di FRANCO CIMINO
Carmelo Puija dopo ventuno mesi esatti dalla scomparsa, torna dalla sua Polia, dove vi è andato, colpevole il Covid pure in esaurimento, troppo frettolosamente, a Catanzaro. Vi torna per un convegno a lui dedicato. E per la parola di chi è stato invitato a parlarne. Tutte personalità importanti. Roberto Occhiuto, il presidente della Regione, Pierferdinando Casini, il presidente(presidente emerito della Camera e quasi presidente della Repubblica). Questi i nomi di maggiore richiamo, che fanno immaginare una sala gremita di persone. Saranno davvero tanti. Chi verrà oggi, non lo farà, però, come spesso accade qui da noi, per la buona possibilità di poter salutare, e magare parlarci un po’, gli uomini del potere che potrebbero rispondere a qualcuna delle numerose richieste che i calabresi avrebbero da muovere. E senza rimprovero, tra l’altro, ché noi siamo gente “ bella”, e perciò umile e rispettosa. No, no, chi verrà nella sala grande del palazzo della Regione, verrà solo per lui, Carmelo Pujia, l’onorevole per tutti, Carmelino per gli amici. Dispiace già dire, mentre scrivo, che quasi tutti coloro, e non erano pochi, che usavano chiamarlo così, non ci sono più. Ne ricordo con tristezza, gli ultimi due, Cataldino Liotti e Guido Rodhio, che sarebbero sicuramente venuti, commossi, ad ascoltare in prima fila. Ma ci saranno gli altri. Chi sono? Lo dico, sussurrandolo, al mio amico Pierferdinando, che, in serata, all’hotel Guglielmo, presenterà il suo libro dal doppio intrigante titolo “ C’era una volta la politica. Parla l’ultimo democristiano”. I presenti odierni sono i democristiani. E non sono pochi già quelli che oggi li rappresenteranno tutti. La Calabria è stata, anche sinceramente, piena di autentici militanti. Io, per fortuna, ho l’età per ricordarmeli tutti, nome per nome, viso per viso, militanza per militanza. E sono ancora numerosi. E vivi e svegli e intelligenti. E dolorosamente sofferenti per la perdita di quel grande partito della Democrazia e della Politica. Io tra questi.
Ma, diversamente da una buona parte di loro, non rassegnato alla fine della Politica e alla perdita di quegli immarcescibili ideali, cui mi sono formato. Verranno tutti per “ sentire” la DC, sentirne la eco pure lontana. Verranno per “ sentire” di esserci stati e di non aver creduto invano. Per “ sentire” la bellezza di una storia, che, nonostante limiti e contraddizioni, colpe ed errori, è storia viva. Storia che potrebbe continuare se chi avesse cuore sincero, mente limpida e coerenza morale e politica, soprattutto credibilità e disinteresse, si mettesse al lavoro “ gratuito” per farla rinascere. Quale dovere, tra l’altro, verso un Paese quasi alla deriva e verso la Politica, affinché non muoia sepolta da quei difetti gravi che oggi la coprono, tra ignoranza e scarso senso delle istituzioni. E stupida concezione divistica di uno già sterile protagonismo, vuoto di idee e di passione. Tutti verranno all’incontro odierno per incontrare Carmelo Puija, ancora sorpresi, oltre che addolorati, che lui non ci sia più. Verranno per “ sentire” lui e, suo tramite, tutta la bellezza di cui ho detto qui. Carmelo Pujia è la sintesi di questi valori e di questa storia. Incontrarlo oggi non sarà solo nostalgia. Ma, come io credo, promessa di un nuovo impegno. Quale dovere che ciascun democristiano autentico deve sentire verso questa terra e le istituzioni. Come ha fatto proprio quel grande leader di quella grande Democrazia Cristiana calabrese ancora sospesa tra pregiudizio e cattiva conoscenza dei suoi impegnatici anni. Pregiudizio e incompleta quanto distorta conoscenza, per responsabilità anche della non corretta azione di pochi tra i suoi uomini che l’hanno rappresentata nelle diverse istituzioni. Di Carmelo Pujia, il gigante, l’uomo delle possenti idee e dall’indomito coraggio, parlerò in altre situazioni meno cariche delle intense emozioni che mi prendono ancora. Meglio ne parleranno gli osservatori neutrali e gli storici quando finalmente la Calabria sarà studiata con maggiore obiettività. Il suo ruolo, come quello