di FRANCO CIMINO
Inizia la Scuola. Anche quest’anno, come tutti gli anni. Questo sembrerebbe essere nuovo. Almeno nella speranza. Mentre in una particolare gioia, sembra essere antico. La speranza che Covid non ritorni a “ imprigionare” i ragazzi dentro mascherine o nelle case, con i banchi che diventano le sedie di casa e il tavolo di un soggiorno, e la cattedra, uno schermo luminoso da cui l’insegnante si vede poco e “ brutto”, tutt’intorno il deserto che attiva la furba tentazione di tenere acceso il computer e ritornare a letto. Oppure, tenere la cuffia ad alto volume sulla musica preferita. La gioia, invece, è l’esatto contrario di questo. Uscire di casa un po’ assonnati per risvegliarsi completamente alla vista del primo compagno, del primo amico, della prima ragazza/o avvistata/o, sperando che sia quella attesa, corteggiata/o magari inutilmente d’estate, e chissà che questa volta…La gioia di sostare tutti insieme davanti al portone ancora chiuso della Scuola, a raccontarsi di tutto e di più, come se ci si vedesse per la prima volta e, invece, non si sia stati fino a notte a chattare nei gruppi dedicati.
La gioia di stare in classe. Di fare classe, perché classe significa anche comunione di intenti, stare uniti, aiutarsi a vicenda. Anche quando si litiga o si collezionano compagni da “sentire” antipatici, scoprendo magari a fine anno o a fine corso addirittura, che proprio quello/a, invece, è diventato/a il nostro migliore amico/a, ché già lo era e non l’avevano capito. La gioia di incontrare i professori, parlare con loro, temerli, sopportarli, amarli, “simpatizzarli” , conservarli nella mente e nel cuore. Perché un prof è per sempre. Anche quello che ci ha “ rovinato ” le giornate e “ torturato” un anno intero e “ bocciato” ingiustamente, ché tanto si vedeva che ce “l’aveva con me”. La gioia di farsi “ coccolare” dai bidelli, gli amici loro nascosti, sempre pronti, anche quel brontolone o quella sempre incazzata, a proteggerli, facendosi talvolta complici delle loro marachelle, chiamiamole così. La Scuola è rimasta sempre questa cosa meravigliosa, lo spazio misterioso in cui speranza è gioia. Sì, la speranza è gioia. Mentre speranza con la gioia diventano energia per la vita. Forza che trasforma timidezze e sofferenze, angosce e dolori e, soprattutto, le paure dell’oggi in certezze per il futuro.
Anzi, in certezza del futuro, come a quel tempo sognato che giungerà per loro. Ogni anno, specialmente in questi ultimi della mia lontananza dalla cattedra, scrivo sempre un pensiero per i miei ragazzi, quali sono tutti gli scolari e gli studenti della mia Città e del mondo.
Questa volta non scriverò nulla di nuovo e di antico. Facebook mi riporta un mio articolo di sette anni fa. E Raffaele, quel ragazzo bellissimo “ perduto e ritrovato” che la Scuola non seppe difendere. Io non l’ho mai dimenticato. Dedico a lui questo inizio di anno scolastico e ai ragazzi di oggi la sua bellezza, perché possano aggiungerla alla propria, magari con quella forza che lui non ebbe per difendere la sua. È da una vita che si parla di riforma della Scuola e non manca governo nuovo che non ci metta mano per cambiarla. Così tanto per mostrare interesse per essa, oppure una visione della società che da almeno quarant’anni manca alla politica e alla cultura che dovrebbe supportarla o ispirarla. I danni cumulati a ogni passaggio di un tempo nuovo mai “ acchiappato” per assenza di cultura di quello passato, sono davanti agli occhi di tutti. Per fortuna ci sono i docenti, questi povericristi, belli come i Santi, coraggiosi come i soldati in guerra, eroici come i salvatori della Patria, che, nonostante i “sempre più bassi” stipendi e il continuo ridimensionamento della loro funzione, anche per il potere “ dirigenziale” concentrato all’interno di una assurda logica aziendalistica del sistema Scuola”, continuano a dare il meglio di loro stessi. Perché insegnare non è un mestiere.
