La decisione del Tar sull'ordinanza dei "bar con i tavoli all'aperto" rappresenterà un precedente nazionale: ecco le tesi di Governo e Regione a confronto

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images La decisione del Tar sull'ordinanza dei "bar con i tavoli all'aperto" rappresenterà un precedente nazionale: ecco le tesi di Governo e Regione a confronto

  05 maggio 2020 21:43

di GABRIELE RUBINO

È la disputa giuridica più importante da quando l’Italia è piombata nell’emergenza del Coronavirus. Lo scontro fra Governo e Regione Calabria sull’ordinanza dei “bar con tavoli all’aperto” potrebbe segnare un precedente valido nell’intero Paese: se la spunta l’esecutivo nazionale i governatori potrebbero abbassare le proprie pretese di sganciarsi dai dettami degli ormai famosi “Dpcm” di Conte, al contrario se prevalesse la linea Santelli i suoi colleghi potrebbero passare all’incasso tuffandosi nell’autonomia territoriale richiesta da settimane, che il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia sembra voler concedere solo a partire dal 18 maggio. La sospensiva sarà decisa sabato dal Tar Calabria.

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LA DIFESA DELLA REGIONE: “COMPETENTE LA CONSULTA NON IL TAR”- Gli avvocati che rappresentano in giudizio la Regione hanno una doppia strategia difensiva. I legali Andrea Di Porto, Oreste Morcavallo e Massimiliano Manna puntano innanzitutto sul difetto di giurisdizione del Tar. L’ordinanza regionale (così come quelle comunali) è stata assunta in forza dell’articolo 32 della Legge sull’istituzione del servizio sanitario nazionale in materia di “Funzioni di igiene e sanità pubblica e polizia veterinaria”. Se il governo avesse voluto censurare l’atto calabrese, doveva sollevare il conflitto di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale perché l’esecutivo lamenterebbe una violazione delle “proprie prerogative costituzionali”.

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“IL DPCM STRUMENTO INIDONEO”- Se il Tar si dichiarerà “competente”, allora la Regione si tutelerà anche nel merito della questione. E qui c’è la parte interessante, che è anche oggetto di dibattito nazionale. Gli avvocati regionali provano a smontare l’adeguatezza del Dpcm nazionale che non terrebbe conto del diverso grado di rischio delle Regioni. Inoltre, altro affondo, ci sarebbe: “la palese inidoneità dello strumento normativo (DPCM) utilizzato per imporre siffatte limitazioni, dal momento che la Costituzione non prevede che i poteri di cui all’Articolo 77 siano delegabili al Presidente del Consiglio”. L’articolo 77 disciplina i decreti legge e i decreti legislativi. È in atto un’ampia discussione sulla legittimità dei Dpcm di Conte. C’è chi come Gustavo Zagrebelsky dice che essi troverebbero copertura costituzionale nel decreto legge n. 6 del 23 febbraio, altri giuristi sostengono invece che si dovrebbe tener conto del principio della “leale collaborazione”.  

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I TAVOLI ALL’APERTO: “MISURA DI DETTAGLIO RISPETTO A QUANTO CONSENTITO DAL GOVERNO”- Poi c’è il passaggio sul vero pomo della discordia. Sui 10 punti dell’ordinanza n. 37 firmata dalla Santelli, come noto, il passaggio non “allineato” poiché più estensivo rispetto alle norme nazionali è il numero 6: quello che consente a bar, pasticcerie, ristoranti, pizzerie e agriturismi a servire ai tavoli all’aperto. Per la Regione, è il governo ad aver consentito la ripresa per queste attività commerciali sia della consegna a domicilio e sia dell’asporto, dunque la somministrazione ai tavoli non sarebbe altro che una specificazione. “Essa non si pone in alcun modo in contrasto con la disposizione nazionale – si legge nella difesa calabrese-, essendo da intendersi quale disposizione di dettaglio della medesima, in funzione delle specificità della situazione epidemiologica presente nel territorio regionale ed in presenza di alcune misure minime” anti-contagio. Anzi, specificano i protocolli di sicurezza previsti nell’allegato 1 sul distanziamento sociale sarebbero “addirittura più restrittive rispetto a quelle genericamente individuate dal DPCM”. In sostanza, per la Regione i tavolini all'aperto sarebbero "equipollenti" all'attività di asporto e consegna a domicilio consentiti dallo stesso governo.

PERCHÉ PER LO STATO L’ORDINANZA È ILLEGITTIMA- L’avvocatura generale dello Stato (LEGGI QUI I DETTAGLI DEL RICORSO) invece ha puntato a demolire l’ordinanza della Santelli. Affinché fosse legittima l'ordinanza della Santelli doveva rispettare tre condizioni. Essere "ulteriormente restrittiva", quindi disporre misure più rigide rispetto alla normativa nazionale. Motivabili con un sopravvenuto "aggravamento del rischio sanitario". Invece, l'ordinanza regionale, al contrario, giustificava l'allentamento "ulteriore" in questo modo: "un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily time lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1 indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la regressione". Inoltre, la decisione della Santelli doveva essere "interinale", ossia fra un Dpcm e l'altro e non, come è accaduto in questo fra l'adozione del Dpcm del 26 aprile che entrava in vigore a partire dal 4 maggio.  

GLI ALTRI CASI DI ORDINANZE OLTRE "I LIMITI" E ALCUNE DECISIONI DEI TAR- Il duello Governo-Regione Calabria è importante perché vede contrapposte due istituzioni dopo che per settimane è prevalsa la linea che a dettare le regole è lo Stato e non gli enti territoriali. Ci sono stati altri esempi di governatori che hanno adottato misure più “espansive” rispetto al dettato nazionale. Il presidente del Veneto Luca Zaia, in pieno lockdown, il 13 aprile scorso aveva consentito la corsa anche oltre il limite dei 200 metri della propria abitazione che valeva sul territorio nazionale fino al 4 maggio, ma non ad esempio in Calabria visto che Santelli aveva posto (fino al 29 aprile) il divieto di sport individuale. Ma la misura veneta non è stata impugnata dal governo. In tema di sport, il governatore De Luca aveva anticipato di molto la restrizione di fare jogging nei parchi vedendosi riconosciuta ragione dal Tar Campania lo scorso 18 marzo. La Lombardia si è vista sospendere dal tribunale amministrativo regionale l’ordinanza n. 528 dell’11 aprile che consentiva la consegna a domicilio anche alle attività commerciali non “autorizzate” dall’allora vigente Dpcm del 10 aprile. In quella circostanza contro la decisione del governatore Attilio Fontana si erano costituiti i sindacati.

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