di Mancini, Misasi, Rossi, Pucci, Reale, Ambrogio, Politano, Casalinuovo e altri, sarà centrale. E la sua azione molto esplicativa. Oggi voglio parlare di lui in altro modo. Di getto, così come mi viene. Della sua persona più che della sua personalità. Della sua umanità più che della sua politica. Della sua cultura umanistica più che della sua tecnica operativa. Della sua sensibilità più che del suo carattere mica facile. Della sua fragilità che non della sua forza. Dell’uomo prima che del politico. Dell’oratore naturale che non del parlatore attento. Dell’amante della parola più che del concreto espositore di concetti definiti. Della sua emotività più che della sua razionalità. Della sua tenerezza di padre che non della sua imperiosa autorità. Della sua poesia prima che della distaccata concretezza. Del suo spirito fine che non della sua virulenza. Del suo amore per la propria donna prima che di quello per tutto ciò che faceva. E vorrei parlare di quell’indicibile dolore più che del coraggio con cui lo nascondeva anche per proteggere quella madre, che l’ha subito violentemente, e quei suoi figli perché non soccombessero al dolore. Dell’uomo semplice, in ultimo disarmato di tutto, e del mio amico, vorrei parlare, anche. Mi rendo, però conto, scrivendo, che pure questi titoli sono tanti. E, allora, mi limiterò a dire, così alla rinfusa, ciò che il mio cuore detta, fino all’ultima riga che segnerà la mia stanchezza prima che quella di chi vorrà generosamente leggermi.
Carmelo ha lasciato la politica molto anni fa allo stesso modo in cui l’ha vissuta, con dignità e onore. Intensamente vissuta, per quell’aggiunta straordinaria di passione e sentimento che solo nel “lunghissimo dopoguerra” della ricostruzione morale e civile, economica e culturale, del Paese, i militanti potevano sentire. Ah, la Politica, con la maiuscola! Per Carmelo Pujia era un tutto che si poteva accostare solo alla famiglia tanto amata, a cui però ha dovuto sottrarre quel tempo che neppure gli bastava, dal mattino presto fino a notte, per quell’amore che l’ha avvinghiato fin dalla più giovane età. Ecco, mi è spontaneamente venuta meglio la descrizione di quel fuoco che ardeva in lui. Era amore, amore vero verso l’attività umana più bella e più importante. La passione l’accendeva esattamente come il fuoco fa con ciò che benignamente arde. Quando non rovina, non distrugge, non cancella, ma invero riscalda, accende energie, mette in moto i cuori, illumina la mente della persona e il cammino delle genti. Ah, l’Amore, quello vero! Carmelo Pujia, era infuocato d’Amore. Non gli bastava mai, quello del donare, ché quello ricevuto era assai meno. Non gli bastava mai, sì. Ne elenco in parti suddivise quello che più mi è rimasto impresso, avendolo conosciuto bene. Parti suddivise ma non divise. Al contrario concatenate, ciascuna facendo parte di un tutto. Unico, assoluto. Unitario. Quello che lui ha sicuramente incontrato nei suoi ultimi anni, sia con la ragione sia col cuore, nonostante la sua fede cattolica fosse stata sempre ferma lì, in quegli insegnamenti che l’amatissima madre gli ha impartito, avvertendolo con carezzevole severità che non avrebbe mai dovuto dimenticarli o rinnegarli. Ah, la madre! Carmelo aveva per lei, la maestra del paese natale, un amore sconfinato. Totale e totalizzante. Anche quello verso il padre era di simile caratura. Soprattutto, per la stima enorme verso quell’uomo che aveva lavorato sempre con onestà e spirito di sacrificio. Ma quello nei confronti della madre era fatto di mille altre sfaccettature. O di foglie diverse che non si finirebbe mai di contare. Ogni foglia una carezza, un insegnamento, un rimprovero, un consiglio. E tutte insieme, la felice esortazione ad amare. La propria terra, innanzitutto. In ogni parte in cui la terra dei padri si compone. Polia, il piccolo articolato paesino all’interno del vibonese, la prima. Qui vi sono le sue radici. Non le ha mai dimenticate. Andava fiero di essere nato e cresciuto lì. Nonostante la sua passione e le sue ambizioni l’avessero portato presto via, di quel