di FRANCO CIMINO
Il risveglio che da settimane temevamo, è arrivato. Direi puntualmente e, cioè, prima di quanto gli esperti di conflitti avevano previsto. La Russia ha iniziato ad attaccare direttamente l’Ucraina, dopo aver “ recintato” d’armi e di carri armati le due regioni periferiche autoproclamatesi repubbliche autonome in seguito alla scelta “ popolare” della Crimea, di alcuni anni fa, di “ annettersi” alla Russia. L’attacco è avvenuto stamattina quando ancora non era arrivato il chiarore del giorno. Tra le cinque e le sei, l’ora più utile per gli attacchi in armi.
Le diplomazie che invece di negoziare “ diplomaticamente” avevano già anticipato i fuochi dei cannoni attraverso le più disparate cannonate verbali di un fronte contro l’altro, da oggi hanno chiuso i loro uffici. La situazione apparentemente ufficiale è una contrapposizione fra due campi, che a microfoni invertiti danno della stessa opposte letture. L’USA con i paesi dell’Europa Occidentale, parla di attentato da parte della Russia alla libertà e alla democrazia dei popoli e degli Stati liberi, Putin, con lo sguardo di un guerriero arrabbiato e la bocca di una tigre affamata, dichiara la necessità dell’attacco per difendere i “ rivoluzionari” e cittadini filo russi dallo forza sterminatrice del “governo paranazista ucraino”, da una parte. E, dall’altra, lo stesso territorio russo dalla minaccia futura degli USA e dei suoi alleati qualora l’Ucraina aderisse, come richiesto, alla NATO. Intanto, si spara. E sui due fronti. E con due diverse modalità belliche. Il primo fronte è strettamente chiuso dentro i confini ucraini, con il grande fiume a fare da triste spettatore. Il secondo, è quello che va dall’intera Europa al resto del mondo occidentale, all’interno di una nuova guerra mondiale tecnicamente diversa ma che, come l’ultima, vuole disegnare la nuova divisione planetaria tra superpotenze egemoni. Ritorna nel mondo globalizzato, quello che avrebbe dovuto fare di tutto un uno, unità generale che comprende tutti senza tema di fratture insuperabili, la divisione netta tra due civiltà, fra due sistemi, quello occidentale è quello orientale. Nel primo fronte la modalità bellica è quella classica, vecchia quanto la prima aggressione mortale, quella della clava, dell’uomo contro il suo simile. Lo scontro è militare, armi contro armi, sangue contro sangue. Lo scopo è sempre quello, distruggere le cose, le case, le strutture, le nature. Della natura e delle cose. Uccidere la vita. Delle persone. Delle economie. Delle culture. Nel secondo fronte, non si spara, ovvero non subito o quando non si fosse costretti a farlo. Lo scontro, azione-reazione, avviene su quel tavolo, apparentemente freddo, in cui si praticano le cosiddette sanzioni. Dure, annuncia Biden. Durissime, replica Putin. “Le più severe che si siano viste”, rincara il presidente USA. “Non avrete neppure il fiato per pentirvene”, controreplica il presidente russo. C’è da sentire i brividi a migliaia di chilometri da entrambi. Sanzioni, non è una neutra parola sul dizionario.
È il mitragliamento di settori vitali per la vita delle persone. Si tratta di una serie di attacchi mirati alle strutture fondamentali delle economie dei paesi investiti. I paesi della Nato, in particolare quelli dell’Europa( è in corso la riunione a Strasburgo del comitato di sicurezza europea per decidere sulle nostre)nei confronti della Russia e questa verso i paesi dell’alleanza atlantica. Colpire le economie dei singoli paesi, significa sottrarre agli stessi, che siano di un fronte o dell’altro, risorse fondamentali per rifornirli dei beni necessari al benessere o alla sopravvivenza. I trasporti si fermeranno, le industrie rallenteranno la produzione, nelle case si spegneranno i riscaldamenti. I negozi e i supermercati, come i mercati popolari, si svuoteranno delle merci. Carne e pane e pasta, costeranno quanto il futuro litro di benzina e se le auto potranno restare a secco anche le pance delle persone resteranno vuote. Come le tasche di tutti, con l’inflazione che divorerà risparmi e renderà più povera della loro stessa povertà la moneta. Tutto, nella prima modalità di guerra parimenti alla seconda, perderà di valore. I valori si disperderanno nel fumo delle bombe e in quello delle bolle. La vita non conterà nulla dinanzi al disprezzo di quei cosiddetti governanti che al posto del cuore hanno messo la propria ambizione e la loro sete di sangue umano. Uomini brutti e nani anche quando volessero misurare la loro altezza con la propria ombra di dietro. Brutti figuri incapaci di governare i bisogni e i sogni. Uomini stupidi, che pensano ancora di risolvere lo scontro tra interessi con le armi. Esseri mediocri, che credono che la forza, priva di ragione, possa fare più della ragione priva di forza. Quella ragione, adagiata solo sul cuore, che Giorgio La Pira, il sindaco santo della Firenze degli anni cinquanta e sessanta, indicava come l’unica arma per costruire la Pace. Quella vera, fatta con i mattoni delle libertà e delle giustizia, ambedue nascenti da quegli stessi sostantivi declinati al singolare. La libertà della persona e dei popoli. E quella degli Stati. Libertà di ciascun essere umano di vivere la propria patria all’interno di un territorio i cui confini siano stati scritti dalla storia antica di quei popoli. Libertà di poter decidere, con assoluta autonomia, popoli e stati, del proprio destino e delle amicizie con cui condividerlo. E giustizia. La prima in assoluto, forse bastevole alle altre, la giustizia di godere tutti, insieme e singolarmente, di ogni diritto. A partire da quello del pane, del lavoro, della casa. Allo studio.
Il pane giusto, caldo del forno. Il lavoro dignitoso. La casa buona. La scuola efficiente e sicura, come i ponti e le strade, anche quelli ideali del sogno che si realizza. Del cammino che unisce. Come il mare della fratellanza nella Terra di tutti. La guerra in qualsiasi delle due modalità si svolga uccide migliaia e migliaia di esseri umani. La parte stragrande innocenti, se questo termine lo si voglia proprio usare, essendo per me ogni morte uguale alle altre nella uguale dignità della vita. La guerra, purtroppo, non è una partita di calcio, in cui lottano solo i calciatori nel rettangolo di gioco. Ed essa non avrà mai armi intelligenti che colpiscano solo obiettivi e siti militari. La guerra, nelle due modalità, armata e “ sanzionatoria”, uccide all’impazzata. Uccide e basta. Con le armi, del fuoco e della fame. Uccide anche psicologicamente con il terrore che genera in quei territori minacciati. La guerra ha il volto dei bambini e quello dei vecchi. Ha gli occhi delle madri e il loro grido disperato nel pianto asciutto di lacrime. Gli occhi aperti sugli schermi televisivi ce li stanno facendo vedere ad ogni ora di questi giorni drammatici. E noi al posto loro versiamo le nostre lacrime d’occasione. Come abbiamo fatto con le altre guerre del passato. Le guerre degli altri. Adesso “ gratifichiamoci” di questo dolore catartico. Di Putin e della sua voglia di nuova Unione Sovietica e di un nuovo grande impero zaristico lasciamo che ne parlino i tuttologi negli affollati salotti televisivi che hanno immediatamente preso il posto di quelli sul Covid.
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