La montagna, croce e delizia di una comunità

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  29 maggio 2019 17:07

di Teresa Aloi  

GIMIGLIANO- Arriviamo a Gimigliano di prima mattina. Paesaggi di rara bellezza dove, agli  scorci bucolici si mischiano scorci urbani  che sembrano staccarsi  sprofondando verso il fiume.  Famoso per il suo  bellissimo marmo verde estratto dalle cave, ora inattive, situate nella valle del fiume Corace,   il paese sembra sonnecchiare.  “Circondato” come in un abbraccio, si fa per dire, da quella  montagna   ricca di rame e di altri metalli pesanti,   in località Marra, o contrada “Patia” che custodiva miniera di pirite  abbandonate nel 1949 perché scarsamente produttive.  Della loro presenza se ne parla in una relazione  della Reale Accademia  dei Lincei “Sulle chinzigiti della  Calabria. Memorie”  del dott. Domenico Lovisato – Roma 1879   - “Pirite: si trova in piccoli pentagonododecaedri nel calcare bianchiccio, ceroide e listato di Gimigliano sotto la pietra di San Martino  e nell’altro che si continua  al di là del Melito  sulla sua sponda sinistra”.

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 C’è un passaggio poi quasi 90 anni dopo  quando   Luciano Vighi, nel 1967, nel suo scritto: "Sulla possibilità di ricerca di nuovi giacimenti di pirite in Italia", indicava proprio Gimigliano come unico sito calabrese di un certo interesse minerario. E, a proposito, scrive: "In questa zona si trovano lenti di pirite di modeste dimensioni entro filladi triassiche simili a quelle della Toscana. La serie triassica in Calabria presenta caratteristiche simili a quelle della serie triassica Toscana. Nella zona di Gimigliano è nota l’esistenza di grandi faglie di formazione posteriore a quella del granito. Non è da escludere quindi che in zone tettonicamente e stratificamente favorevoli possano essersi formati depositi di pirite di pratico interesse. La zona di Gimigliano non è stata mai presa in esame per tale possibilità nè vi sono stati eseguiti rilievi geologici di dettaglio".

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 Una montagna così ricca di metalli, dunque da essere conosciuta Oltre Alpi: un massiccio “prezioso” sfruttato   alla fine degli anni ’50 del secolo scorso e poi abbandonato al suo destino. E di bonifica neppure a  parlarne.  Eppure per anni, per  tanti anni, ha rappresentato una fortuna   poter disporre di pirite per la lavorazione del ferro, e degli altri metalli pesanti. Non solo per armamenti bellici ma anche per chi, i minatori, lì avevano eletto casa e lavoro.  Eppure... Di quella immensa fortuna oggi, a macchiare un passato così glorioso, restano discariche, “allestite” nella parte bassa della montagna. Immensi cumuli di rifiuti dove anche l’erba più tenace fa faticare a vedere il sole che, da queste parti, sa essere benevolo e  malevolo.  Un sito che Pasquale Montilla conosce bene tanto da aver presentato una delle tante denunce    insospettito da un aumento insolito di tumori e di suicidi nella cittadina, presumibilmente legati agli effetti della diossina e delle altre sostanze novice dei rifiuti in decomposizione. Un “caso” anomalo da sollecitare   un controllo del territorio per possibili combinazioni di altre concause, quali fonti di inquinamento. Lui, per primo, aveva capito che quell’ex giacimento di  rappresentava un’area  “ad alto rischio per la salute umana”.  

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