di FRANCO CIMINO
Voi parlate di noi dalle vostre case lontane, ma è in Ucraina che la gente muore. E non sono solo soldati, ma anche civili, tra cui molte donne e molti bambini. Voi parlate di noi, da paese libero, ma è l’Ucraina ad essere stata attaccata con le armi da un paese forte e aggressivo, che vorrebbe sottometterla.
Voi, seduti nei vostri uffici e nelle vostre sedi di discussioni, vorreste dirci, più per tutelare i vostri interessi economici che le nostre vite, come dovremmo agire per far cessare una guerra che noi non abbiamo voluto. Voi, che avete i figli a scuola e la sera andate a dormire nei vostri letti e al caldo, pretendereste che quanti stanno chiusi da ventisei giorni nei bunker, nei magazzini e nei sotterranei, senza luce, senza riscaldamento, senza letti, senza cibo e con poca acqua e, soprattutto, con la pesante incertezza di rivedere il giorno nuovo, debbano preoccuparsi di non accrescere la tensione sullo scenario bellico, che loro hanno subito. Voi che potete muovervi liberamente per il vostro Paese e per l’Europa, andare al cinema e nei teatri, in vacanza e in attività di lavoro e studio, considerate che sono ucraini quei milioni di uomini e donne, vecchi e bambini, che dopo lungo cammino a piedi o per giorni con mezzi di fortuna, come sfollati, rifugiati, migranti, raggiungono altri paesi, dove pure trovano, e vi ringraziamo, ospitalità e assistenza. E ucraini sono gli altri milioni che non hanno la fortuna di potersi muovere perché bloccati dai carri armati russi e dai soldati dell’armata.” Sono le parole che una bellissima e giovane docente universitario di Kiev, dal suo nascondiglio, ha pronunciato con voce cortese ma ferma, ieri sera su La Sette, nella trasmissione otto e mezzo della Gruber. Parole dure ma vere, che mi hanno commosso.
Mi hanno fortemente scosso.
La verità è che noi non conosciamo la guerra, i suoi rigori e le sue atrocità. I nostri nonni che ce la raccontavano non ci sono più e i nostri padri, quei pochi ancora in vita, sono troppo stanchi e addolorati per farlo. Gli anziani di tutte le epoche la guerra la raccontano come fosse una sorta di fiaba, ma hanno bisogno che le armi da tempo abbiano smesso di sparare. Paradossalmente, la guerra la si racconta in tempi di pace. No, non la conosciamo la guerra. La guardiamo in tv come se fosse un film e come nei film più toccanti ci commuoviamo. Vi entriamo dentro e ci struggiamo pure l’animo.
Poi, ci passa. Perché ci assuefacciamo e perché, di conseguenza, il sistema dell’informazione rapida e diffusa, quella della vita degli altri nella nostra stanza, ha bisogno di altri fatti sempre più scioccanti per calamitare l’attenzione di un numero sempre maggiore di spettatori della “tragedia in diretta”. Di questa dell’Ucraina ci sconvolge ancora solo se a morire sono i bambini. I bambini che muoiono ci fanno piangere sempre. Pensiamo ai nostri. Ma ai vecchi, alle donne, che muoiono, anche di paura e negli ospedali bombardati, ai padri giovani che, imbracciati un fucile, sono costretti a lasciare in fuga i loro “ bambini” e a quei figli di tutti noi, i ragazzi della stessa giovane età, che si sparano contro per il solo colore di una divisa che li differenzia, ci pensiamo poco. E solo per poco. Gli scontri a fuoco sono lontani e noi che ancora non abbiamo fatto i conti con le conseguenze pesanti che questo tragico conflitto avrà sull’intera Europa e sull’Italia in particolare, con la povertà che ci cadrà addosso come una bomba nucleare, ci riprendiamo le scena che abbiamo appena abbandonato dopo i due lunghi anni di Covid. La scena in cui nuovamente ci divideremo tra bianchi e neri, guelfi e ghibellini, saccenti e ignoranti. Sollecitati dalla quotidiana presenza di una televisione monopolista che a canale unico ha tramesso, ventiquattr’ore su ventiquattro, tutto sulla pandemia, trasformandosi in virologi e scienziati, oggi, dopo i primi giorni di dolente stupore, siamo diventati in un attimo tutti generali, diplomatici, tecnici dei combattimenti e strateghi militari. Capi di governo, ministri degli Esteri e della difesa. Di più, siamo diventati moralisti e statisti, per i quali risulta sempre più facile dividere il campo tra i buoni e i cattivi, a seconda della nostra umorale posizione. Ci stiamo ancora una volta dividendo in tifoserie delle curve contrapposte. Sempre più sta prendendo corpo un doppio fronte da contrapporre alle sofferenze del popolo ucraino.
