di MARILINA INTRIERI
L’alleanza Pd M5S regge ma la netta contrarietà dei grillini all’opera rischia di pesare sulle prossime elezioni. Il partito guidato da Elly Schlein deve decidere se rivolgersi ai riformisti e sull’opera si gioca gran parte del consenso dei moderati.
Il Ponte sullo Stretto non è soltanto un progetto infrastrutturale. In Calabria, più che altrove, è diventato un simbolo politico e identitario che mette in luce le fragilità del centrosinistra e il difficile equilibrio tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.
Emblematiche le dichiarazioni di Enzo Bianco, già ministro e sindaco di Catania, figura storica del riformismo democratico, riportate da “La Sicilia”: il Ponte è un’opera “utile da sostenere” che va accompagnata da un deciso potenziamento delle reti ferroviarie e da una modernizzazione dei collegamenti interni.
Bianco richiama così una tradizione riformista e cattolica che ha sempre visto nello sviluppo infrastrutturale un’occasione di crescita e di coesione nazionale e al tempo stesso, mette in guardia dal rischio di un isolamento politico e culturale se si lasciasse questo tema interamente alla destra.
La posizione del Pd, stretto tra anime diverse, resta incerta dinnanzi alla posizione del M5S che, invece, continua a rivendicare un “No Ponte” senza sfumature.
È una frattura che potrebbe pesare alle urne: moderati, imprenditori e ceto professionale chiedono infrastrutture e guardano con crescente attenzione a chi offre risposte concrete. Per una parte consistente dell’elettorato, soprattutto moderato, il Ponte rappresenta un’occasione di lavoro e di piena integrazione con l’Europa.
Molti osservatori sottolineano che un Pd troppo timoroso di perdere pezzi rischia di restare paralizzato. Eppure, la lezione dei riformisti, dai Ds alla Margherita, ai cattolici democratici fino alle esperienze di governo di Amato e Prodi insegna che il consenso si costruisce sulla capacità di proposta, non sul rinvio.
Il centrosinistra corre un pericolo evidente: lasciare che il ponte diventi bandiera esclusiva della destra. Fratelli d’Italia e Forza Italia sono già pronti a presentarsi come unici interpreti delle aspirazioni di sviluppo. Per il Pd e i suoi alleati sarebbe una perdita pesante: significherebbe alienarsi proprio quella parte di elettorato moderato che, in Calabria, può decidere la partita.
La tradizione riformista insegna che il consenso non nasce dall’attesa, ma dalla capacità di indicare un percorso. Continuare a rinviare o rifugiarsi nei compromessi tattici può forse tenere insieme, per un po’, Pd e 5 Stelle, ma non basta a convincere gli elettori.
La sfida del Ponte, quindi, rappresenta il vero banco di prova per il centrosinistra calabrese: o il Pd avrà il coraggio di parlare con chiarezza al Paese reale, raccogliendo la domanda di modernità e sviluppo, oppure resterà prigioniero dei veti interni, consegnando alla destra il monopolio del futuro.
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