La riflessione dello studente catanzarese Alessandro Gigliotti: "Cosa siamo, per il diritto, quando moriamo..."

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images La riflessione dello studente catanzarese Alessandro Gigliotti: "Cosa siamo, per il diritto, quando moriamo..."
Alessandro Gigliotti
  24 aprile 2020 16:08

di ALESSANDRO GIGLIOTTI*

L’argomento che mi accingo ad affrontare, riguarda la tutela giuridica dell’individuo dal momento in cui viene considerato, dall’ordinamento, come morto.

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Appare innanzitutto  necessario procedere alla qualificazione giuridica della persona e del suo corpo, o parti di esso, dopo la sua morte, e conseguentemente analizzare la tutela che l’ordinamento riconosce o dovrebbe riconoscere in capo allo stesso anche se ormai non più in vita.

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Il valore costituzionale della inviolabilità della persona, è riconosciuto sia nel potere della stessa  di disporre del proprio corpo, che di impedire intromissioni altrui che risultino incompatibili con i diritti fondamentali ed inviolabili dell'individuo.

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Proprio dalla  tutela costituzionale così intesa, hanno avuto inizio il dibattito e, via via, la regolamentazione, che a partire dalle trasfusioni di sangue, ha portato agli espianti ed impianti di organi da vivente e da cadavere arrivando fino alla c.d. “donazione samaritana”.

Assistiamo inoltre ad un’evoluzione scientifica e tecnologica nel campo della ricerca genomica e biomedica tale da arrivare a considerare il corpo come veicolo-supporto-custode di informazioni.

La consapevolezza che in qualsiasi campione biologico sono racchiuse informazioni idonee a rivelare i dati genetici di un soggetto e del gruppo biologico cui appartiene, ha determinato inevitabilmente l’emanazione di prescrizioni finalizzate alla gestione di tali materiali e lo stesso concetto civilistico di individuo e di famiglia ha subito un importante stravolgimento.

Senza voler analizzare gli aspetti della disposizione del corpo o di parti di esso, o affrontare l’ulteriore argomento della tutela post-mortale dei diritti della personalità morale (art 2 Cost. ; art. 32 Cost. ; art.13 Cost. ; etc…), si rileva che l’ordinamento, dopo la morte del soggetto-individuo, si disinteressa quasi completamente della tutela diretta a preservare la sua identità, vale a dire, di quell’insieme di  informazioni biogenetiche di cui era e dovrebbe rimanere titolare.

Tale disinteresse va inteso come rivolto alla persona-individuo,essendo le norme che si occupano del corpo senza vita del soggetto,dirette esclusivamente alla tutela di esigenze igienico-sanitarie, quali, ad esempio, la tutela della salute pubblica (v. tra gli altri, gli artt. 18-20-25 reg. di Polizia Mortuaria), o la tutela dell’ordine pubblico o del sentimento di pietà dei defunti, o ancora di studio e ricerca, e non già di tutela della persona- individuo.

Più precisamente, solo in seguito all’emanazione della circolare del Ministero della Sanità n.24 del 24 Giugno 1993, e solo relativamente al trasporto all’estero o da comune a comune è prevista la verifica dell’identità del cadavere, il sigillo del feretro e la verifica dell’integrità del sigillo e della corrispondenza dello stesso con quello apposto sulla certificazione del personale a ciò delegato  dell’U.S.L. del luogo di partenza, che però, in quanto tale, è una procedura che non è in alcun modo assistita da pubblica fede e non dà nessuna certezza di indelebilità.

Ed infatti, dopo la constatazione del decesso l’ordinamento smette di considerare quel corpo come un tutt’uno con l’individuo - persona che prima della morte ne rappresentava un insieme unitario.

Le stesse sorti delle informazioni biogenetiche sembrano non interessare più all’ordinamento, tanto che la stessa cremazione non viene in nessun caso monitorata al fine di verificare tanto la “tracciabilità” all’interno del circuito crematorio, quanto a garantire la sopravvivenza (tramite prelievo di campioni) almeno in parte, di quei dati cc.dd. super-sensibili di cui l’individuo è naturale custode.

