La città che vuole rinascere e quell'eterno fanciullo che vorrebbe tornare sognando

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images La città che vuole rinascere e quell'eterno fanciullo che vorrebbe tornare sognando
Franco Cimino
  12 ottobre 2019 12:39

Dico sempre ai miei ragazzi che ciascuno di noi, dalle regole e leggi a prescindere, per diventare buon cittadino e buona persona, o almeno tentare di esserlo, deve darsi un metodo suo proprio da seguire, per evitare, quantomeno, di sbagliare. Ovvero, per mantenersi coerente rispetto alle scelte quotidiane. Io me ne sono dato più di uno. Il primo, di cui tratto qui, è di rispondere presente quando la Città chiama e di onorare con la presenza, quando non vi siano impedimenti importanti, gli inviti ricevuti. In questo momento in cui scrivo questo articolo, sono nell’aula magna dell’Universita Magna Graecia per assistere al conferimento della laurea in Psicologia a Giorgina Ryei, una mia alunna splendida per cinque anni al Liceo di Scienze Umane. Glielo avevo promesso già a scuola, come faccio con tutti i miei ragazzi che accolgono la mia “ supplica” di proseguire gli studi all’Università. Da qui, ripeto per tutti la formuletta magica: “ continuata a studiare. Fatelo secondo le vostre inclinazioni, le vostre passioni, i vostri progetti professionali. La laurea serve soprattutto per questo. Andare all’Università serve per vincere la tentazione, da ricatto sociale, di imbucarsi subito in qualche call center o in uno dei tanti negozi dove, sottopagati e senza tutela, in gran parte delle occasioni, si resta imprigionati per tutto il giorno, sabato e domenica compresi. Continuare gli studi, anche senza precisi disegni preventivi, in attesa di un posto di lavoro dignitoso, consente di crescere in cultura, affinando quella intelligenza che vi servirà per vedere meglio la vita e a saper interrogare la realtà oltre la superficie.”

Chiusa la divagazione, di cui mi scuso, ritorno al principio. Rispondo sì alla Città, quasi sempre e limitatamente alle mie risorse, talvolta anche superandole. Il Politeama avvia la sua stagione? Io mi abbono a prescindere dalla programmazione, che avrò modo e tempo di criticare, se non mi piacesse. Il teatro Comunale, per opera di ragazzi straordinari, innamorati dell’arte e di Catanzaro, riapre, con le sue luci, nel centro del Centro storico in cui da cinquant’anni sonnolente si trova? E io mi ci corico dentro di notte e al mattino gli faccio la guardia, per curarne tutta la sua crescente bellezza. Il Teatro di Corea e di altri che, come lui, fanno sacrifici enormi per trovare quattro tavole per vivere il teatro e insegnare recitazione e miglioramento del portamento individuale. E io faccio del mio meglio per rispondere presente. Anche a quello di Conforto e Romina Mazza. Allo stesso modo che con il Teatro di Calabria, nato dal testa geniale e dal cuore poetico di Franco Brescia e portato al grande successo odierno dal team che ruota intorno a formidabile duo La Rosa-Conforto. E così potrei dire dei teatri popolari di Procopio e Passafaro. Di quello più sofisticato di Ama Calabria, che da Lamezia viene a Catanzaro con le sue programmazioni interessanti. Delle scuole di danza che portano formazione e spettacolo, dei tanti poeti catanzaresi, che escono dalla loro timidezza e presentano le loro raccolte, e dei musicisti che si formano in giro per l’Italia e anche nel nostro Conservatorio. Potrei dilungarmi ancora molto, per sottolineare il risveglio di una Comunità che in autonomia, nello spontaneismo, a volte in solitudine, specialmente di coloro che non godono di alcun contributo pubblico, sta cercando di difendersi dall’ isolamento e dalla rassegnazione, nel contempo difendendo la Città dal senso di abbandono che la pervade. Quando questa Catanzaro chiama, io le vado incontro, con la gioia di non sentirmi più una mosca bianca o un piccolo “ poeticante” che parla alla luna. Non chiama, però, per la Politica, quella della mia educazione e visione. Nulla di nuovo su quel fronte. Vecchie figure, anche di età giovanile, che si muovono dentro il vecchio schema del notabilato, sempre alla forsennata ricerca di voti “ scambiati”, di alleanze indicibili, di qualsiasi interscambiabile sigla in cui candidarsi con quel piccolo pacchetto di voti che consenta la propria elezione. Nulla che si muova nella direzione di quel cambiamento di cui ha bisogno il Capoluogo per rivitalizzare le istituzioni e realizzare il rinnovamento della sua classe dirigente.

