La riflessione di Ciacci: "Catanzaro, Capitale del degrado"

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images La riflessione di Ciacci: "Catanzaro, Capitale del degrado"
Claudio Maria Ciacci
  02 luglio 2025 14:09

Riceviamo e pubblichiamo la nota a firma di Claudio Maria Ciacci.

"Ho seguito con attenzione e non lo nego, talvolta sobbalzando dalla poltrona come San Paolo sulla via di Damasco, l’intervista in cui il Sindaco di Catanzaro, con l’enfasi di un imperatore alla fine di un'opera buffa, si autocelebrava. Tre anni di amministrazione riassunti in un’apoteosi di parole altisonanti, scale variopinte, tagli di nastri e promesse gonfiate come palloni da sagra. Sembrava più un monologo da teatro di varietà che un bilancio politico: “abbiamo fatto”, “abbiamo investito”, “abbiamo creato”... dimenticando sempre di precisare chi avesse realmente avviato quei progetti. Un po’ come se Nerone si fosse vantato di aver costruito Roma, dimenticando di aver prima appiccato il fuoco.
Catanzaro, città un tempo forgiata dal vento e dalla fede, crocevia della civiltà normanna e baluardo spirituale della Calabria, oggi si presenta al mondo con la spavalderia del pagliaccio da corte. I Normanni costruivano fortezze, edificavano cattedrali, tracciavano leggi. Noi oggi tracciamo strisce colorate per terra e chiamiamo “cultura” una parata con più pelle scoperta che dignità pubblica.
Nella stessa terra che accolse Ruggero d’Altavilla, oggi si marcia tra stivali in lattice e carriole piene di paillettes, tra l’applauso delle istituzioni e il silenzio imbarazzato dei pochi rimasti a chiedersi cosa diavolo stia succedendo.
E il Sindaco? Presente, anzi preventivamente entusiasta. Con la flemma del cerimoniere di un culto moderno, ha già sposato, in anticipo sui tempi e fuori dalla realtà, la prossima manifestazione “arcobaleno”, prevista per giugno 2026, come se fosse l’evento culturale dell’anno, ancor prima di svolgersi. Pare che basti annunciarla, evocarla tra conferenze e dichiarazioni autocelebrative, per farla passare come vetta della programmazione culturale cittadina. D’altra parte, nel nuovo ordine simbolico, anche un perizoma glitterato non ancora indossato può già essere elevato a metafora esistenziale. Chiedetelo a qualche assessore in cerca di visibilità.
Peccato, davvero, che questa sia la stessa Catanzaro che, nei secoli, fu nota in tutto il mondo per la raffinata produzione della seta e del velluto, tessuti che abbellivano i palazzi papali, le corti francesi, spagnole e persino orientali. Una città che vestiva re e cardinali con il frutto del lavoro sapiente dei suoi artigiani, oggi ridotta a palcoscenico annunciato di sfilate che di culturale hanno solo la parola inserita nei comunicati stampa.
Tra una dichiarazione trionfante e l’altra, il primo cittadino ha trovato il modo di infilarci pure il “rilancio del centro storico”, come se non fosse sotto gli occhi di tutti che il cuore della città è ormai un cimitero di saracinesche abbassate, vetrine spente e insegne rugginose. I negozi che un tempo erano fiore all’occhiello della nostra Catanzaro sono ora solo ricordi, fantasmi del commercio di una città che aveva una storia, un’identità, una visione.
In questo scenario surreale, il Cavatore, simbolo dell’uomo che si spezza la schiena per costruire, è stato trasformato in un’icona kitsch da fiera. Retroilluminato in fucsia, sembra più un’installazione da centro commerciale che un omaggio alla fatica e al lavoro. Lui, il Cavatore, scolpito per ricordarci chi siamo, è oggi sfondo per selfie, copertina per post vuoti, ostaggio dell’estetica vacua di un’epoca che odia la sostanza e adora l’apparenza.
Nel frattempo, le scuole cadono a pezzi, letteralmente, ma i fondi vengono spostati con nonchalance dal bilancio dell’istruzione a quello dello “spettacolo”. Perché l’importante, oggi, non è formare coscienze, ma intrattenere corpi. In una città dove mancano i libri, abbondano i decibel. Dove non ci sono laboratori per gli studenti, ci sono palchi per le drag queen. E guai a protestare: al rogo l’eretico, il “bigotto”, l’“intollerante”.
Ma basterebbe guardare. Basterebbe camminare per le vie della città, per i quartieri che un tempo vivevano di popolo e di mercati, e che oggi sono abbandonati al degrado e alla polvere. I giovani partono, come crociati disillusi, verso il nord, verso l’estero. E chi resta sopravvive. Sopravvive all’apatia, alla miseria culturale, al pressapochismo politico travestito da innovazione.
L’arte, quella vera, è stata sostituita dall’intrattenimento da discount. La bellezza, che un tempo elevava e univa, oggi divide e confonde. E c’è persino chi ha l’ardire di paragonare questi spettacoli circensi alla Venere di Botticelli, al David di Michelangelo, alle nudità sacre dell’arte classica. Sarebbe come paragonare santa Caterina da Siena a una influencer in cerca di click. Ma viviamo tempi folli, e i folli, si sa, fanno più rumore dei santi.
E così, Catanzaro, un tempo capitale del Sud pensante, oggi è diventata capitale di una post-modernità isterica. Una regina decaduta, truccata male, illuminata male, amministrata peggio. Una città che cerca di sopravvivere a se stessa, mentre chi la governa si autocelebra come un novello Luigi XIV tra coriandoli e fumogeni.
Ma la bellezza, quella che salva, non si trova sui carri. Sta nei silenzi dei chiostri, nel rigore delle pietre antiche, nella voce dei padri che ci hanno lasciato una civiltà e non un palco.
Che Dio ci salvi. O almeno, che spenga la retroilluminazione fucsia".

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