di MARIA CLAUDIA CONIDI*
Mi chiedo perché la professione forense sia così maltrattata nel suo concreto risvolto remunerativo da parte di chi dovrebbe incarnare il braccio operativo della legge che, in materia, è più che chiara ed incisiva.
Mi riferisco a quanto accade quotidianamente nell’ambito delle procedure tese al recupero dei compensi professionali per coloro i quali non sono nelle condizioni di poter pagare il proprio legale e dunque beneficiano dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato.
La legge in materia è più che esaustiva e completa sul punto e , a seguito delle introdotte integrazioni, ha esplicitamente previsto che i compensi professionali devono essere liquidati dall’A.G. procedente al momento della pronuncia e contestualmente alla stessa.
Ai sensi infatti della normativa prevista dalla legge di Stabilità 2016 L. 208/2015 comma 783 del suo unico articolo ,è stata modificata la tempistica di presentazione dell’istanza - e quindi della liquidazione - in materia di gratuito patrocinio che ha aggiunto all’articolo 83 del Dpr 115/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), un comma 3-bis, secondo il quale il decreto in questione deve essere «emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta».
Accade però, che passano anni prima che qualcuno dall’alto del suo pulpito decisionale vomiti l’agognato decreto che, secondo quanto prevede la legge, dovrebbe essere sfornato subito da chi di dovere.
Adotto tale linguaggio perché , più che un provvedimento ai sensi di legge, pare venga richiesto un vero e proprio privilegio, la soddisfazione di un capriccio, da asseverare quasi con ostinata ritrosia operativa da chi, per legge dovrebbe farlo con la stessa puntualità con la quale e a giusta ragione , provvede a ritirare i propri compensi statali mensilmente con accredito sul proprio conto corrente e che costituiscono a loro volta, la ragione logica su cui si posa il “lavoro” di liquidazione ai magistrati richiesto ,per svolgere il loro lavoro non in fase giurisdizionale, ma amministrativa ,quali semplici pubblici ufficiali-
E pure sotto tale aspetto l’indifferenza regna sovrana. Personalmente mi son dovuta rivolgere ai vari Presidenti di sezione, sino a dover inviare atti alle Procure competenti o a inviare diffide ex art. 328 c.p., per poter vedere presi in considerazione( e non sempre) le mie istanze giacenti da anni nei dimenticatoi giudiziari.
Non va bene.
I vari COA dovrebbero intervenire e subito per far rispettare la legge, senza timore reverenziale nei confronti dei magistrati o remore legate al “rispetto” di chi un giorno potrebbe “giudicarci”, perché è giusto sempre manifestare il vero senza temere alcuna ripercussione negativa .
Credo che perorare la giusta causa non possa ne debba costituire mai motivo di perplessità o esitazione nell’agire a muso duro per la risoluzione di questioni latenti da ormai troppo tempo nell’assoluta indifferenza del sistema, quasi considerando fisiologico il ritardo in adempimenti necessari che per alcuni giovani avvocati, costituiscono il presupposto logico per poter assaporare il gusto del pane quotidiano.
Ma parliamo di principi, oltre che di fatti aderenti a giustizia.
Allora è davvero vergognoso attendere anni e pietire con solleciti e ossequi vari quanto spetti per legge e in tempi brevissimi a chi svolge il proprio dovere con serietà, credendo nella legge e in chi dovrebbe farla applicare-
Sempre più difficile tutto. Anche questo scritto, si esterna per spirito difensivo nei confronti della categoria tutta che intende lavorare come qualsiasi lavoratore di questo Stato per essere remunerato in vita ,possibilmente.
E con questo ho detto tutto.
*AVVOCATO
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