piccolo paese ne parlava con orgoglio e, sempre più che passassero gli anni e crescesse la nostalgia, con delicatezza. Te lo descriveva, anche nei libri che aveva scritto, nelle sue diverse realtà territoriali, che forse erano anche in qualche modo culturali. Ora io non la so recuperare bene in memoria, ma Pujia elevava quelle diversità e apparenti separatezze a quei valori profondi che facevano di ciascun poliasino (si dice così?) un cittadino del mondo, a partire da quello piccolo piccolo, la Calabria. Una persona tanto legata a quel pezzo di terra, anche interna al suo territorio comunale, quanto aperta ad altre realtà. Ad altre culture ed esperienze. Forse, nasceva da qui quella sua intelligenza poliedrica e geniale e quella curiosità accesa, che hanno fatto di lui una delle personalità più complete e più forti della Calabria. Uno dei politici più grandi oltre che tra i più importanti della storia politica regionale. Di questo politico straordinario, grandissimo quanto le idee che la sua mente fertile ha partorito, specialmente per lo sviluppo della nostra terra, ripeto, non ne parlo ora. Non ne parlo in questa triste giornata, strapiena di ricordi e di commozione. L’ho fatto tante volte in questi anni e lo farò, mi ripeto nuovamente, non appena si sarà riposata l’emozione del momento e razionalizzata la mia personale sofferenza per la sua scomparsa. Una scomparsa da molti sentita come prematura, nonostante gli anni che lo avrebbero voluto vecchio senza però esserci mai riusciti, ché Pujia è sempre rimasto presente alla vita. E a se stesso, anche se il cammino compiuto lungo un dolore immane hanno portato i suoi occhi celesti come il mare quando il cielo lo rischiara del suo azzurro limpido, a guardare in modo diverso il mondo, la vita stessa. E le persone. E tutto ciò che la loro umanità detta e la loro forza muove e trasforma. O rovina. Nella terra che li nutre del sangue di madre, che mai è matrigna. Questa terra madre è la Calabria. Ah, la Calabria, amore immenso il suo! Per Carmelo, la nostra regione non era una terra disgraziata o condannata da un Dio cattivo e per essa non usava mai il termine “ sfortunata”.
Noi, i suoi figli, prima ancora che i tanti arroganti e stupidi dominatori che l’hanno derubata, al pari dei suoi figli degeneri, di tante bellezze, siamo i responsabili del suo impoverimento. Poi, i governi e i vari parlamenti, che nel tempo hanno operato con scarsa sensibilità verso il Mezzogiorno, hanno fatto il resto. Proprio per questo, e per il fatto che le cose umane vengano determinate dalle azioni degli uomini, anche quelle che procurano le più tristi conseguenze dagli eventi naturali calamitosi, sono i calabresi a doversi impegnare in prima persona per cambiare l’ordine delle cose, invertendo nettamente il loro cammino, storico e contingente. Ecco che la passione si trasformava in sollecitazione all’impegno individuale e collettivo, a una presa di coscienza politica che passava anche per la ribellione. Ah, la ribellione! Il carattere di Carmelo era impetuoso, un uragano in permanenza, un vulcano sempre acceso. In qualsiasi altro tempo fosse vissuto, egli avrebbe danzato sulle barricate. O avrebbe partecipato a eventi rivoluzionari. Tranquillamente avrebbe potuto essere giovane socialista o comunista, sarebbe stato anche lì il primo della classe. Decise di essere democristiano. Chissà se in questa scelta non ci fosse l’influenza della madre, fervente cattolica. Fedele praticante. Non lo sappiamo e poco ci importa di saperlo. Quel che conta davvero è l’amore e la fedeltà con cui ha servito la Democrazia Cristiana. Ah, la DC, quante battaglie fatte in suo nome e quante lotte al suo interno per divenirne il migliore in perenne conflittuale amicizia con l’altro genio della politica, Riccardo Misasi. Ah, l’amicizia! Ah, Misasi! Carmelo amava l’amicizia, pur venendone più volte tradito. Ovvero, subendone spesso la strumentalizzazione altrui, anche se talvolta( poche in verità) per colpa di qualche “ consigliore”, anche lui stesso l’ha distratta dal suo cuore. Riccardo Misasi che la