Non è una professione. Non è neppure, come retorica vuole, vocazione. È semplicemente spirito di servizio. Quello del dare senz’altro avere se non la gioia di aver contribuito a crescere, come figli propri, i figli degli altri. Senz’altro avere che la gratificazione di aver consegnato al Paese la futura classe dirigente. Senz’altro avere che la certezza che dalle loro mani inizia il futuro, che sarà migliore o peggiore, se loro, i docenti, saranno stati all’altezza di quel grande compito, contribuire a formare la Persona. Io non ho mai saputo dire cosa sia la buona Scuola, molti “ scienziati”, anche al bar dello sport, ne hanno parlato e per l’intero giornata odierna lo faranno, anche dai numerosi salotti televisivi, se i servizi sulla guerra in Ucraina( l’unica guerra trattata) e il funerale interminabile della Regina Elisabetta con la passerella di re Giorgio sull’intero pianeta “massmedializzato” , lo consentiranno. So, però, per averla vissuta e praticata, che la la Scuola vera è quella che istruisce, forma, rafforza, in una continuità senza interruzione alcuna, i nostri ragazzi. So che la Scuola vera deve dare gli strumenti per l’autonoma comprensione della realtà. Specialmente, in questo frenetico e tumultuoso oggi, in cui la tecnologia domina la conoscenza e riduce la capacità di selezione delle migliaia di informazioni al secondo, che, senza rete di protezione, i nostri giovani divorano, mentre la loro solitudine cresce in quella enorme folla indistinta in cui l’essere umano stesso si perde. E in essa si disperde.
La Scuola vera, è quella in cui ogni docente, nessuno escluso, sappia capire che ogni giorno, da quel cancello e lungo quel cortile e quei i corridoi e quelle scale, camminano fino al loro ingresso in aula, due individui in uno solo. Uno è lo studente, l’altro è il ragazzo/a. La cosa che appare più semplice è scegliere, tra i due, lo studente o lo scolare. È facile farlo. Meno faticoso. Più alla nostra portata. Lo invitiamo ad accomodarsi con i modi che ciascun docente possiede. Iniziamo la lezione immediatamente, libri aperti, attenzione imposta e spiegazione obbligata, ché altrimenti il dirigente si arrabbia. Perché il programma, i tempi, le competenze, i dipartimenti e il gruppo di classi che devono camminare di pari passo… Vuoi mettere che proprio io, quel docente cioè, mi faccia trovare indietro. E, poi, le “ interrogazioni, per i voti, che ancora ci danno il potere, quello rimastoci nelle mani. Sì, meglio scegliere lo studente, è più facile. Comodo, addirittura, ché con questi registri elettronici aperti ai genitori, vuoi che uno di questi non vada dal dirigente per “dirmene quattro”? Ma sì, meglio scegliere lo studente, ché io sono preparato, la lezione la conosco a memoria, e sarò a posto. Farò una figurona. Qualche distacco con tono più severo, e i ragazzi mi temono. Ché, il potere lo dice, essere temuti è meglio che essere accolti. Accettati. “ Affascinati dal fascino proprio espresso. Eh no, meglio il potere. Ci risparmia di parlare, fuori “ campo”, con i ragazzi. Di più ascoltarli. Anche per lungo tempo. Parlare di loro, ascoltarli parlare delle loro cose. Dei loro affanni. Delle incomprensioni del mondo adulto e della difficoltà di comprendere il mondo adulto.
