DI FILIPPO VELTRI
Con “L’Assedio. Storia della criminalità a Roma da Porta Pia a Mafia Capitale”, Enzo Ciconte ci ha raccontato la storia criminale a Roma. Una storia che comincia già dopo la breccia di Porta Pia con gli scandali della Banca Romana che dagli anni Settanta dell’ 800 aveva profuso forti finanziamenti a ministri e politici e che mi ha suggerito la riflessione che andrete a leggere, mai come oggi attuale specie dopo le notizie sul pentimento del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri.
In tempi più vicini, la criminalità si e’, infatti, rafforzata con la presenza di mafiosi di importanza internazionale per lo spaccio di droga dopo la fine della Seconda guerra mondiale e si e’ organizzata decenni dopo con la comparsa della banda della Magliana e infine dilaga con la recente inchiesta su Mafia Capitale, che ha puntato i riflettori su un’associazione a delinquere arrivata al cuore della politica e dell’amministrazione capitolina, e che tuttavia la Corte di Cassazione non ha ritenuto di qualificare come mafia.
Ma noi qui vogliamo occuparci di un tratto particolare e poco scandagliato di quella storia criminale e cioe di come la ‘ndrangheta ha, in quest’ambito, una potenza vitale. E la storia di Roma – presa come fatto emblematico ma il ragionamento potrebbe benissimo essere esteso a quasi tutta l’ Italia - ci parla del perche’ la ndrangheta è dovunque, e non in maniera episodica. Dunque una storia esemplare, da mandare a memoria e con una conclusione altrettanto importante.
Veniamo, percio’, a noi. A Roma alcuni gruppi familiari, gli Alvaro-Palamara, i Pelle-Vottari-Romeo, i Giorgi-Romano, i Nirta-Strangio, hanno concentrato i loro interessi nell’economico-sociale della capitale, tramite la costituzione di società fittizie aventi per oggetto la gestione di bar, paninoteche, pizzerie, pasticcerie e ristoranti. Non ci sono gli omicidi, ma c’è una presenza molto forte di importanti e rappresentative famiglie della ‘ndrangheta – in tutto una trentina di nuclei familiari – che sono attive in campo economico. Gli uomini di ‘ndrangheta hanno deciso di essere presenti in modo permanente in città; per questo hanno acquistato negozi, ristoranti e altri locali. La loro presenza non è effimera.
I beni utilizzati sono dati in gestione a uomini fatti venire apposta dalla Calabria: dando da lavorare aumenta il loro consenso e nello stesso tempo riescono a mantenere le loro posizioni sul territorio. Gli ‘ndranghetisti sono a Roma perché hanno scelto la Capitale come un punto nevralgico della loro espansione territoriale al di fuori della regione d’origine trovando un terreno fertile.
In un rapporto del GICO della Guardia di Finanza le ‘ndrine importanti della Locride e della Piana di Gioia Tauro sono descritte come il «terminale delle attività economiche finanziarie»; esse guardano «sempre con più attenzione alla Capitale, ai suoi interessi economici, riciclando fiumi di denaro». Ci sono anche altri, oltre agli ‘ndranghetisti: tanti, vecchi e nuovi, agglomerati. Non c’è più la banda della Magliana, ci sono gli «invisibili», come li definisce De Ficchy. Il territorio di Roma è insomma un groviglio di vecchie e nuove mafie e la ndrangheta non arriva in un tessuto sano. Tutt’altro!
L’Osservatorio tecnico-scientifico sulla sicurezza e la legalità della Regione Lazio ne redige la mappa nel 2010: al Flaminio Nord ci sono le ‘ndrine dei Morabito, Bruzzaniti, Palamara, Speranza, Scriva; a Ostia esponenti dell’ex banda della Magliana, i Fasciani, i Cuntrera-Caruana, il clan Triassi legato a cosa nostra e i Senese, un raggruppamento camorristico della Nuova famiglia campana, che sono anche a Ciampino-Centocelle; a San Basilio c’ è la ‘ndrina dei Sergi-Marando; a Borghesiana gli Ierinò; a Tor Bella Monaca e Romanina gli Alvaro e i Casamonica, attivi anche ad Appio, Tuscolano, Anagnina.
Nel territorio erano presenti 25 cosche della ‘ndrangheta, 17 della camorra, 14 di cosa nostra, 2 della sacra corona unita. A quella data risultavano confiscati 189 immobili. Queste le presenze, le cifre, i numeri. Altro che semplice infiltrazione!
Questo, dunque, a Roma. Quando si parla di tentacoli della ‘ndrangheta e’ quindi opportuno sapere di che si discute, senza minimizzare quel che accade lontano da noi e Roma equivale, in questo senso, all’Emilia del neo pentito Grande Aracri, o alla Lombardia o al Veneto o alla Valle d’Aosta: le mafie sono cioè lì dove sono ricercate, dove un tessuto politico economico richiede la loro presenza. Prenderne coscienza significa sapere come combattere il nemico senza fumisterie antropologiche, così diffuse in questi tempi in cui si tenta di accreditare la presenza ndranghetistica come pure infiltrazione in tessuti sani, corrotti dai soliti calabresi brutti sporchi e cattivi.
Non è così ed è bene che tutti se ne facciano una ragione: le cosche arrivano lì dove c’è un tessuto malato che non riesce a risolvere le proprie contraddizioni in maniera pacifica. E purtroppo questo avviene in tutta Italia e in gran parte dell’Europa. Ma la testa resta sempre qui in Calabria, a Cutro come a San Luca. La storia di Roma è in tal senso solo un paradigma.
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