È quello dei neutralisti e dei filo russi, sui quali viene fatto scendere il velo bianco della necessità di far cessare la guerra, di fatto chiedendo al piccolo paese aggredito di arrendersi. La didascalia che viene ripetuta come una poesia a memoria di cui non si conosce neppure l’autore, è questa a cui, talvolta provocatoriamente si aggiunge il punto interrogativo:” vuoi che si scateni la terza guerra mondiale con il nostro esercito in aperta battaglia e le nostre città colpite dai supermissili?” Ecco perché la guerra fa schifo, ci trasforma tutti. Ci fa tutti brutti. Trasforma rapidamente in noi l’emozione in fittizia commozione, il distacco in indifferenza, il dovere della fraternità e della solidarietà in ambiguo concetto dell’accoglienza. Trasforma anche nei governi, che per ignoranza e scarsa sensibilità politica lo confondono, il significato di migrante e rifugiato, facendolo tutto attraversare da una opportunistica insincera differenza tra guerre di natura diversa. Quella in cui si spara col fuoco differente da quella in cui si muore per violenza dei governi liberticidi o per la estrema povertà imposta da un becero capitalismo che affama i popoli dopo averli derubati delle ricchezze dei loro territori. La guerra è sempre guerra quando attenta alla vita e alle libertà di persone, popoli e territori.
È sempre guerra quando si vuole estendere la logica di dominio e di occupazione di uno Stato su un altro. È sempre guerra quando si vogliono costruire sudditanza e servilismi, nuove schiavitù e forzate dipendenze. E quando si vogliono costruire e conservare logiche imperialiste sotto le quali si muove quella voglia sfrenata di potenza e di ricchezza, creatrice di diseguaglianze e di ingiustizie. E di odio della sola classe dei potenti contro l’intera umanità sofferente. Basta, allora, fermiamo questa guerra e la mano di chi l’ha generata. Anch’io urlo così. Di notte anche, prendendo a pugni il cuscino. Lo grido tra lacrime colpevoli e senso di impotenza frustrante. Vorrei stare a scuola tutto il giorno. Tornare tra i miei ragazzi e ragazze e parlare con loro della lezione che non abbiamo imparato, l’amore che tarda a venire. Amore, non solo come forza dell’anima, ma anche quale strumento della nostra coscienza di uomini e donne che vogliono davvero essere liberi. E battersi per la libertà di tutti. Quando vedo in tv quei mostruosi piccoli cannoni in braccio a dei ragazzi, penso a quanti morti e rovine quelle armi genereranno. Quando vedo i carri armati violare i campi e le distese campagne e pianure, penso a quante tonnellate di grano e di mais si stanno distruggendo e per quanti anni quelle terre resteranno infertili. Penso a quanti decenni ci vorranno per far ritornare sani e belli le migliaia di alberi abbattuti. Quando vedo gli “aerei militari” sorvolare rapidamente i cieli dell’Ucraina penso a quanti palazzi storici, monumenti e opere d’arte, a quante chiese antiche, saranno abbattuti. Mariupol è stata già completamente distrutta.
È un dolore immane. Se bombardassero Kiev, cosa ne sarebbe di quell’incommensurabile patrimonio artistico? Niente è paragonabile a uno sola vita umana, resti saldo questo principio. Ma affermare che una sola Chiesa, una sola piazza, un solo monumento, una sola ricchezza della antichità, quasi le si avvicina in valore, non sarebbe blasfemo. Come la singola vita umana, anche l’opera d’arte è irripetibile. Come la vita di una persona e di un popolo, anche ciò che vive attraverso opere grandi, appartiene all’intera umanità. Per questo la guerra fa schifo.
Ci coinvolge tutti. E anche se lontani dal suo fuoco e dal suo rumore, essa è sempre guerra mondiale, al di là delle stesse dure ragioni che prossimamente ce la faranno sentire tale.
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