vulgata( ed anche i gruppi ristretti di sostenitori dei due) ha sempre voluto fosse il suo nemico ampiamente ricambiato, è stato invece un suo grande amore, come l’amicizia nel suo più profondo significato lo era. Lo scontro c’è stato. E a volte durissimo, come quello tra giganti. Uno scontro che ha indebolito entrambi, con quelle insane tifoserie reciproche che volevano che ciascuno dei dei occupasse un unico posto di comando. Quello che non era il loro, destinati, invece, dalla storia e dalla loro propria grandezza, ad occuparne due diversi, ma assai importanti. Eh sì, perché Riccardo e Carmelo, per amore esteso dell’amicizia, nonostante la fermezza delle loro autonome decisioni, talvolta, anche per la stanchezza della fatica o per quella della loro insistenza, a quelle insincere sollecitazione “guerriere” a cui davano retta, sono stati in conflitto quasi ininterrotto. Ma i due si volevano bene. Un bene grande e vero, rafforzato dalla reciproca enorme stima. Quella alterata competizione, come le altre che nei decenni si susseguirono e si intrecciarono, anche tra esponenti di partiti diversi, mantenendo divisa la classe dirigente o le migliori intelligenze in essa, indebolirono anche la Calabria. Ah, la Calabria! Nuovamente lei, terra di bellezza resistente, di forza nell’antico orgoglio trattenuta, di speranze radicate nel cammino lungo ed erranti sulle gambe dei suoi figli lontani. Basterebbe ricordare i suoi discorsi sulla nostra terra, sulla sua fragilità e forza, sulla sua povertà e ricchezza e la sua visione, assai avanzata anche oggi, per trovare davvero le vie più sicure di una crescita ordinata e uno sviluppo davvero moderno della nostra regione.
Una crescita economica che, puntando sull’unità territoriale da costruire con una autentica architettura geo-politica e culturale che ne disegnasse le forme antiche e nuove, rafforzasse contemporaneamente il tessuto democratica e la coscienza civile, le più forti barriere contro le mafie di ogni genere. E qui mi fermo. Si è fatto tardi e devo prepararmi ad andare al convegno in cui si parlerà in maniera sicuramente troppo affettuosa di lui. Gli sarebbe davvero piaciuto ascoltare e chissà che ciò non accada da quel posto in cui si trova. Posto sicuramente buono. E riposante. Carmelo Puija però andrà ripreso e studiato. È stato un grande innovatore. Un trasformatore incompleto di una realtà difficile. Un utopista del reale, mi si lasci passare il termine, che potrei lungamente sciogliere dalle sue apparenti contraddizioni. Il suo disegno di una Calabria nuova, le sue famose “ schede programmatiche, che l’hanno preceduto, la proposta di una legge Calabria, che l’ha seguito, la sua idea di nuovo Mezzogiorno come strumento per lo sviluppo dell’intero Paese, il suo incompleto sforzo di studiare l’Europa, di cui sentiva il fascino e anche i dubbi per come veniva ancora intesa, la passione per la Democrazia, la sua leadership particolare nella forza espressiva e quella della forte personalità con cui la nutriva, la sua concezione del potere e la tecnica con cui l’ha gestito, l’idea di partito e quella del rapporto con le altre forze politiche, il suo “ invisibile” tentativo, in parte qui riuscito, di realizzare davvero il rapporto organico, quindi di governo, tra la Democrazia Cristiana e il Partito comunista calabresi, poi bloccato dal suo amico Ciriaco De Mita, allora segretario politico, l’errore anche di non aver costruito classe dirigente pur avendone la possibilità (fatto di cui parlava con dispiacere negli ultimi anni), sono alcuni dei temi che andrebbero studiati e appruo goditi. Qui resta, subito visibile, la lezione politica e umana che ci lasciato. Una lezione utile a restare democristiano o a divenirlo.
Una lezione necessaria a comprendere e a fare la Politica. Una lezione di vita, indispensabile a capirla, la vita. Ad amarla fino in fondo. Soprattutto, quando ci porta un conto troppo salato e una sorta di ingiustizia praticata sul campo di una esistenza tanto generosa quanto coraggiosa e sognante.
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