di FRANCESCA FROIO
Segni indelebili quelli tracciati da questo momento storico sulle vite di ogni singola persona. Timori, sacrifici,, ma anche grandi insegnamenti, come il comprendere che, oltre al semplice bene materiale, esiste qualcosa di vero: il rapporto umano, essenziale per vivere. Anche di questo ha parlato nel suo tema l’alunno Giuseppe Froio che raccontando le sue sensazioni da maturando 2020 ci confida il sogno di diventare docente. E noi, caro Giuseppe, te lo auguriamo di vero cuore.
Sono passati più di due mesi da quel giorno, il giorno in cui ognuno di noi, ogni studente, aveva capito che quella sarebbe stata la nostra ultima campanella di quest’anno. Forse qualcuno se lo aspettava. Il Coronavirus si è presentato nelle nostre vite come se fosse una persona dal carattere misterioso, rivelandosi a noi poco alla volta, per poi sconvolgere le nostre vite. All’inizio poteva sembrare che fosse cosa da nulla, si sentiva dire spesso “è una semplice influenza” oppure “il tasso di mortalità è basso”.
Oggi abbiamo più di 3 milioni di casi in tutto il mondo e più di 200 mila casi nella nostra nazione, ora non sembra più cosa da poco. Quando il Primo Ministro Giuseppe Conte ha dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia e la quarantena obbligatoria per tutti i cittadini è calato il silenzio. Un silenzio tombale, giustificato dal fatto che i numeri crescessero in modo esponenziale, legittimato dalla paura, dalla perdita della propria libertà.
Improvvisamente, tutti quanti, dopo i primi giorni di quarantena hanno cominciato a sentire la mancanza della loro libertà, anche coloro i quali, quando ancora non c’era il COVID-19, stavano nelle loro case, non curanti dell’esistenza del mondo. In questo momento riecheggiano le parole di Schopenhauer: “L’uomo, se vuol vivere sereno, deve eliminare la volontà di vivere, ovvero un sordo, cieco, impulso che ci fa soggiacere e dipendere dalla materialità della vita”.
Quel che il filosofo tedesco ha voluto raccontarci nella sua opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”, non si limita alla sola dipendenza fisica e materiale di qualcosa o, perché no, di qualcuno, ma parla di come ogni cosa sia relativa, non a caso il titolo ce lo anticipa. Soprattutto il tempo che stiamo passando in questa quarantena è diverso per ognuno di noi, perché lo percepiamo e lo affrontiamo diversamente. Gli stessi Pirandello e Seneca parlano del tempo, il primo affermandone la relatività e il secondo scoprendo e raccontando il valore dell’otium. In questa pandemia ognuno di noi ha scoperto di dipendere da qualcosa: dagli amici, dai parenti, dal fidanzato o dalla fidanzata, i propri compagni ecc.
Però non interpreterei questa dipendenza come negativa, tutt’altro, perché ci fa capire che, oltre al semplice bene materiale, esiste qualcosa di vero: il rapporto umano, essenziale per vivere. Dobbiamo dire che il Coronavirus ci ha proprio scombussolato la vita, allontanandoci dalle cose migliori che prima avevamo. A me manca la mia libertà. Mi manca vivere la scuola, per quanto possa avermi portato ansie e timori diverse volte, perché mi ha dato la cosa migliore che ho ora: la mia vita. La mia vita è nata sui banchi ed è cresciuta durante questi 5 anni.
Mi ha fatto conoscere i miei amici, le mie amiche e la mia fidanzata. Però vorrei soffermarmi sulle mie compagne di liceo, quelle che hanno dato una valore particolare a questo percorso che sta per concludersi: a loro devo molto e voglio bene a tutte nello stesso modo, siamo un gruppo che hanno condiviso avventure e disavventure. Ci siamo dati una mano a vicenda nonostante le varie discussioni, ne siamo sempre usciti. Sono altrettanto convinto che al tempo stesso non possa essere stato un compagno modello, ma se esistesse non avrebbe bisogno dei suoi compagni. Ed io ne ho bisogno. Questa quarantena mi ha fatto riflettere e mi sono reso conto del tempo che ho sprecato, che ho dedicato, che ho ben utilizzato e di come in futuro dovrò utilizzarlo meglio.
Ora i miei pensieri vanno sul futuro, su quel che sarà l’esame di stato e il Tolc per entrare nell’università. Se mi avessero detto, qualche mese fa, che non avrei passato normalmente il mio ultimo anno, non ci avrei creduto. La stessa maturità è stata stravolta e il solo pensiero di non poterla vivere nel modo in cui merita di essere vissuta, mi rattrista. Perché me la sarei aspetta diversamente. Ancora prima che il COVID-19 arrivasse da noi, eravamo molto più tranquilli e sicuri riguardo a questo nostro esame. Ora invece ci siamo ritrovati a vivere un costante cambiamento: più i giorni passavano, più l’idea dello svolgimento della maturità diventava sempre più confusa e indecisa, senza rassicurarci, lasciandoci in balia del tempo.
I giorni passano, le ore scorrono, e mi sento come se niente sia realmente certo e sicuro. L’unica cosa che so è che mi sarebbe piaciuto vivere questo periodo con la stessa intensità con cui ho cavalcato quest’ultimo anno e di avere lo zaino in spalla, per ricordarmi il peso delle mie decisioni e di ciò che mi portavo dietro. Ora quello zaino è vuoto, disfatto come i miei pensieri e leggero, esattamente come vorrei sentirmi in questo momento.
Ma forse è meglio così, in fondo sentiamo spesso dire che “per sentirti vivo, devi sentire il dolore” e credo che sia proprio così. Alla fine noi studenti, come i professori, ora ci ritroviamo abbandonati a noi stessi, nelle nostre case, stanchi più che mai senza avere la soddisfazione di poter entrare nelle nostre aule. Sto soffrendo, lo ammetto.
Soffro in silenzio, tra me e me, perché non posso rivedere chi c’è stato da sempre, scherzare e confidarmi con la mia compagna di banco, tra un caffè e l’altro, correre per prendere il pullman e aspettare il suono della campanella. La avrò sentita non so quante volte in questi anni, ma il vago ricordo non basta a tranquillizzare il mio cuore agitato. La mia campanella sarà lo stesso, indeciso e multiforme, esame, il coronamento di un percorso che si conclude e il trampolino di un nuovo inizio.
Sinceramente se mi dovessero chiedere dove mi vedo tra 10 anni, direi nella scuola. Mi piacerebbe poter essere una figura di riferimento, una figura che, prima ancora di saper far amare la propria materia, si sappia far amare come persona. Caro Coronavirus, hai stravolto la mia vita. Mi hai recluso in casa e mi hai reso impossibile uscire, ma ti ringrazio per avermi fatto capire quale sia la mia “vera volontà di vivere”: le persone che amo.
Giuseppe Froio 5C IIS “Fermi”
Liceo delle Scienze Umane
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