di ADRIANA COSTA*
Era il 9 marzo 2020 quando il Premier Giuseppe Conte ha pronunciato le seguenti parole: “Adesso non ci sarà più una zona rossa: tutti dovranno restare a casa, tutta Italia sarà zona protetta”.
Da quel terribile momento sono passati 9 mesi, in cui tutti abbiamo dovuto sospendere le nostre vite, limitare i nostri rapporti, limitare le nostre libertà. E’ stato un periodo duro per tutti, ognuno con i propri mezzi ha dovuto fronteggiare una situazione emergenziale. Una situazione che se ce l’avessero raccontata non ci avremmo creduto. D’altronde basti pensare a quando sui Tg nazionali, osservavamo le immagini di Wuhan con estraneità, convinti che sarebbe rimasto un fatto isolato in un Paese troppo lontano dal nostro per raggiungerci.
Eppure, dopo neanche un mese (ma c’è anche chi ipotizza che il virus in Italia circolasse già da prima), ecco che anche l’Italia viene colpita. Codogno, Milano, Bergamo, Brescia, Firenze, Roma, Torino, e poi Napoli, Bari. Improvvisamente, l’Italia tutta diventa veicolo del virus. Tante, sono state le questioni sollevate in questi mesi. Era solo un’influenza? Si muore solo se si ha più di 65 anni? Al caldo il virus muore? Ma il governo può chiudere tutto? Ma le nostre libertà possono essere limitate? Ma il Dpcm è legittimo? Ma tutti questi morti sono morti “di” covid o “con” il covid?
Troppe domande, poche risposte. E mentre i social, i tg, i giornali, venivano assaltati da dibattiti politici, medici, guerre di partito, c’era un’altra Italia. C’erano gli italiani che combattevano con il virus negli ospedali tra la vita e la morte, c’erano i familiari delle vittime che non potevano neanche dare l’ultimo saluto ai propri cari, c’erano i medici e gli infermieri che facevano turni asfissianti, c’erano gli italiani che chiudevano aziende, fabbriche, negozi. C’erano italiani che iniziavano a morire di fame. C’erano italiani che morivano di solitudine, di depressione, di angoscia. E tra le tante domande che il Governo si poneva, c’erano italiani sempre più soli. Sono passati nove mesi e molte risposte non sono arrivate, ma si aggiungono altre domande. Dopo il primo lockdown è arrivata l’estate. “Apriamo tutto, liberi tutti, mascherine non obbligatorie, italiani siete liberi”.
Abbiamo respirato. Con leggerezza abbiamo assaporato nuovamente la tanto mancata libertà. Ci siamo ricordati, di nuovo, di quanto prezioso fosse un bacio, di quanto bello fosse andare al mare, di quanto bella fosse una cena, di quanto bello fosse vivere nella banalità della quotidianità.
Ma questa libertà, poi, l’abbiamo pagata cara. I contagi tornano a salire. L’indice Rt impenna. I morti aumentano. Gli ospedali cedono di nuovo. L’incubo ritorna. Nuovi Dpcm, nuove restrizioni. Di nuovo la libertà messa all’angolo.
E così nuove domande, nuovi dubbi. Non eravamo pronti. Un Governo incapace di gestire, di organizzare, di dare risposte. Un Governo che non ha posto le fondamenta per non far crollare un sistema già degradato. La situazione emergenziale ha risaltato problemi che, in realtà, albergano nel nostro Stato da sempre ma che sono stati trattati negli anni con troppa indifferenza.
Una classe politica inadeguata, un sistema sanitario al collasso. Una pubblica amministrazione non capace di salvaguardare e gestire gli interessi pubblici. La pandemia ha colpito tutto. Ha bloccato tutto. Ci ha fatto dimenticare tutto, ci ha reso succubi del sistema, della burocrazia. Ma la pandemia ci ha cambiato anche come uomini. Ci ha resi schiavi del tempo, schiavi di un mondo, schiavi dei ricordi. L’Italia non era sicuramente pronta alla seconda ondata. Gli italiani neanche.
La fine arriverà, perché ogni cosa ha il suo ciclo. Torneremo sicuramente a lavoro, torneremo ad uscire, a ballare, a fare le cene, a ridere e ad abbracciarci. La domanda però resta una: alla fine di tutto, qualcosa cambierà? Noi cambieremo?
Ai posteri l’ardua sentenza.
*dottoressa in Giurisprudenza
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