di FRANCO BRESCIA
Nei primi mesi dell’anno decorso, dopo l’iniziale comparsa della pandemia che stiamo vivendo, le personalità scientifiche, nella grande generalità, si pronunciarono considerandone gli aspetti di sola modica gravità. Ilaria Capua, internazionalmente accreditata per i suoi meriti in disciplina scientifica, ad esempio, sentenziò che il corona virus era da ritenersi come poco più di un’influenza.
Con il trascorrere dei giorni, però, dinnanzi alla vistosa propagazione del virus e dei deleteri effetti discendenti, nonché stante le risultanze della ricerca, pur nell’esistere di visioni contrastanti tra i vari opinionisti, la disciplina fu generalmente concorde nel ritenere la problematica di rilevante importanza , nel contempo manifestando la giusta preoccupazione per la sua drammatica pericolosità. Tanto è vero che, almeno in Italia, furono adottate le giuste misure governative, valide per tutto il territorio nazionale, tutte dirette alla debellazione della virulenza, perciò ponendo significative limitazioni operative non solo circa la circolazione delle persone, ma in tutti i gangli del commercio, della produzione industriale e di tutte le altre attività comportanti connessioni tra le persone. Venne, inoltre, istituito l’uso delle mascherine.
Nel frattempo, da parte di tutte le importanti industrie mondiali nel campo farmaceutico, prendeva impulso la ricerca per inventare un vaccino atto a sconfiggere l’epidemia.
A seguito di questi interventi precauzionali, l’efficacia virale cominciò a diminuire nell’intensità espansiva, tanto da far prevedere, da parte della comunità scientifica, un suo ulteriore decrescimento durante la stagione estiva - per effetto dell’aumento della temperatura atmosferica - nel contempo, però, essa contemplava l’avverarsi, subito dopo, di una seconda ondata maggiormente virulenta e così di una terza, ove non si fosse fatto ricorso a immediate misure precauzionali tese a evitare tali eventualità.
Intanto, il virus si espandeva in tutte le parti del mondo, anche con sue modificazioni cariche di maggiore letalità.
Venne chiarezza, quindi, sull’indispensabilità di dover sottoporre a vaccinazione la quasi totalità della popolazione mondiale, ritenuta pertanto possibile solo con adeguata produzione di dosi vaccinali da utilizzare allo scopo.
Era lampante, pertanto, che si dovesse raggiungere un loro vasto allestimento e che per ottenerlo sarebbe stato indispensabile produrli ovunque possibile in tutte le parti dell’universo, ovviamente in ragione dell’impiantistica esistente compresa quella da riconvertire per la bisogna.
Così come appariva evidente che, perciò, non si dovesse perdere tempo.
L’Europa si estrasse da questa incombenza preferendo, invece, procacciarsi l’approvvigionamento attingendo alle forniture vaccinali dalle sole due industrie farmaceutiche, intanto scopritrici degli idonei vaccini, la Pfizer e la Moderna, attraverso la stipula di contratti però, purtroppo, mancanti di piena efficacia in quanto privi delle clausole di penalità che, viceversa, le avrebbero costrette alle adempienze convenute, specie in materia di tempi di consegne.
D’altronde, l’introduzione di dette clausole tra i termini contrattuali sarebbe stata indispensabile per evitare la facile previsione che essi non sarebbero stati rispettati dalle Case farmaceutiche dinnanzi alla convenienza economica prodotta da maggiore possibilità di guadagno scaturente dalla vendita dei propri prodotti a prezzi maggiori rispetto a quelli precedentemente pattuiti, oppure che esse avrebbero dovuto privilegiare le popolazioni dei territori ricadenti nei loro siti produttivi, perché sottoposte, sopra ogni cosa, a ragioni di ordine politico. Così come si è puntualmente verificato, tanto è vero che, oggi, Biden può trionfalmente comunicare che tutti gli americani, entro il 30 del prossimo maggio, saranno sottoposti a vaccinazione.
