La piazza di Salvini e la divisione del Paese

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Franco Cimino
  15 agosto 2019 13:39

Forse, avrei fatto meglio a restare a guardare l’atteso Techeteche della Rai dedicato al venticinquesimo della morte dell’immenso Domenico Modugno, l’uomo del Sud, che, con la sua arte e le sue canzoni, ha unito il Paese più di quanto non abbia fatto il maestro Manzi con la cattedra televisiva di “ Non è mai troppo tardi” , la famosa trasmissione che, puntualmente, ogni sera, dalle 18 a poco prima del telegiornale, insegnava agli italiani, che non la conoscevano, la lingua ufficiale e comune. Ma la curiosità, alimentata dallo star sistem, che sforna personaggi come un forno il pane, stata troppo forte e quindi ci sono andato. Tra l’altro, ero anche stimolato dai pochi passi che avrei impiegato, in una sera ferma a trentadue gradi, per raggiungere il lungomare dove si sarebbe “ esibito” Matteo Salvini. L’arrivo un po’ in ritardo sull’orario annunciato, non ha stancato i suoi contestatori che da un’ora prima li si sentiva , diciamo, tambureggiare a guerra.

Conosco bene il capo della Lega e il suo percorso politico, che dal nulla l’ha portato ai vertici del potere. Quello istituzionale così come è stato ridotto oggi, non quello reale che ha sede altrove, nomi segreti e volti invisibili. Conosco il suo scarno pensiero politico, la parola nuda e gli slogan accesi con cui lo sostiene( le televisioni, conformiste come sono sempre state, ce li inoculano in presa diretta quotidiana). Conosco pure la situazione del Paese e le condizioni degli italiani che spingono gli umori e i ri-sentimenti a trasformarsi in crescente consenso politico a suo favore. Conosco pure il ruolo che la falsa scienza dei sondaggi ha nell’amplificare la forza e la popolarità dei personaggi della politica entrata nel mondo accecante dello star sistem. Conosco anche la fragilità estrema per cui rapidamente periscono quei miti aleatori che il sistema costruisce, allo scopo proprio di evitarne quella continuità temporale, che potrebbe trasformarli in leader veri e quindi pericolosi agenti sul potere. Mi incuriosiva pertanto vedere, non già conoscere, la piazza che, a Soverato, si sarebbe realizzata davanti a lui, l’uomo che tutti stupidamente hanno lasciato fare e che ora gli stessi indicano quale il nuovo Mussolini nascosto dentro le sue beige bermuda. Mi interessava solo la piazza, quella piazza, ché gli spazi della politica non sono sempre gli stessi, nonostante la loro rassomiglianza estrema.

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Di questa vi dico. E dei miei occhi che l’hanno fotografata. Ieri sera, era divisa in tre parti, anche fisicamente intese. Le prime due a seguire in forma rettangolare, davanti al palco. L’altra, lunga e larga, al lato sinistro dalla postazione dell’oratore famoso, che, alla fine, per il selfi generosamente offerto a tutti, ha chiesto di salire da destra “ perché è da quella direzione che nasce il buono per l’Italia”. Purtroppo per il capo della Lega, in quell’area vi era una folla considerevole, la più grande parte di tutta quella radunatasi. Era composta da gente comune, semplice, che appare lontana o “allontanata” dalla politica. È venuta per vederlo da vicino, per cercare di capire se può fidarsi di lui visto che la sua ascesa al governo, che loro vorrebbero ancora vedere disgiunto da potere, sembrerebbe ineluttabile. La sfiducia è così tanta per la politica, che vorrebbero potersi affidare a qualcuno o a qualcosa, che, in qualche modo, la rianimi. Nel rettangolo di cui sopra, ci sono due parti separate dalle forze di polizia in assetto “ antisommossa”. In una, sotto il palco, vi erano i sostenitori di Salvini, il leghista che un tempo si dichiara per un Nord contro il Sud, condendo questa posizione con una buona serie di insulti ai meridionali, campani e calabresi su tutti. Nell’altra, si agitavano con grande energia, i suoi contestatori, i quali, prima che il dissenso sulle sue politiche gli urlavano contro, ricordandogliele, le risposte a quei non lontani insulti. Queste che piccole folle si eguagliavano in quantità. In rapporto, non numerosa quella pro-Lega rispetto alle attese, numerosa quella dei contestatori, di numero maggiore rispetto “ ai quattro gatti” previsti.

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Nella folla di Salvini c’era brava gente, donne e uomini comuni, pensionati grati, padri e madri di famiglia fiduciosi che la sempre più magra economia familiare si risani e ritorni vivida. Ovvero, che se ne arresti la folle corsa verso la povertà assoluta. Che i figli abbiano un lavoro che li faccia vivere sereni ed altri figli portino nelle case di quei padri e di quelle madri. Nella parte antagonista di quel rettangolo, guardati a vista da decine di posizioni, c’erano idealmente i figli di cui abbiamo detto. Ragazzi e ragazze vocianti con quelle braccia a roteare in aria come uniche minacce al “ nemico”. Slogan talmente violenti che si potrebbero cantare con i bambini nel cortile. Ragazzi e ragazzi, qualcuno meno giovane, normali, come lo sono i nostri figli. Con tanta rabbia in corpo, simile a quella degli “ avversari” , Rabbia che quei ragazzi pensano, urlandola, di trasformare in opposizione politica forte, perché qualcuno, che nelle piazze non entra o dietro qualche alto albero si nasconde, gli ha detto che una volta le piazze occupate sconfiggevano i “ tiranni” di qualsivoglia taglia.

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Come ne è uscito Salvini? Con due ore di gioviale intrattenimento a bordo palco con un centinaio di uomini e donne che hanno voluto farsi fotografare con lui, prendendosi intanto l’unica vera offerta della serata. Quel che resta, invece, è questa piazza a simboleggiare l’Italia di oggi. Un Paese diviso in tre parti. La prima, la più grande, quasi maggioritaria, variamente indifferente, sfiduciata, rassegnata, stanca, che deciderà se restare indifferente a tutto o astenersi dal voto per un silenzioso vaffa a tutti. Le altre due, la metà esatta degli italiani, a scontrarsi duramente, alimentate dall’odio che si è voluto far nascere dal rancore e dalla rabbia per le condizioni precarie in cui è stato portato il Paese. L’Italia, depauperata, umiliata, sfinita, depressa, è stata portata in guerra contro se stessa. Guerra fratricida, nella quale vinceranno sempre loro. Quei pochissimi, che in guerra non ci vogliono andare e che sulle guerre degli altri costruiscono le proprie ricchezze. Di questa Italia, affinché resti così, qualcuno, non solo Salvini, vorrebbe le leve di un comando. Per andare dove e con quale barca, francamente non è dato, né è immaginabile, sapere.

Ps: della serata, l’unica nota rilevabile, potrebbe essere l’impresa di quello sciocco, che, genialmente, volendo fare un favore alla propaganda del “ nemico”, gli ha staccato la spina del microfono. Poverino, pensava di fare la rivoluzione. Ha più volte ascoltato quelli che in piazza non ci vanno o dietro gli alberi si nascondono, i quali dicono che la rivoluzione si fa così.

Franco Cimino

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