Anche relativamente alla inumazione e tumulazione del feretro, l’ordinamento trascura di preservare “quel determinato individuo”, laddove non predispone strumenti idonei a garantire  l’identificazione certa del corpo all’interno di un feretro, lasciando a chiunque la possibilità di disperdere o confondere  il patrimonio fisico-biologico del soggetto deceduto, e di tutto ciò che lui e solo lui ha rappresentato e dovrebbe continuare a rappresentare, anche dopo la sua morte ed anche a prescindere dal contesto familiare, sociale, ambientale, territoriale, culturale in cui si è collocato.

Manca, infatti, come sopra detto, una procedura assistita da fede pubblica, che possa attestarne e preservare l’identità del defunto tale da  garantirne, tra l’altro, la sopravvivenza e conservazione di tutte quelle sue proprie informazioni biogenetiche in modo certo ed indelebile.

In una prospettiva de iure condendo è auspicabile l’introduzione di una procedura di inumazione-tumulazione-cremazione che dia certezza dell’identità del corpo rispetto all’individuo deceduto, previo prelievo e conservazione di materiale organico sullo stesso che consenta all’occorrenza l’estrazione di dati genetici sia a fini identificativi che di indagine.

Rendere possibile una procedura di “go back” basata sull’analisi del suddetto materiale vorrebbe dire, conseguentemente, possedere dati scientifici per meglio regolare situazioni giuridiche che potrebbero sorgere successivamente al decesso, ma che incontestabilmente meriterebbero l’attenzione del legislatore.

L’attuale situazione emergenziale determinata dal COVID-19, che ha comportato il distanziamento sociale, quando non anche l’isolamento tra soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare, sollecita importanti riflessioni sulla normativa in materia di tutela post-mortem dell’individuo, che evidentemente non può essere considerato un “oggetto” sui generis, e la relativa tutela conseguente ad aspetti igienico-sanitario, di sicurezza, di studio e di ricerca.

Ed infatti, i numerosi e contemporanei decessi consumatisi in condizioni di isolamento domestico e ospedaliero, l’interruzione di qualsivoglia rapporto tra i familiari ed il soggetto deceduto nel breve o lungo periodo antecedente alla morte, determinato dalla prevenzione del contagio, lascia maggiormente emergere le criticità dell’attuale procedura di tumulazione-inumazione-cremazione,inidonea a garantire la corrispondenza tra quello che si è stati in vita, e quello che si dovrebbe continuare ad essere, per il diritto, anche dopo l’accertamento dell’avvenuto decesso.

Innegabile, ad esempio, è l’interesse individuale, familiare e sociale del defunto a non essere associato a fattispecie criminose, a prescindere dall’estinzione del reato per morte del reo (ex art. 150 c.p.), intendendosi che ogni coinvolgimento, anche di persona deceduta dovrebbe mettere in condizione chiunque vi abbia interesse a provare la non riferibilità di un tale fatto a quel soggetto, ove i suoi dati biologici risultassero a ciò determinanti.

O ancora, massima tutela andrebbe offerta all’interesse legittimo del “de cuius” a che venga accertata la sua sicura identificazione e, conseguentemente, quella dei suoi eventuali discendenti, dopo la sua morte (si pensi ad es.  ad un giudizio per sopravvenienza di figli).

Se è vero, come asserito da Lucio Anneo Seneca, che “intra peritura vivimus”, è auspicabile che l’ordinamento si adegui alle scoperte scientifiche per far coincidere il più possibile verità fattuale e verità processuale, non trascurando l’importanza di ciò che ognuno di noi è stato, e che dovrebbe continuare a essere, anche in seguito alla morte.

Per quanto detto, dunque, si ritiene che l’ordinamento dovrebbe attenzionare la  scindibilità tra la vita, nel momento in cui essa termina, e l’esistenza, che, tanto per ragioni morali quanto, praesertim, per ragioni giuridiche, dovrebbe protrarsi oltre la costatazione medica del decesso.

*Studente CLMG

dell’Università Bocconi di Milano

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