di FRANCO CIMINO
Abbiamo letto la preghiera che don Mimmo Battaglia ha scritto per aggiungere speranza e forza nuova al desiderio di far cessare questa brutta assurda guerra in terra Ucraina. Credo che l’abbiano letta in tanti in Italia. Molti di più del numero dei credenti. È una preghiera che è poesia. Una bella poesia. Si legge subito con piacere. È così progressivamente intensa che anche un non credente, inoltrandovisi, trasformerebbe quelle parole “estetiche” in preghiera.
Siamo felici di questo. E grati al nostro don Mimmo, che ogni giorno che passa dimostra di meritare la straordinaria cattedra che occupa nella chiesa di Napoli, una delle più importanti del mondo. Ma sentire leggerla, ieri, nell’affollata udienza pontificia del mercoledì in sala Nervi, da Francesco che parlava a tutto il mondo, beh, la gioia è diventato orgoglio. E la poesia- preghiera una sorta di bandiera della Calabria, la terra di Mimmo Battaglia. Di quel ragazzo che amava giocare a pallone mentre la mamma lo sgridava perché sudando si sarebbe “ ammalato”.
La mamma di Mimmo, come tutte le nostre mamme che non sono andate a scuola e però erano, in un tutt’uno, medico, infermiera, cuoca, maestra, la prima stimolatrice del credo religioso. E la prima formatrice del sentimento d’amore. Quello che poi, noi ragazzi crescendo, abbiamo impiegato diversamente nei tanti luoghi in cui poterlo depositare. Per tanti fu la Politica e la Famiglia nell’amore infinito verso la propria donna e i figli nati da Lei. Per altri fu lo sport, quello del calcio soprattutto. Per quel ragazzo di Satriano, che ama il mare che si distende via Soverato fino a Marina di Catanzaro, e che inizialmente aveva altri sogni in tasca, l’Amore si vestì di vocazione e il cuore della chiamata imperiosa del Signore. L’avrà sentita forte e convincente, perché, di certo, quel giovane non più ragazzo, avrà resistito.
Si sarà domandato se fosse davvero lui quello della chiamata, se il suo Dio non avesse per caso sbagliato (vuoi vedere che talvolta accade?) se, infine, il Signore non lo volesse mettere alla prova conoscendo quel cuore così pieno d’Amore che gli fuoriusciva dagli occhi. E dalle parole ancora nude, prima che si nutrissero della sapienza della teologia e della pienezza della Parola. Quella che è logos, ma anche saio e bastone, con i quali egli si è messo subito in cammino per le strade della sofferenza e del dolore. Le strade che ha camminato per anni alla ricerca di poveri, prostitute schiavizzate, donne violate e giovani abbandonati alla disperazione e alla tossicodipendenza. Anche nelle città dalle infinite periferie, dove il buio delle strade e gli anfratti dell’esistenza coprono bene la solitudine degli uomini abbandonati(si).
Ah, la preghiera-poesia, che poi in fondo ogni preghiera é sempre poesia e viceversa! Perché Francesco l’ha fatta sua? E perché l’ha voluta trasferire ai cuori e alla coscienza di tutti gli uomini oltre quel confine della Santa Sede? Sono le domande che mi sono posto e alle quali provo a dare una risposta. Francesco e don Mimmo appartengono alla comune radice umana. Quella rara, che più in profondità, quasi irraggiungibile, trova le vere ragioni della Terra, l’Amore e la Vita, strettamente intrecciati anche alla volontà di servirli. A mani nude, in tasche vuote, in spalle piegate. A braccia tese. A schiena curva sulla fatica e sul dolore degli altri. Sulla caduta dei deboli e dei colpiti. Caratteri diversi, ma sensibilità eguale, i due preti per le strade. Don Mimmo somiglia a Francesco, come un figlio al proprio padre. I loro cuori si parlano da lontano e la loro parola si fa coro. Ma i due pastori sono anche uomini che operano nella società dove tutto dell’uno e dell’altro, come le attività di ogni uomo, si fa Politica.
Come la preghiera-poesia del Vescovo di Napoli. A leggerla con maggiore attenzione o ad ascoltarla attentamente come la voce del Papa l’ha scandita, si coglie bene il rapido passaggio dalla poesia alla denuncia sociale, dalla preghiera all’atto politico. Dopo aver trasferito Dio tra gli uomini( per ricordarci che è sempre tra noi)e dopo aver identificato Gesù, suo figlio e nostro fratello, con i bimbi nati “sotto le bombe di Kiev” o in quelli morti “ in braccio alla mamma in un bunker di Kharkiv” o “ nel ventenne andato al fronte”, e chiesto al Signore di avere “misericordia e pietà di noi peccatori” mentre con una forza straordinaria equipara la guerra soltanto alla guerre e tutti coloro che ad essa sottostanno quali vittime sacrificali della stessa guerra, il nostro Vescovo passa alla denuncia. Sì, quella fortemente morale e politica nei confronti di quanti usano i talenti creativi che Dio ci ha donato, invece che per realizzare il Bene, per produrre la morte di tutto.
E per saziare con lo stesso sangue umano la sete di sangue e di potere, attraverso l’uccisione ancora una volta del proprio fratello. Quando don Mimmo implora “Gesù Cristo, figlio di Dio, di fermare la mano di Caino e di illuminare la nostra coscienza”, è agli uomini, a tutti gli uomini, e ai governanti, a tutti i governanti, che si rivolge. E non per implorarli di far cessare le armi soltanto, ma per intimargli di rompere quella antropologica spirale egoismo, brama di dominio dell’uomo sull’altro uomo. E per quella fame incontenibile di denaro e di potere, che rappresenta il primo atto di violenza contro l’umanità e l’inalienabile diritto alla Giustizia, alla Libertà , all’Eguaglianza, i prodromi, questi positivi, della Pace.
E allora che dire, se non riportare alla mia memoria quei giorni di vent’anni fa, quando, come provocazione nei confronti della politica locale, assente sui grandi temi della sofferenza, e apprezzamento per la sua opera nel sociale, proposi di eleggere don Mimmo sindaco di Catanzaro! Ecco, che dire oggi, se non proporre Francesco come leader dell’Umanità e don Mimmo “sindaco d’Europa”? Perché io temo, purtroppo, che le preghiere non siano sufficienti per questi abitanti del pianeta che negano Dio. Neppure per farsi tardivamente perdonare i crimini compiuti contro la natura e gli esseri umani. Forse, aveva davvero ragione Giovanni Paolo Secondo quando alla Valle dei Templi, urlando contro i mafiosi ha detto:” pentitevi, ora, ché un giorno verrà il giudizio di Dio.”
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