La psicologa Pirrò sulle difficoltà genitoriali e adolescenziali nei processi di sviluppo. "Eroi solitari o responsabilità condivisa?"

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images La psicologa Pirrò sulle difficoltà genitoriali e adolescenziali nei processi di sviluppo. "Eroi solitari o responsabilità condivisa?"
Valentina Pirrò
  02 ottobre 2020 19:34

di VALENTINA PIRRO'*

“Noi siamo tempesta” scrive Michela Murgia nel riuscitissimo libro che parla di condivisione, collaborazione, conquiste, progetti e idee nate dalla forza della cooperazione e dell’aiuto reciproco.

Banner

Sedici storie che raccontano di successi senza eroi, nel senso più solitario che tale termine evoca. Sono quegli eroi che i nostri ragazzi inseguono oggi, fomentati dal mito della realizzazione personale e dell’individualismo, dal bisogno sempre più forte di ammirazione e competizione, in un mondo che confonde ciò che è reale e ciò che è virtuale. Murgia ci racconta che, di per sé, l’eroe è proprio il contrario di quello che deve essere la società, intesa come cosa pubblica e da cui nessuno deve sentirsi escluso. E dunque si deve collaborare, fare squadra, perché, qualcuno diceva, nessuno si salva da solo!

Banner

“Noi siamo tempesta!” Sembrano urlare i nostri adolescenti, sempre più veloci di noi, sempre più arrabbiati con noi, in un tempo di crescita e cambiamenti che sembra, per i genitori, infinito. L’adolescente è drammaticamente consapevole del tempo che passa e dei cambiamenti che esso comporta: in adolescenza s’impara a essere qualcuno rinunciando a essere altro, si presentano al mondo una o più immagini di sé. I bambini diventano adolescenti molto precocemente e faticano a uscire da questa fase perché è sempre più difficile rispondere alle domande fondamentali che sentono crescere dentro di loro in modo sempre più impellente: Chi sono? Che cosa faccio? Dove sto andando? La fase adolescenziale è di per sé una fase critica, di messa in discussione delle certezze infantili: l’adolescente si rivolge verso l’esterno della famiglia, il gruppo di amici e i modelli di riferimento diventano esterni alla famiglia.

Banner

Per fare questo però è costretto ad attraversare il lutto di non essere più quel bambino sempre protetto dai propri genitori e il lutto di dover investire libidicamente non più verso di loro, ma verso l’esterno della famiglia.

Come ben si può comprendere, questo non solo è doloroso, ma è anche faticoso e “pericoloso”. Mentre il bambino, generalmente, sa che riceverà gratificazione e amore dai suoi genitori, quando l’adolescente è costretto a rivolgersi all’esterno della famiglia per ricevere un riconoscimento sociale, questo non è per nulla dato per scontato.

Proprio in questa fase di vita, il compito di sviluppo principale è quello della costruzione della propria identità. Per fare questo l’adolescente si deve separare e individuare, deve separarsi dalla propria famiglia e dai suoi valori e regole per crearne di propri. L’adolescente ha bisogno di passare attraverso questa crisi evolutiva per capire e definire chi è e cosa desidera, chi vuole diventare da grande, complice un corpo che cambia, spesso estraneo e ostile.

La stessa crisi evolutiva la deve attraversare anche la famiglia dell’adolescente che, suo malgrado, si trova a doversi modificare e riassestare su diversi equilibri e nuove dinamiche, in funzione delle quali le regole vanno rinegoziate. L’adolescente, dal canto suo, deve passare attraverso emozioni intense e ambivalenti, fatte di amori non sempre corrisposti, fallimenti amicali, difficoltà, delusioni, fatiche, in un mondo che ora sembra non capirlo più.

Spesso questa è solo una fase di passaggio, una normale crisi evolutiva che si risolve con il solo passare del tempo, attraverso la sperimentazione di sé e la costruzione di una nuova identità che li porterà all’ingresso del mondo adulto.

In questa fase di crescita e sviluppo, il gruppo, la condivisione, il senso di responsabilità verso l’altro e l’empatia, intesa come capacità di porsi in maniera immediata nello stato d'animo o nella situazione di un'altra persona, diventano elementi cardine. Io ci sono per te, tu ci sei per me! Cosicché gli eroi non siano solo frutto di vittorie personali, di sfide solitarie nelle quali solo se vinci sei il migliore.

Non dimentichiamo che la paura della solitudine, la necessità di dare senso e valore a un’identità ancora indefinita, pongono di frequente i ragazzi in situazioni rischiose. Pensiamo agli episodi di bullismo, rispetto ai quali spesso ci si sente impotenti, immobilizzati tra la paura di tendere una mano e il bisogno di aiutare i propri amici. Viene alla mente Willy, il ragazzo eroe conosciuto alla cronaca delle ultime settimane. Vengono alla mente i genitori che raccomandano ai figli di non intromettersi in certe beghe. Quali sono i rischi cui si può andare incontro? Che cosa fare quando ci si trova in situazioni limite in cui bisogna decidere velocemente da che parte stare? Willy ha risposto al senso di responsabilità, alla necessità di allungare la mano verso il prossimo, pagando purtroppo, con la sua stessa vita. Allora che fare in questi casi? Che cosa rimandare ai propri figli? Fare gli eroi solitari, non intromettersi, o porgere la mano? A ben vedere, un’esperienza empatica troppo totalizzante, quasi fusionale, può togliere lucidità e autonomia a chi intende prestare aiuto e può esporlo a rischi notevoli.

Spesso è difficile per i genitori dare indicazioni ai propri ragazzi, insegnargli cosa sia meglio per sé e per l’altro, ma “non t’intromettere!” non può essere la soluzione. Sviluppare un atteggiamento empatico verso l’altro, un comportamento socialmente responsabile, fin da bambini, aiuta i nostri figli a conoscere e riconoscere se stessi e le emozioni proprie e degli altri. Aiuta a non chiudersi nel muro dell’indifferenza e a creare un senso di responsabilità condivisa che li renderà adulti competenti a sviluppare comportamenti di aiuto e ridurre l’aggressività.

Le situazioni emergenziali nelle quali spesso i nostri ragazzi si trovano, vanno allora comprese in tutta la loro complessità, e riconosciute come potenzialmente pericolose, almeno in certe condizioni. Allora, in questi casi, è fondamentale aiutarli a sviluppare uno spirito critico, a valutare in che modo si può tendere la mano verso l’altro senza voltarsi dall’altra parte, comprendere se è utile buttarsi a capofitto dentro una situazione rischiosa o, per esempio, chiedere aiuto, pensare in maniera consapevole in che modo si possono aiutare gli altri, senza essere eroi solitari!

*Psicologa Psicoterapeuta

 

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner