La riflessione dell'associazione Yairaiha Onlus. "Marchiati a vita: ora hanno arrestato e condannato il passato di Pasquale Zagari"

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  27 aprile 2021 11:35

di SANDRA BERARDI*

Avevo iniziato a scrivere della famiglia Zagari a dicembre del 2017, all'indomani dell'arresto di Italia, Rosita e Carmine, due sorelle e un fratello, che sono convinta, a leggerne le vicende, vittime del pregiudizio che alle latitudini calabre diventa marchio criminale. Poi ho desistito sperando che la Giustizia facesse il proprio corso.

Ma che giustizia è quella che permette di condannare le persone ad anni e anni di carcere sulla base del nulla? E come non considerare “nulla” l'intercettazione del rumore di due comuni buste di spesa spostate in una macchina? E può il nulla di questa intercettazione determinare una condanna ad otto anni di carcere?  Probabilmente no. In nessuna altra parte del mondo. Ma in Calabria si!, ed è possibile grazie al libero convincimento di un giudice che difficilmente sarà stato immune dai luoghi comuni e dalle narrazioni mediatiche. Come spiegare altrimenti  quelle buste di spesa spostate in macchina diventate “verosimilmente” i viveri che si dovevano portare al latitante! Ecco, è bastato un avverbio scritto tra due cose comuni e un cognome “pesante” per trasformare una persona da madre di famiglia che fa la spesa in criminale da sbattere in galera per 8 anni.

Per Carmine Zagari, invece, il non essere presente in nessuna riunione di quelle intercettate nell'operazione Terramara closed ha determinato la certezza che “l'assenza (alle riunioni ma anche dai discorsi intercettati) ne conferma lo spessore criminale ed è indiscutibile che sia il capo” al punto da metterlo in 41 bis.
Quella della famiglia Zagari è una storia come tante qua in Calabria, che ben rappresenta l’eredità mai sfumata della famigerata “Legge Pica”, dove il legame di sangue è di per sé elemento criminalizzante e il cognome diventa marchio di appartenenza ad un “locale di ndrangheta”.

In questi casi non serve aver commesso un reato, basta amare un uomo o una donna della famiglia incriminata, o anche avere un semplice rapporto di amicizia, per ritrovarsi puntati i fari della Dda e magari indagati in una delle tante operazioni antimafia, spesso di facciata, tanto care alla novella inquisizione.  

Nei mesi scorsi l’ennesimo teorema sulla famiglia Zagari, a carico di Pasquale questa volta. E Pasquale Zagari, a differenza delle sorelle e del fratello, ha un passato. Un vissuto che appartiene, appunto, al suo passato; e con il quale ha chiuso da tempo immemore. Un uomo che ha trascorso più di metà della sua vita in carcere per fatti risalenti agli anni ‘80 e una condanna all'ergastolo per “concorso morale” in fatti di cui non poteva sapere niente e a cui non era nemmeno presente. Ma tant'è. Ora, dopo aver ottenuto il ricalcolo della pena grazie alla sentenza Scoppola che ha tramutato l'ergastolo in una condanna a tempo,  il suo cognome, assieme al pregiudizio, sono bastati a farlo arrestare nuovamente con l'accusa di estorsione che non ha ragione di esistere, e nemmeno le “prove” esistono.
Eppure il Pasquale Zagari di oggi è un uomo diverso, un uomo che è riuscito a cambiare "nonostante il carcere", come rispondeva sempre a chi gli chiedeva se il cambiamento fosse maturato durante gli anni del carcere. Pasquale si è battuto a lungo affinché venisse riconosciuto questo cambiamento, sia mentre era ancora in carcere sia quando è uscito. Un uomo che ha preso le distanze pubblicamente e fattivamente dalle dinamiche criminali che avevano segnato la sua gioventù, diventando testimone di questo cambiamento nelle scuole e nelle piazze dove ha avuto l'opportunità di parlare, facendosi testimone di un'antimafia sociale, dal basso, che può venire solo da chi è riuscito a sconfiggere i presupposti degli errori del passato dentro di sé. Un'antimafia che non veste i panni dei “professionisti dell'antimafia” sempre pronti ad individuare il nuovo nemico pubblico per non perdere la rendita di posizione acquisita. No, Pasquale è un uomo che ha pagato sulla propria pelle essere nato a Taurianova, chiamarsi Zagari ed aver fatto scelte sbagliate. Ma tanto ha fatto e tanto ha pagato. Eppure, da queste parti non basta. Eh già! Il Pasquale Zagari cambiato va a sconfessare tutta una letteratura (e qualche carriera) costruita sulla “famiglia Zagari tra le cosche più potenti della Piana”. Figuriamoci il Pasquale Zagari cambiato che, addirittura torna al suo paese e prende parola in pubblica piazza contro la ndrangheta! Non può esistere! Non sia mai detto che un ex ‘ndranghetista possa diventare testimonianza vivente di quanto siano state sbagliate le proprie scelte e lanciare messaggi positivi ai giovani, che non ripetano i suoi errori, pagati uno a uno, e a caro prezzo. No, a Pasquale non è concesso. Avrebbe potuto rifarsi una vita lontano dalla sua terra, come pure aveva iniziato a fare da quando era uscito: prima a Como, poi a Padova e a Roma. Bussando con pazienza a tutte le porte per trovare un lavoro e provare a costruirsi un futuro nel poco futuro rimasto; e ci stava riuscendo pure.
L'estate scorsa è venuto a trovarmi a Cosenza; aveva mille idee e progetti per continuare quel cammino di denuncia e riscatto sociale che aveva iniziato ad assaporare tra gli studenti e le persone normali, tutti letteralmente rapiti da quella sua narrazione che non fa sconti a nessuno. A cominciare da se stesso. E non ne fa alla ‘ndrangheta, che al Pasquale di oggi fa schifo, e lo rimarca pubblicamente. Non è antimafia questa? Ecco, quello che hanno arrestato, e che vogliono condannare, è il passato di Pasquale Zagari, volutamente ignorando e calpestando l'uomo di oggi; l'uomo che negli ultimi anni stava facendo di tutto per ricucire lo strappo con la società di 40 anni prima. E ci stava riuscendo.  

*Yairaiha Onlus

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