La riflessione di Galileo Violini: "Resistenza italiana e resistenza ucrainiana"

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Galileo Violini
  26 aprile 2022 13:27

di GALILEO VIOLINI

"Entrammo nella Prima Guerra Mondiale 330 giorni dopo il suo inizio. Decisione presa in tre settimane. Il fronte contrario all’intervento era ampio. Le motivazioni per entrare di dubbia saggezza. Interessi industriali contrastanti. Respinta l’offerta dei due partners della Triplice, nonostante fosse di quelle che si suol dire non potrebbero essere rifiutate e come tale valutata da chi era stato il dominus incontrastato della politica italiana degli ultimi quattordici anni. Entrammo nella Seconda Guerra Mondiale 263 giorni dopo il suo inizio. Decisione maturata sottovalutando gli effetti che avrebbe avuto l’evacuazione di Dunkerque. Ma la folla osannante di Piazza Venezia questa volta era ampiamente maggioritaria. Sognava che la Corsica e le colonie francesi avrebbero reso di nuovo Mare nostrum il Mediterraneo, in continuazione con l’ubriacatura dell’Impero e che il re e imperatore fosse da due anni anche re di Albania.

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Oggi, una maggioranza appoggia l’Alleanza cui appartiene l’Italia, alleanza tra uguali certo, ma che ricorda quella della Fattoria degli animali di Orwell, con uno più uguale degli altri. Il rischio di una Terza Guerra Mondiale incombe. La Russia afferma che non userà l’atomica, anche se le dichiarazioni di Lavrov sono un crescendo rossiniano. Un mese fa Biden ha detto qualcosa che il Wall Street Journal ha interpretato come seria presa in considerazione di un First nuclear strike.

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Intanto l’Europa, di cui molti lamentano non abbia un esercito, ma pochi che non abbia una politica estera, si dirige come i bambini di Hamelin verso l’ignoto, al seguito di una reincarnazione del pifferaio di Grimm. Leadership, l’attuale, difficile da confrontare con quella che otto anni fa reagì vigorosamente quando fu pubblicata una conversazione tra l’ambasciatore americano a Kiev e la Segretaria di Stato assistente per gli Affari Europei e Euroasiatici, in cui quest’ultima proferì un poco diplomatico “f*** Europe”. La persona che dovette tappare la falla fu l’attuale portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, che, lamentando la poca cortesia del Ministero degli Esteri russo che aveva pubblicato la conversazione, glissò sul f*** Europe e considerò un normale scambio di opinioni quello che altri interpretarono come l’investitura di un primo ministro di uno stato, che come ci è stato ripetutamente ricordato negli ultimi due mesi, era uno stato sovrano.

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Ma torniamo a casa nostra. La propaganda proucraina domina. Il manifesto della Marcia della pace è qualificato come osceno. Ci si compiace della proscri...ione della lettera Z, con minaccia, da parte di un ex primo ministro, di espellere dal partito, pardon movimento, un presidente di commissione parlamentare, che ha fatto uso di un privilegio riconosciutogli dall’articolo 67 della Costituzione. Le proteste ucraine ottengono che cambi il titolo del film di apertura del Fesival di Cannes. Nelle cineteche presto si cercheranno le copie del film di Costa Gavras che emozionò la mia generazione e se ne cambierà il titolo. Né è meglio in Germania, dove c’è chi ha proposto sanzioni economiche contro un ex cancelliere, perché amico di Putin.

Sottile, ma neanche troppo, arma della propaganda la rappresentazione caricaturale delle posizioni scettiche rispetto alla politica del Governo, presentate in talk show, non confronto di opinioni, ma risse da bar, come tra tifosi di due squadre rivali.

Per capire di più non resta che  leggere la stampa straniera. Certi articoli del New York Times in Italia sarebbero distrutti dagli opinionisti dei nostri maggiori quotidiani.

E nei giorni scorsi si è aggiunta la polemica sul 25 aprile. Scandalizzati molti della posizione “ambigua” dell’ANPI. Entusiasti moltissimi della presunta applicabilità di “Bella ciao” all’Ucraina. Dubbio considerare tutte le invasioni uguali. Certo, quella di Panama, quando ne fu portato in altro paese il presidente non è proprio uguale. Ma la narrativa è che quella dell’Ucraina e l’occupazione nazista con annessa Repubblica di Salò pare debbano considerarsi simili.

Pericolose le analogie con i fatti di quasi un secolo fa. Il colonnello Moscardó non cambiò la resa dell’Alcázar di Toledo per la vita del figlio Luis. A Ezio Vigorelli, la morte dei due figli non impedì di continuare nella sua attività nella Repubblica dell’Ossola. Rispetto entrambi, ma Moscardó stava dalla parte dei falangisti, e Vigorelli dalla parte dei resistenti. Riferendomi ancora al “alzamiento nacional”, il prodromo di guerra civile italiana in Guadalajara non è assimilabile a Mariupol’, né i volontari italiani che difendono l’Ucraina invasa alle Brigate Internazionali, e i volontari a lato dell’invasore russo, a parte che non sono benedetti dal nostro governo, alla Legione volontaria fascista. Tuttavia, il fatto che, secondo le cifre ufficiali, sono in numero confrontabile, potrebbe suggerire qualche riflessione.

La Resistenza italiana non ha nulla a che fare con quella ucraina. È un’altra cosa.

Nessuno dei nostri morti in quell’epopea, morti in azione, torturati o uccisi nelle celle della Gestapo o in pubbliche esecuzioni, si sentirebbe a suo agio a lato di chi ha riabilitato Stepan Bandera, eroe nazionale dell’Ucraina, o ammira Mykola Lebed. Zelensky è ebreo, membri della sua famiglia sono stati vittime della Shoah. Ovvio che non è nazista. Però la real politik lo ha posto a lato di un partito come l’Unione panucrainiana “Libertà”, Svoboda. I nazionalisti ucrainiani, bontà loro, hanno assicurato che non elimineranno i libri degli scrittori russi dalle loro biblioteche. Gogol’ ne sarebbe stato vittima ucraina. Bulgakov anche, e forse con maggior probabilità. Troppo filo ucraino per i russi, ma troppo filo russo per gli ucraini. Questo ci rassicura che non vedremo Bücherverbrennungen, come il 10 maggio del 1933, ma le dichiarazioni russofobe, PRIMA dell’invasione, e da parte di personalità che hanno avuto ruoli governativi importanti, non si contano.

Settore destro e il Battaglione Azov sono la versione ucraina della banda Muti, la banda Koch, la X MAS. Essere solidali con loro il 25 aprile, il giorno in cui una canzonaccia, familiare a chi dopodomani andrà in pellegrinaggio a Predappio, afferma che “è nata una p*** e nome le hanno messo Repubblica Italiana” è troppo. È spesso citato di Gian Carlo Pajetta “Noi con i fascisti abbiamo smesso di discutere il 25 aprile”. Triste vedere un 25 aprile di solidarietà con un Tyahnybok, il cui antisemitismo è ben più che imbarazzante.

Rispetto il diritto dei miei compatrioti di avere idee diverse dalle mie sulle cause della crisi ucrainiana e sui fatti del 2014, ma non fino al punto di non respingere, senza se e senza ma, l’appropriazione, attraverso improponibili analogie, della Resistenza".

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