di FRANCO CIMINO
Il silenzio assordante intorno alla clinica Sant’Anna è più grande del rumore che si sta facendo intorno ad essa. Preoccupa molto quel silenzio, come una parte di quel rumore se prodotto da interessi, anche politici ed elettorali, che nulla hanno a che vedere con la vera solitudine in cui si trovano i trecento lavoratori della clinica, sempre stretti, come sono, tra il ricatto occupazionale e lo scudo con cui vengono usati in una situazione resa sempre più confusa dalle recenti vicende giudiziarie che hanno “aggredito” la struttura sanitaria. Il silenzio è il solito, antico, quello propriamente calabrese.
È fatto da indifferenza. Quella della gente rispetto alle questioni che la riguardano e quella degli uomini delle istituzioni, come di quelli impegnati negli ambiti della cultura e della formazione. È fatto anche, quel silenzio, dallo svuotamento della politica di ogni tensione ideale e morale. E dalla sua principale funzione di strumento al servizio di un potere che guardi agli interessi generali e puliti, quali sommatoria strategica e programmatoria di ogni energia presente sul territorio, sia essa pubblica o privata. In questo caso il silenzio si giova pure, sia pure in piccola parte, di un pericoloso intreccio di invidia sociale, “moralismo filo giudiziario” e pregiudizio duramente ideologico, verso la sanità privata. E più largamente, e sottilmente, verso la proprietà privata. Un pregiudizio, questo, di stampo ottocentesco.
In questo silenzio c’è anche la crisi della Città che ospita Villa Sant’Anna. Una crisi larga, diffusa, profonda, in cui spicca l’assenza del Comune come istituzione politica. Assenza ormai cronica, già registrata in altre analoghe delicate situazioni. Anche recenti ed attuali. Questa assenza sarebbe stata meno dolorosa se molti degli attuali sostenitori del Sant’Anna si fossero impegnati anche in altre direzioni, dove( Villa Betania per esempio), al rischio della chiusura(anche per morosità della Regione) con conseguente perdita di centinaia di posti di lavoro, si aggiunge la sofferenza e la particolare delicatezza delle persone colà prese in cura. La clinica Sant’Anna è più che un caso sanitario o sindacale o economico, ovvero tutt’e insieme queste ragioni. È, soprattutto, questione morale e politica, e quindi anche democratica. Per i catanzaresi che hanno gli anni miei è anche una questione sentimentale. Per tutti i catanzaresi anche un motivo di orgoglio per i successi da essa raggiunti. Molti se non l’hanno vista nascere, certamente l’hanno vista crescere quando, da importante clinica ostetrica, una delle prime in Calabria, è diventata, attraverso alcuni passaggi fondamentali, una struttura di alta specialità cardiochirurgica. Tra le più qualificate in Italia. Tra le prime nell’intero Mezzogiorno. E non solo per i novecento interventi l’anno, o per la considerevole quantità di posti di lavoro altamente specializzato che offre, ma per l’alta qualità degli stessi. Una vera eccellenza nel campo, per dirla con la vulgata. Per le ragioni addotte dalla direzione e dalla proprietà, questo particolare ospedale “ salvavite” tra pochi giorni chiuderà se non interverranno Regione e Ufficio del Commissario Straordinario per sanare lontani crediti e, anche provvisoriamente, l’incerto rapporto sugli accreditamenti, di cui poco si capisce ancora.
Questa struttura, pertanto, non può e non deve interrompere il suo lavoro, che rappresenta un servizio speciale e necessario a un sistema sanitario, quello calabrese, che fa ancora acqua da tutte le parti costringendo migliaia di calabresi alla costosissima, non solo sul piano economico, migrazione sanitaria verso gli ospedali del Nord. Il Sant’Anna Hospital, come viene chiamato con un vezzo di fanatismo linguistico che non guasta, non può chiudere. E non chiuderà. Le inchieste giudiziarie facciano il più celermente e il più correttamente il loro corso, ma non interferiscano, sia pure indirettamente non essendo questa certamente la volontà degli inquirenti, nella attività sanitaria. Tante, purtroppo, sono state nella sanità pubblica le gestioni moralmente discutibili e condannabili, senza che mai, nonostante i gravi danni prodotti, siano state messe in discussione e l’ospedale interessato e la erogazione dei fondi pubblici per sostenerlo. Vorrei ricordare a me stesso che il privato che svolge un servizio pubblico è esso stesso un soggetto pubblico e che la differenza, qui come in altri campi, tra le due sfere è solo un modo per accrescere, in un sistema democratico e, quindi, pluralista, la quantità e la qualità delle risorse e delle competenze a favore di un servizio alla persona e alla gente che sia sempre migliore ed efficiente.
Un servizio “democratico”, che non escluda alcuno dal diritto alla salute e alla medicina preventiva e curativa. Il dramma della Calabria, la questione delle questioni calabresi, è dato dalla sua arretratezza culturale e dalla debolezza politica, le quali hanno impedito la costruzione di un sistema articolato e moderno in cui la sanità rappresentasse davvero il fulcro di una vera modernità. Quella modernità da decenni attesa per entrare a pieno titolo nelle regioni progredite dell’Europa e potersi fare ponte di civiltà tra essa e la terra oltre il Mediterraneo. La nuova sfida, che si apre con le prossime elezioni regionali, sta anche in questo specifico. Nella capacità, cioè, di costruire un sistema, anche sanitario, in cui il meglio del pubblico, liberato dalle sue zavorre, e il meglio del privato, liberato da un irriducibile e becero spirito di asperrima speculazione di tipo capitalistico, competano sul terreno della ricerca e della specialistica e insieme concorrano, dentro una strategia unitaria dettata dalla Politica, al Progresso della nostra terra e alla valorizzazione di ogni sua bellezza. E ne determinino la sua effettiva liberazione.
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