La riflessione di Franco Cimino: “Caterina e Franco, Marinarcord, ricordi antichi, colpe solite e..”

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images La riflessione di Franco Cimino: “Caterina e Franco, Marinarcord, ricordi antichi, colpe solite e..”
Franco Cimino
  07 agosto 2022 21:10

di FRANCO CIMINO


Ieri sera, alle ventidue circa, si è chiusa la mostra di fotografie “ storiche”, dal titolo affascinante “ Marinamarcord”. Il titolo evocativo di buoni sentimenti, tra i quali prepotente si muove la nostalgia, si traduce nelle due espressioni dialettali, ora nascoste nelle nostre bocche per paura che il cuore non regga per la dimenticanza cui abbiamo costretto le nostre storie individuali e quella collettiva. Chi mi legge, specialmente da lontano per non essere potuto venire in questa calda estate( Peppuccio, comu stai, on ni sentimu da parecchiu e staiu in penzeru. Ma chiù tardi ti chiamu) se li ricorda bene. Suonano così:” t’a ricordi a Marina com’era? Era bella a Marina, t’a ricordi?” E ancora:” eu ma ricordu bonu.”

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Tutte queste espressioni ritornano, delicate e forti, all’interno della sala espositiva quando i tuoi occhi si posano su quelle foto. Ogni foto un richiamo. Che è più di un ricordo. A fianco hai un conoscente, un amico, uno che non hai visto mai. E commenti quella data immagine, accompagnandola con il solito motivo e la domanda retorica:” ma chidru cu è, e chidra fimmina subba a porta d’a casa…Ah, sì sì , mo’ mi ricordu bonu…”E così di seguito, foto dopo foto. Bello e commovente è vedere quel vecchio marinoto, oggi padre, e quell’altro, oggi nonno, spiegare al bambino o al giovane che l’accompagna, il significato di quelle foto e la storia personale e familiare in esse contenute. Chi l’ha vista, ci torna ancora due tre volte. Una sola non basta. Te la vuoi gustare. Io ho fatto così, trattenendomi più a lungo verso la chiusura quando quasi resti solo con le foto. E ti commuovi. E ritorni indietro, ritrovandoti uguale nella Marina rimasta uguale. E, però, non finisce mica lì, questa cosa, rischierebbe di restare attorcigliata tra i rimpianti e il dolore di non essere più. Te stesso, perché non sei più quello delle foto. E Marina, perché non è più dentro quelle foto. E, allora, questa mostra assume un significato più profondo, che si fa senso critico. Presa di coscienza. Senso di colpa, anche.

 

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Perché se Marina non è più quella di un tempo, se la sua spiaggia è andata a restringersi, se il suo paesaggio è stato scempiato, il suo territorio pressoché interamente consumato, se il suo habitat naturale è stato cementificato in modo massivo, se le sue piccole alture davanti al mare sono state riempite di case e palazzi e fino ai costoni più alti, le pinete quasi per intero ridotte o “ murate”, se quella sua parte nuova, la mitica Giovino, è diventata una realtà diversa da come l’abbiamo immaginata quando ci era irraggiungibile( oggi è spezzata in se stessa e separata dalla parte storica di Marina), e se, da che( me sempre contrario) voleva diventare addirittura cittadina autonoma, non è riuscita a divenire il quartiere più importante della Città bellissima anche per merito suo, la colpa è soprattutto nostra. Di noi marinoti di allora, che ci siamo dimenticati di doverlo essere per sempre. Di noi che abbiamo lasciato che una politica incolta e arrogante lasciasse campo libero a egoisti e predatori, che si sono impossessati di quella bellezza piegandolo all’interesse della più bieca speculazione. La mostra nel mentre ci incolpa, però ci responsabilizza. Ci invita, in forma pedagogica e politica, se vogliamo, a darci da fare per quel molto che ancora c’è da fare per salvare, adesso possiamo dirlo con chiarezza, il quartiere a mare di Catanzaro. Risanarlo, attraverso un piano di recupero e razionalizzazione, che parta da Giovino, com’è oggi e come dovrebbe essere quella sua larga parte in attesa di risposte. Portare a unità territoriale, economica e sociale, tutta la realtà a mare di Catanzaro rappresenta il più importante passaggio per portare a unità tutta la Città.

 

La Città oggi spezzata in tre parti e tra qualche mese, con l’apertura del palazzo ex ospedale militare disinvoltamente concesso alla Procura, forse in quattro. Ma questi discorsi, di cui tratto da anni e in solitudine purtroppo, ritorneremo a parlare in altra sede. Qui interessa che Amarcord è stata, anche quest’anno dopo i suoi precedenti quindici, tutto questo. Memoria, storia, morale e politica, che si incontrano. Se si dessero la mano sarebbe bellissimo. Io pure mi riposerei da antiche sofferte battaglie e dalle sue delusioni. E potrei, con cuore totalmente sgombro da emozioni contrastanti, godermi pienamente tutta la bellezza di Catanzaro, la Città che sento profondamente mia, e i suoi centri storici diversi. In particolare, quello su cui, per fortuna, ogni giorno “ affaccio” i miei occhi. Ringrazio, pertanto, Franco Riga, che la mostra ha promosso, organizzato, allestito. Di lui, di cui più volte ho detto e scritto, qui dico soltanto che è lo storico del popolo. Del popolo in cui ci sono i poveri e i disarmati, per cui Franco è anche l’intellettuale dei poveri. Degli umili. Degli “ accantonati” che si difendono dall’emarginazione.

Ma questa mostra non avrebbe potuto essere così bella e affascinante senza la bellezza affascinante di Caterina Vitaliano, ricercatrice del bello e pittitrice, marinota autentica tanto da realizzare la sala d’arte e il laboratorio nella casa-magazzino che fu di quella grande donna che io ho sempre amato mentre amo definire “ la regina” del Corso Progresso, a signora Iolanda, a napulitana. Un’autentica forza della natura, combattente sempre, vincendo alla fine tutte le sue battaglie. Anche quelle apparentemente perse, compresa quella di desiderare, me giovanissimo in politica, u sindacu da Marina. Ora che non c’è più, e da tanti anni ormai, Caterina ha riacceso le luci di quella potica, nella quale la mostra, anche con i suoi ultimi dipinti, ha albergato per dieci giorni.

Sono forti quelle luci, perché c’è una storia bellissima, che si muove lì dentro e immediatamente fuori. In quello spazio stretto in cui ogni sera, gratuitamente credo tutti, incuranti dei pochi spettatori e delle traffico automobilistico, si sono esibiti nove nostri grandi artisti. Musicisti e cantanti. Tanto grandi che se fossero vissuti altrove, magari “ emigrando” da qui, avrebbero avuto sicuro successo. Li e elenco, ringraziandoli vivamente anch’io: Dasco, John Nisticó, Pino Arcuri, Ilo Di Tommaso, Marialaura Gabini,Danilo Assara, Raffaele Provenzano, Luigi Cimino, Gianni Zavaglia. Tranne il calabrese dei calabresi, catanzarese artisticamente adottivo, possiamo dire, il sassofonista Luigi Cimino, di Soveria Mannelli, tutti gli altri sono artisti catanzaresi. Ecco l’altro piccolo capolavoro dalle mani di Caterina e Franco: aver promosso cultura vera, attraverso la valorizzazione di quella locale, con alcuni dei suoi numerosi artisti inserita in un cartellone di spettacoli entusiasmanti. Vedete, fare cultura e realizzare cose belle, costa poco. E valorizza pure i luoghi. Anche quelli che vogliamo ancora concepire come strade per l’uscita dalla Città. Corso Mazzini, insegna

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