I catanzaresi più attenti, stanno assistendo a questa contraddizione, a questo sorta di divaricazione, che, io però, considero positiva, quale momento di passaggio da una condizione di passività rovinosa a una di possibile rilancio delle potenzialità che ancora Catanzaro conserva. C’è bisogno, tuttavia, che il vuoto tra le due condizione sia riempito da un risveglio anche della coscienza politica, almeno del senso critico, dei nostri concittadini. Un risveglio, che parta dall’attenzione e dal rispetto, che si può sintetizzare in quella formula del “ io ci sono, se mi chiami verrò.” Con questi sentimenti, ho risposto all’invito che mi ha rivolto, anche personalmente, Piero Mascitti, il cinquantenne catanzarese, già giovane consigliere comunale, che molti anni fa ha lasciato la politica e Catanzaro, per inseguire un genio, innamorarsi di quella catanzaresità folleggiante, che porta il nome di Mimmo Rotella, il grande sconosciuto alla sua Città, alla quale ha regalato il suo corpo da custodire e la sua casa natale-museo in un vicolo del Corso. Dietro il grande maestro, con cui ha realizzato un rapporto filiale, ha potuto dar corpo alla sua, di Piero, genialità e bizzarria. Ha girato il mondo a ripresentare Rotella nelle sue opere, a farsi cultore d’arte e di mostre di gran livello, e, dicono anche, venditore e compratore eccellente delle stesse. Vive a Milano e conosce mezzo mondo che conta. Poi si è ammalato e lungamente curato, come lui stesso pubblicamente dice.

Adesso è venuto nella sua Città a raccontare, anche con il film documentario su Rotella da lui prodotto( davvero bello), quel genio catanzarese, anche negli aspetti privati poco noti al pubblico. Ma, insieme a Rotella ha voluto raccontare un po’ di se stesso, attraverso la presentazione della sua candidatura a sindaco. C’eravamo pochissime persone nella sala già piccola del Supercinema e, credo, nessuno dei candidati nelle tredici liste che lui dichiara essere già pronte a sostenerlo. Qualche idea interessante se pur molto più stravagante, il suo desiderio di farsi rivoluzionario contro tutti, tantissime parole in libera uscita dall’autocontrollo razionale, e concetti, taluni incompiuti, distribuiti disorganicamente in un monologo, a tratti sussurrato. C’erano queste ed altre cose dentro quella figura gigante, che sarebbe da poco, a suo dire, tornata a un peso accettabile dalla clinica medica e dall’estetica. Ma, io, non interessato a quel messaggio che voleva essere politico, ci ho visto altro. Ci ho visto il viso bambino che conoscevo. E quei suoi occhi celesti e grandi, dietro i quali si celavano i sogni fanciulli coperti da quel sottile velo di pianto trattenuto. E di paura di un qualcosa che avverte come minaccia. È solo, forse, senza un “padre” che lo ha amato, Rotella, e quel padre naturale, che egli difende con determinazione per poter gridare forte al mondo intero la bellezza della madre. Quella donna eroica, l’ostetrica, che ha fatto nascere migliaia di bambini, sottratta alla vita, e al quel figlio tanto amato, troppo presto.

Di Piero parlerò ancora, specialmente , a quei pochi che l’hanno utilizzato e strumentalizzato quando hanno avuto bisogno di lui ricevendo molto, e che oggi, sicuri dei loro successi effimeri, fanno finta di non conoscerlo o di vederlo con fastidio. Oggi, dico della tenerezza che in me ha suscitato quell’eterno ragazzo. E della carezza che gli avrei voluta dare, con la mano e la parola, quella sera dell’incontro con la Città che non c’era. Quella che ancora guarda ai “forti” e ai vincenti, scambiando l’arroganza e la presunzione per sicura manifestazione del sé.

                                                                                                                                                                                                                                   Franco Cimino

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