di SERGIO DRAGONE
Michele Drosi è l’ultimo romantico del socialismo calabrese. La sua ostinazione a volere innestare a tutti i costi i valori del socialismo riformista nel “corpo estraneo” del Partito Democratico è degna di ammirazione, al pari del generoso sforzo di don Chisciotte di abbattere i giganti-mulini al vento. Qualche volta ha operato delle forzature, come quella di fare passare un vetero-comunista come Mario Oliverio per un riformatore liberale.
La verità è che il PD, nato dalla fusione a freddo tra gruppi dirigenti ex comunisti ed ex democristiani, non è stato, non è e non sarà mai un partito erede del socialismo democratico. E’ una questione di contenuti e non di forma e quindi non basta l’adesione del PD al Partito socialista europeo per affermarne una mutazione genetica in senso riformista. Non è un caso che molti socialisti, sentendosi estranei al nuovo soggetto, hanno preferito negli anni riparare sotto le rassicuranti bandiere berlusconiane.
L’ultimo lavoro di Drosi – un pregevole saggio sull’evoluzione del PD e sulla sua attuale e profonda crisi – è comunque un contributo importante al dibattito che si muove in quella che genericamente viene definita la “sinistra” italiana. Non a caso arriva nelle librerie nelle settimane in cui nel PD si consuma il rito delle primarie per la scelta del nuovo segretario.
Drosi nella sua analisi parte dalla sconfitta, anzi dalla disfatta, del PD alle ultime politiche. L’autore, che non ha mai rinnegato nemmeno per un attimo la sua formazione socialista e manciniana, analizza con profondità le cause della Caporetto democratica, con riferimenti rigorosi alla lunga vicenda del PD dalla sua fondazione ad oggi.
L’autore è addirittura spietato nel suo giudizio finale che ci sembra utile riportare: “Il PD – scrive Drosi - è allo stato una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario sono state le primarie viste come strumento di un plebiscitarismo che incorona il capo per praticare una vocazione maggioritaria dal significato fumoso, proposta da Veltroni e sostenuta in una prospettiva di liberalismo radicale, il cui nemico è, paradossalmente, il conflitto sociale, relegato negli scantinati della storia. Un partito percepito come espressione di élite borghesi e del 19 mondo della finanza, lontano dagli interessi popolari e da quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della Sinistra del Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di ridistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò: “il capitalismo va tosato e non ucciso”. Mentre dovrebbe caratterizzarsi come una forza della Sinistra con al centro il Mezzogiorno, che l’autonomia differenziata, sostenuta dalla Lega, ma non solo, tornata alle origini di partito del Nord, relegherà sempre più in una posizione marginale nello scenario economico e sociale nazionale.”
Sottoscrivo in pieno questa analisi. Mi permetto solo di dissentire sulle prospettive. Drosi mantiene ancora una carica ottimistica sulla possibile mutazione del PD in partito socialista, riformista e garantista. Io penso, al contrario, che è il socialismo che deve adeguarsi ad un mondo che è profondamente cambiato, individuare soluzioni per affrontare gravi emergenze planetarie, prime fra tutte quella ambientale e quelle legate ai flussi migratori.
Occorre individuare cosa ancora resta di vitale in una cultura (“una civiltà”, l’ha meravigliosamente definita Claudio Signorile) che ha segnato tutti i progressi del mondo occidentale, soprattutto in materia di diritti civili e di riscatto delle classi subalterne.
Sarà capace di fare questo il nuovo PD che scaturirà dal congresso costituente? Saranno capaci di farlo Stefano Bonaccini o Elly Schlein che mi sembrano molto estranei alla cultura socialista? Forse la seconda mi sembra più pronta ad interpretare i mutamenti tumultuosi della società contemporanea, in particolare le problematiche poste da una crisi ambientale senza precedenti che modificherà la fisionomia del pianeta e produrrà nuove migrazioni.
Meno adeguato mi sembra Bonaccini anche perché è un paladino dell’autonomia differenziata (si ricordi il referendum promosso sul tema in Emilia Romagna) e punta tutte le sue chances su un “partito degli amministratori” che è cosa molto diversa da un partito della sinistra riformista.
Punti di vista. Resta il fatto che Drosi si conferma un osservatore attento e intelligente delle vicende politiche, convinto che la politica sia circolazione delle idee e non mercato delle tessere. Un libro da leggere, per riflettere.
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