L’Europa, quindi, anche in questa occasione, ha mostrato i suoi limiti di incisiva consistenza appunto nel mancare a un’azione comune che, in tempi brevi, l’avrebbe invece resa autonoma nella produzione di vaccini in quantità adeguate alla soddisfazione delle esigenze della sua popolazione, senza sottostare, pertanto, ai gravi effetti di carenza delle consegne delle forniture ordinate, il cui fenomeno - al quale va comunque associato quello deleterio provocato dai comportamenti irresponsabili dei cittadini che non si adattano alle misure precauzionali prescritte - è anche causa della dilatazione pandemica che si sta soffrendo la quale implementa maggiore rischiosità a carico delle persone costrette, loro malgrado, a subirne le funeste conseguenze.
Eppure, per raggiungere tale finalità di autonomia produttiva, come da più parti autorevolmente sostenuto, sarebbe stato sufficiente che, sin dall’inizio della pandemia, essa provvedesse all’attuazione della riconversione delle strutture e degli stabilimenti esistenti per la produzione di vaccini veterinari che, da soli, avrebbero pertanto generato miliardi di dosi, bastevoli per ottenere la completa vaccinazione dei suoi cittadini.
Nel contempo, inoltre, a tale scopo, andavano allestiti i necessari siti di vaccinazione e individuate tutte le figure sanitarie da utilizzare per l’evenienza, con il fine ultimo di pervenire al debellamento della vastità pandemica entro i tempi più brevi possibili.
Oggi, l’Europa, mossa anche dall’intelligente e fondata pressione del presidente il consiglio dei ministri italiano, Draghi, si sta azionando in direzione della necessaria programmazione diretta a creare sul territorio i siti vaccinali che consentano la propria autonomia produttiva nelle misure mirate alla complessiva tutela della propria popolazione.
Inoltre, l’Italia, dopo la confusione globale proveniente sia dalla parte politica che scientifica ed al fine di recuperare la grave deficienza operativa in materia di inoculazione di vaccini ai propri cittadini, ha conferito incarico a un generale di corpo d’armata del proprio esercito perché vi provveda al più presto mettendo in atto tutte le misure tecniche risolutive come individuate.
Si sta finalmente procedendo nella giusta misura, quindi, pur nelle differenze operative in atto tra le nazioni costituenti l’Europa.
In Italia si sta fattivamente accelerando il percorso della vaccinazione anche perché, da parte governativa, si stanno producendo criteri generali ai quali le Regioni devono complessivamente adeguarsi, quindi tralasciando, queste, i tentennamenti e le opposizioni precedentemente interposti e capaci di mettere in discussione l’intera impiantistica vaccinale.
Questa accelerazione, però, sta subendo decremento a causa delle relative pratiche burocratiche introdotte dal sistema che, perciò, agisce come di consueto senza tenere nel debito conto che, in un momento critico come l’attuale, non si può andare avanti per il sottile, principalmente nella considerazione che vaccinare di più in maniera consistente, possibile con l’adozione di misure di brevità temporale, significa salvare centinaia di migliaia di vite umane, specie se in possesso di quantità idonee di vaccini.
La pratica burocratica va pertanto ridotta all’essenziale indispensabile che significa adeguare le procedure a quelle messe in atto nei paesi più avanzati, per i quali basta una sola firma per procedere alla vaccinazione del cittadino.
Non è neppure comunque da immaginarsi che per compiere l’opera pratica di vaccinazione - cioè per l’iniezione del farmaco - sia necessario spendere solo un minuto, nel mentre per adeguarsi ai relativi, previ, dettami burocratici - consistenti nella compilazione e lettura di vari moduli nonché per l’espletamento delle altre pratiche introdotte - si debbano spendere tempi ben maggiori, invece da utilizzare per accelerare al massimo la routine vaccinatoria.
A parte questa somma di considerazioni, va posto in evidenza, pur nelle attuali limitazioni nel procacciamento di vaccini, che si è sulla strada giusta nella spinta della pratica vaccinale in applicazione delle adeguate misure poste in essere dal Governo che, nel merito, sta impiegando tutte le risorse indispensabili, principalmente facendo affidamento all’opera primaria dei medici di base, da sempre costituenti l’ossatura inossidabile della struttura sanitaria italiana. Non si poteva fare a meno. Finalmente si è capito.
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