di VITTORIO PIO
Serata sicuramente riuscita al Teatro Comunale, (nettamente la migliore sala da cinema presente nel comprensorio cittadino, non solo nel suo centro storico), per l'incontro con il regista Andrea Segre e successiva proiezione del suo film "La grande ambizione", davvero ispirato con una superlativa interpretazione di Elio Germano, che ha davvero superato ogni confine immaginabile, con la sua prova e dedicato alla indimenticabile figura di Enrico Berlinguer con la produzione encomiabile dei catanzaresi Marta Donzelli e Gregorio Paonessa.
Segre ha spiegato con dovizia di particolari la complessità di portare a termine un lavoro così complesso nella sua accuratezza storica, grazie anche all'aiuto della famiglia che ne ha seguito passo passo la lavorazione, avallando o anche bocciando alcune delle sue idee, incalzato da una platea variegata ma egualmente partecipe ed entusiasta, nel ricordo di quello che è stato il più conosciuto fra i segretari del Partito Comunista Italiano, la cui vita (anche privata), viene ripresa nel periodo che va dal 1973 al 1978, ovvero quello che per il partito di "un italiano su tre" a quei tempi ormai perduti, coincise con l'ipotesi del compromesso storico, ovvero di un'intesa con la Democrazia Cristiana di Aldo Moro, che era il partito di maggioranza relativa, ma comunque messo fortemente in crisi dalla progressiva avanzata del Pci. Nel film comunque tutto è accentrato sulle ragioni, le motivazioni e persino le allucinazioni di Berlinguer, (come il controverso attentato in Bulgaria, la cui dinamica non è mai stata chiarita, oppure le incomprensioni legate al movimento del 1977), sullo sfondo di un Italia nostalgicamente svanita in tutte le ferree ricostruzioni filologiche.
Ed è proprio la connotazione storica la chiave per interpretare il film correttamente, una caratteristica così accurata da rispettare anche la parte emotiva strettamente connessa, con l'utopia del socialismo e della giovinezza lasciata malinconicamente alle spalle e che adesso che si è superati largamente i cinquanta, si può ricostruire con una visione più lucida, restando fedelmente dalla parte degli operai, delle ragioni per la persecuzione messa in atto da Sacharov con susseguente presunta dipendenza con l'Unione Sovietica, per le ragioni che furono alla base di questo straniante accordo con la DC, sempre rimasta a favore dei padroni (inquietante lo scampolo di intervista di Giovanni Agnelli) e mai dei lavoratori, e poi l'utopia polacca di "Solidarnosc", della striscia di sangue messa circolarmente in atto dalle Brigate Rosse fino all'epilogo del racconto, con il rapimento di Aldo Moro e l'eccidio della sua scorta, uno spartiacque nella storia repubblicana e nello stesso tempo luogo perennemente dolente della nostra memoria.
La figura di Berlinguer viene restituita in tutta la sua fervida militanza, sottolineata dalle immagini di repertorio dei suoi funerali a Roma cui, nel giugno del 1984 parteciparono oltre un milione e mezzo di persone e cinquanta delegazioni straniere. La storia quindi quella che non passa la mano: vivida e raccontata.
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