La riabilitazione a Catanzaro diventa un calvario: numeri risicati nella vetusta visione dell’Asp

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L'ingresso dell'Asp di Catanzaro e dell'ex Pugliese (dove c'è una parte rilevante di amministrativi della Dulbecco)
  06 maggio 2024 19:37

di GABRIELE RUBINO

Uno dei più grandi mali italiani è la burocrazia, anzi i suoi eccessi. Se questo connotato caratteristico nazionale si abbina alla sanità calabrese, che non ha mai brillato per efficienza e lo confermano le ripetute insufficienze nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, allora il mix diventa mortifero. I due elementi si sono ritrovati incrociati nella stessa coordinata: prestazioni di riabilitazione estensiva extra ospedaliera e Asp di Catanzaro. Le prime sono il set di assistenza necessaria al recupero fisico (e non solo) nella fase post acuta dei pazienti che hanno subito importanti patologie, fra cui ictus, severe malattie degenerative e gravi traumi. La seconda è la terza azienda sanitaria provinciale regionale e che è l’unica in Calabria a interpretare la normativa di riferimento in una certa direzione a differenza di tutti le altre. Fatto che provoca, al minimo, ritardi, ma, spesso e volentieri, migrazione sanitaria. Come se ne ce ne fosse bisogno.

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L'INTERPRETAZIONE 'SOLITARIA' DEI DISTRETTI DELL'ASP DI CATANZARO- Nella solitaria e vetusta visione dei distretti dell’Asp di Catanzaro il ricovero per prestazioni di riabilitazione estensiva extra ospedaliera dovrebbe essere preventivamente autorizzato dagli uffici dello stesso distretto, previa visita dell’Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM), e non già, per come avviene nelle altre Asp regionali, dove il ricovero avviene anche con prescrizione del medico di medicina generale o del medico specialista o del medico di struttura pubblica (o dal reparto) in caso di  dimissione protetta. In questi casi, appena ricoverato nella struttura privata, l’utente sarà sottoposto a visita specialistica dal medico fisiatra che provvederà a redigere un progetto riabilitativo da inviare contestualmente all’UVM che avrà il compito di verificare se i tempi del progetto riabilitativo risultino compatibili con lo stesso e per esprimersi sull’eventuale variazione del progetto e sulla sua proroga. Le procedure eseguite nel Catanzarese (che forse non valgono per il presidio ‘Pugliese’ della Dulbecco di Catanzaro dove sono ammissibili le dimissioni protette ma solo per una struttura di Catanzaro, altro paradosso), comportano dilazione dei tempi di trattamento a tutto discapito del processo riabilitativo e del recupero delle funzioni menomate con conseguenti esiti invalidanti che potrebbero essere evitati o limitati da un immediato approccio riabilitativo. Il regime di autorizzazione seguito dall’Asp di Catanzaro è sì previsto dalla legge n. 833 del 1978, peccato che sia stato superato dal Dlgs 502 del 1992 e dal DCA n. 81 del 2016, la cui impostazione è stata confermata dal Tar di Reggio Calabria con sentenza n. 1725 del 2010. In questa circostanza, i giudici amministrativi avevano censurato l’Asp di Reggio che stava tentando di tornando al precedente regime autorizzatorio, quello adesso seguito dall’Asp di Catanzaro.

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PER UNA DIMISSIONE PROTETTA UNA DONNA HA DOVUTO ATTENDERE CIRCA 20 GIORNI- Fin qui si è parlato di leggi e burocrazia, ma contano di più i pazienti e le rispettive sofferenze e difficoltà nel ricevere cure adeguate pur avendone pienamente diritto. Si diceva del riverbero (negativo) dell’interpretazione dei distratti dell’Asp di Catanzaro sulle dimissioni protette. Una donna di Santa Caterina dello Jonio e in cura in un reparto di riabilitazione Intensiva a Lamezia Terme aveva richiesto il ricovero in estensiva (stilando il relativo programma) ma, proprio per lungaggini dell’Asp, è stata dimessa non in struttura a casa ma a casa. I familiari della paziente hanno dovuto richiedere una visita fisiatrica, avvenuta a Soverato qualche settimana dopo, e solo il 19 febbraio – quindi a distanza di 20 giorni totali – c’è stata l’autorizzazione al ricovero. Il tutto con trasporti in ambulanza nei vari paesi del Catanzarese (quindi con un appesantimento per il sistema sanitario) e, soprattutto, con ritardi nella riabilitazione della paziente (i tempi celeri sono fondamentali) senza alcun valido motivo tecnico, scientifico e amministrativo.

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POCHI POSTI CONVENZIONATI E PAZIENTI COSTRETTI A CURARSI FUORI REGIONE- Fin qui abbiamo parlato di ritardi, ma c’è chi non aspetta e preferisce, anzi è costretto a curarsi in altri territori o, addirittura in altre regioni. Il nodo è rappresentato dai numeri. L’Asp di Catanzaro pur avendo 20 posti letto accreditati nell’unica struttura del Distretto di Soverato ne ha convenzionati solo 9, nemmeno il 50%, con l’ulteriore incredibile paradosso che il modesto budget assegnato viene suddiviso in 12 mensilità per soddisfare il numero medio di 9 pazienti al mese. Per cui chi ha la sventura di dover usufruire di prestazioni riabilitative post acuzie deve sperare non tanto che la struttura disponga ancora del budget ma che non abbia ricoverati 9 utenti. Come se la riabilitazione fosse un atto sanitario che si possa rinviare o programmare a piacimento. Ed infatti ci sono periodi in cui il numero di richieste supera anche i 20 posti letto e paradossalmente periodi in cui si hanno soltanto 7 utenti appunto perché nessuno si può permettere di aspettare di riabilitarsi e quindi va in altri territori o fuori regione. Infatti in questi giorni erano soltanto in sette i posti occupati. Inutile rimarcare come questa questa tipologia di prestazioni sia importante sul fronte del punteggio LEA, ma soprattutto per i pazienti calabresi che non possono essere ridotti alla stregua di freddi numeri. Un pensiero che dovrebbe sfiorare i vertici dell’Asp di Catanzaro che avrebbero tutti gli elementi per cambiare registro.

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