La lettera di Franco Cimino a Don Francesco Brancaccio nel giorno della sua “partenza”

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images La lettera di Franco Cimino a Don Francesco Brancaccio nel giorno della sua “partenza”

  14 settembre 2025 14:54

di FRANCO CIMINO
 
E te ne sei andato così, Don Francesco. All’improvviso, te ne sei andato.
Sì, che si sapeva della decisione del Vescovo per l’attuazione del suo programma di movimentazione dei responsabili delle parrocchie. Non tutte, in verità, ma la nostra — tra le più importanti dell’intera diocesi — è stata in qualche modo “terremotata”.
 
Nella tua ultima Messa alla San Giovanni, te ne sei andato, quella delle dodici da cui hai parlato a quel popolo di adulti che veniva ad ascoltarti per diventare popolo di fedeli “adulto”.
Ché, come ci hai insegnato, non basta l’età per essere adulti, individualmente.
Come non basta essere vecchi per diventare saggi.
O essere giovani per confermarsi nella bellezza piena della giovinezza.
 
La tua ultima Messa è stata, come sempre, semplice, snella, leggera.
Come leggere sono state sempre le tue parole nella spiegazione del Vangelo, che ci facevi sentire come parola viva, sussurrata all’orecchio di chi veniva in chiesa anche per domandarsi se e come, nella vita quotidiana, il grande immodificabile insegnamento di Gesù possa educarci a vivere in comunione con gli altri.
Nel ricercare quella pace dentro di noi, quale condizione essenziale per costruire la pace fuori di noi.
 
A partire dai nostri piccoli luoghi: la famiglia, la scuola, il lavoro, il bar dello sport, la piazza, il nucleo stretto delle nostre amicizie. E nel rapporto di coppia, come nei sentimenti amorosi contrastanti.
Per arrivare, via via, ad operare per la pace nella nostra Città, sempre stretta tra indifferenza, piccoli egoismi, piccole invidie e gelosie, pesanti frustrazioni e molte grandi ambizioni di piccoli uomini, che vogliono sfruttare la stanchezza della povera gente, la sofferenza di chi si sente inadeguato o emarginato, il dolore di chi cerca e non trova.
 
La pace qui, nella nostra Città.
 
E da qui, operare per la pace nel mondo.
Rinunciando finalmente a considerarci estranei ai conflitti veri, quelli armati, omicidiari o genocidiari, che si allargano sempre più sul pianeta, lasciandoci indifferenti solo perché lontani, territorialmente, da noi.
 
Rimuovere, anche da qui, dalla tua chiesa, quell’antica espressione pronunciata dinanzi alle rovine di città e paesi, ai lutti, alla disperazione, alle stragi consumate in quei posti lontani:
“Che ci possiamo fare? Questa guerra non è la nostra. È affar loro, di chi questa guerra ha voluto o ha subito.”
 
È finita la Messa e non ce ne siamo neppure accorti.
Che già non ti vediamo più, dopo gli abbracci e le strette di mano di tutti noi che siamo venuti a circondarti — come si fa con un amico prezioso che vogliamo tenere prigioniero.
 
Te ne sei andato così,all’improvviso.
Sembrava fosse ieri che sei venuto da noi.
E invece sono passati vent’anni esatti.
 
Vent’anni della tua giovinezza dedicati a noi.
Ai nostri figli, che sono cresciuti — anche quelli che non hanno frequentato la tua chiesa — davanti a te e all’esempio della bella persona che sei.
Dedicati a noi che siamo diventati adulti, nel vero senso della parola, frequentandoti anche quel poco che si potesse fare.
Attraverso questa parrocchia che è cresciuta in partecipazione e iniziative, in vivacità spirituale e organizzativa, grazie a te.
E al tuo incessante lavoro, sempre accanto a quella tua splendida sorella che non hai mai lasciato un momento.
E con la quale, mano nella mano, ti vedevamo uscire dalla chiesa dopo le tue giornate impegnate al suo interno.
 
Vent’anni dedicati a noi, che per fortuna siamo diventati vecchi accanto a te.
Vecchi belli, grati al Signore per esserci arrivati sani e lucidi, e poter continuare a essere vecchi con le gambe da vecchi, ma con lo spirito e la mente dei ragazzi di un tempo.
Di quei ragazzi che siamo stati e che, nel nostro cuore, siamo rimasti.
 
Sei venuto giovinetto, e te ne vai uomo pienamente fatto.
Sacerdote ragazzo, e te ne vai sacerdote ricco di una spiritualità nuova, cui ha contribuito l’esperienza di vita che hai realizzato qui, da noi.
Alla San Giovanni, basilica tra le più belle e preziose della nostra terra.
 
Vent’anni sono passati in un attimo.
Ma quest’attimo lo faremo durare in quell’eterno che è già dentro di noi, e che ci aiuterà a raggiungere quello assai più prezioso.
 
Adesso ti vedo di spalle, mano non nella mano di tua sorella.
Uno sguardo, il nostro ultimo da qui e non ti vedo più.
 
Stai andando lontano. Sebbene a sette chilometri da noi.
Dove farai opera ancora più grande di quella realizzata nella nostra chiesa.
 
Ma non ci importa dove andrai, non è questo adesso il nostro pensiero.
Troppa è l’emozione, troppo il dispiacere di vederti andare.
 
Buona vita, caro Don Francesco.
E grazie di tutto il bene che hai fatto qui.

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