezza “made in Catanzaro” al 100%! De Luca, come ha già fatto per alcuni altri suoi volumi, sulle tematiche della cipolla rossa di Parghelia, sul ficodindia, sulla caffettiera napoletana, sulle bagnarote, sul bergamotto, sul pescespada, segue un fil rouge in linea con le sue appassionate e approfondite ricerche linguistiche ed antropologiche, con lo scopo d’individuare e far conoscere le eccellenze della Calabria.
Il suo studio parte dalla terminologia dialettale originale, dalla sua etimologia, dalle minime varianti registrate nelle diverse aree geografiche della regione. In questo caso l’indagine ha inizio nelle vicinanze dell’epicentro geografico che è Catanzaro, per poi scendere nelle lontananze degli altri luoghi calabresi. Una minuziosa descrizione della storia e della tradizione leggendaria, un approfondimento degli usi e delle costumanze della preparazione, del consumo e della degustazione, una ricerca sulle origini documentate, sulle notizie infondate o letteralmente inventate, sugli errori storici e di interpretazione delle fonti. La ricerca di De Luca prosegue, poi, nella preziosa opera di analisi bibliografica di tutto ciò che è stato scritto sul morzé??u. Davvero tanti sono gli autori, le citazioni, gli studi, gli articoli di giornali e riviste, le ricette, le varianti locali, i video e gli eventi e mille altre cose. Si scopre che il morzé??u è, da quando è nato, un vero personaggio e, su di lui, in tanti hanno prodotto componimenti letterari, poesie e persino una vignetta satirica pubblicata nel 1904.
Un racconto popolare della tradizione orale vuole che «una povera donna, che lavorava come serva presso una famiglia ricca di Catanzaro, recuperava dai rifiuti del nobile palazzo, tutte le frattaglie di macellazione che venivano scartate e gettate via, le portava a casa e le cucinava, aggiustandole a modo suo con foglie di alloro, rametti di origano ed altri aromi, concentrato di pomodoro e tanto peperoncino piccante, per ottenere un qualcosa di mangiabile e di sostanzioso per la sua famiglia… quella povera donna dell’Ottocento non poteva certo immaginare di aver inventato una vera prelibatezza gastronomica, una squisitezza che in futuro avrebbe fatto parlare così tanto di sé».
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