di MICHELE MAZZA*
Si parla tanto di incendi in Calabria, ma ci si chiede come mai succede tutto questo?
Una emergenza senza precedenti: troppi i territori che da anni bruciano sempre più, ma quest’anno un record. Un inferno di fuoco ha ridotto in cenere oltre 10.000 ettari di boschi calabresi. Scene da apocalisse: la regione più ustionata d’Italia.
“Una difesa anti incendio sin dall’antichità era fatta dalla zootecnia allo stato brado: mucche, vitelli, agnelli, pecore, capre e capretti brucavano e consumavano tutta l’erba sia fresca che secca presente nei boschi e nelle campagne; erano falciatrici naturali instancabili.
Una zootecnia ormai distrutta dalle politiche no-vax del Ministero della Sanità da oltre 30 anni per altri interessi. Inoltre, sono rimasti pochi i calabresi produttivi, tra cui pochissimi agricoltori e allevatori, che da soli provvedono alla difesa e alla custodia del nostro territorio.
Perché non impiegare maggiormente le forze dell’ordine per il controllo preventivo della nostra terra e del nostro patrimonio, soprattutto nelle aree interne più spopolate?
Più che mettere in sicurezza le aree distrutte, non è forse il caso di avviare una politica di prevenzione? Speriamo, allora, che il prossimo ed imminente Governatore della Regione Calabria abbia, tra le sue priorità, anche quella di tutelare le aree boschive, patrimonio paesaggistico e ambientale unico nella nostra terra e di inestimabile valore, soprattutto tutelando gli allevatori nello svolgimento della loro attività, semplificandone le procedure.
Qualcuno continua ad insinuare che ad appiccare il fuoco siano gli allevatori, ma tale supposizione è infondata: nessun interesse può avere un allevatore a bruciare i boschi per ricavare pascoli, dal momento che i pochi allevatori rimasti avrebbero a disposizione tanti pascoli abbandonati”.
*Rappresentante di un gruppo di allevatori calabresi
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