Della difficoltà sempre maggiore di essere ascoltati. A casa. A scuola. Meglio sentirli alla cattedra, questi benedetti studenti. Due domande e via. Di più non, perché sono tanti da interrogare. Due domande per coloro che non sanno. Due domande per coloro che, molto avendo studiato, sono andati lì per farsi sentire per un’ora! Ma due bastano, ché non c’è tempo. Due domande per un otto pieno, ché dieci non si dà( è troppo!). Due domande per un bel tre, che è sempre meglio di un due. E il discorso è chiuso. La Scuola vera, invece, è quella che se fosse costretta a scegliere consentirà che il docente scelga i ragazzo. E blocchi le lezioni se quel solo ragazzo, più che lo studente, ha bisogno di aiuto. E dopo averlo aiutato, di quella fatica sa farne una lezione per tutti. La vera Scuola, è quella che a fine giornata di quei due individui, distinti e distanti, ha saputo farne un soggetto unitario. Una persona. Piena.
La Scuola vera è una finestra, sul davanzale della quale si conduce l’allievo per invitarlo a guardare fuori, portandolo a distinguere tra ciò che è antropico e ciò che è Natura, affinché egli possa comprenderne la differenza e si disponga alla ricerca della Bellezza. Perché solo nella Bellezza c’è la salvezza del pianeta e dell’umanità. C’è la Pace. E nella Pace il Progresso. Anche delle Scienze. E della Vita. La Scuola, che prepari al lavoro, non deve confondersi con una sorta di apprendistato all’intero di un’economia che, tra l’altro, il lavoro non offre a tutti. Nè nella quantità. Né nella qualità. La Scuola per il lavoro, deve venire un attimo dopo e su un altro spazio e e un altro tempo. Ciò che è necessario oggi è che la Scuola non perda i suoi ragazzi. Da tempo l’attenzione della istituzione è rivolta al fenomeno della “ dispersione scolastica”. È un termine che va tradotto bene, affinché non si risolva unicamente nella preoccupazione che il sistema economico non abbia i lavoratori di cui necessita. Una preoccupazione che si rivelerebbe estemporanea e passeggera, potendo esso, il sistema, far ricorso “ all’esercito di riserva” moderno, costituito dalla forza lavoro degli immigrati “ graditi”. La dispersione di cui la Scuola vera si deve occupare, è quella della doppia perdita di ragazzi. La prima è quella della diminuzione annuale e progressiva di iscritti. Quest’anno se ne registra un numero superiore ai trecentomila. Per fortuna, l’organico del personale non è stato ridotto. La seconda, è data dalla perdita di ragazzi. Sono quelli che si iscrivono, si fanno vedere per un po’. E poi spariscono. La Scuola che non li ha visti prima, li perde di vista dopo.
La Società che ha altro da fare, lascia che essi si nascondano nelle pieghe del suo dolore, negli anfratti della sofferenza. Nel buio pesto dell’ignoranza. A lamentarsi sono soltanto le statistiche e il sistema meccanico della rilevazione dei dati. Nessun altro se ne occupa. Nessuno li va a cercare. Questa società, orfana di padre, non ha autorità che si mettano in cammino come “ il buon Pastore” del Vangelo. I ragazzi dispersi, insieme ai ragazzi “ smarriti”, e tutti loro insieme ai ragazzi che non si cercano e non cercano, rappresentano il vero problema dinanzi al quale si trova un Paese smarrito, deprivato dell’autorità della Politica e della forza delle istituzioni, come il nostro. Paese assai in pericolo.
Soprattuto, per la tenuta democratica del suo equilibrio Costituzionale. La Scuola che mi piace è quella nella quale tornerei di corsa e in essa mi fermerei fino all’ultimo mio giorno. È la Scuola che forma la Persona e la invita a essere un buon cittadino. È la Scuola della ricerca. Anche scientifica. E della Cultura, anche della Vita. È la Scuola che, finalmente, trova oggi il mio Raffaele. Lo trova in tutti i ragazzi dispersi che è andata a cercare.
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