di GALILEO VIOLINI
"La propaganda di guerra non demorde e ignora le contraddizioni nelle applicazioni dell’arma non letale per antonomasia, le sanzioni, e non si accorge che, nella loro inutilità, non sono poi così inutili, ma per fini ben diversi.
Tre settimane fa, la stampa occidentale annunciò la sospensione delle attività in Russia di due holding tessili spagnole. Due giorni prima aveva chiuso la svedese IKEA.
Il gruppo Inditex annunciò la chiusura temporanea dei suoi 502 punti di vendita, tra cui i 96 di Zara, e sospese le attività di vendita online. Il gruppo Tendam chiuse i suoi 50 punti di vendita. In entrambi i casi, assicurata protezione economica ai dipendenti, 9000 di Indetex e 400 di Tendam. La ragione? Difficile dubitare che sia política, ma la spiegazione ufficiale di Indetex fu l’impossibilità di approvigionare i punti di vendita e sostenere i meccanismi di vendita online.
Decisione di grande impatto economico per Indetex. Proviene dalla Russia il 5% del fatturato del gruppo, e questo produce il 22% dei suoi guadagni in Europa. 86 milioni di euro nel 2020, tre volte di più l’anno prima.
Qualche giorno dopo, ritiro di tre colossi americani, McDonald’s, Starbucks e Coca Cola.
McDonald’s, 850 punti di vendita in Russia, 62000 dipendenti. Ma non ritirarsi l’avrebbe esposto a un boicottaggio mondiale di un numero di esercizi 50 volte maggiore. Ancora retribuzioni dei dipendenti garantite.
Musica per le orecchie della propaganda.
Corriere della Sera: affollate code di russi per provare, un’ultima volta, l’ebbrezza di un BigMac, simbolo della fine dei digiuni dell’epoca sovietica.
Impatto atteso del ritiro di McDonald’s: l’insostenibile privazione condurrà a un colpo di stato.
Per sventarlo Putin ha creato “Zio Vanja”, catena il cui marchio plagia quello di McDonald’s. Mantenuti, a quanto pare, i posti di lavoro. Cibo preparato con alimenti made in Russia. Glielo avrà consigliato un amico, noto apologeta del made in Italy?
Idea analoga la creazione di IDEA. Logo simile a IKEA. E richiesta di danni per mille miliardi di miliardi di rubli da parte di un certo Kukkoev.
Ma quanto si è ritorto sui paesi occidentali il peso delle sanzioni?
Bella domanda. Molti le rispondono deviando il discorso, formulando di rimbalzo un’altra domanda o con proiezioni ai prossimi dieci anni. Biden, testimone von der Leyen, ha promesso che le forniture di gas americano raggiungeranno nel 2030 la meta di … un terzo di quelle russe.
Modesto l’impatto sull’economia degli Stati Uniti. La Russia è ventesima per import e quarantesima per export.
Problemi maggiori per altri paesi europei. Il principale, l’energia. Non per la Spagna. Ha il grande deposito sotterraneo di Yela, alimentato con gas algerino. E, unico paese in Europa, sei impianti di rigassificazione per utilizzare il gas americano.
Posizioni differenti nell’Unione Europea. Rotta la compattezza del Gruppo di Visegrad. Compatto quando si parla di migranti. Ma non fino a far dimenticare a Orban quanto l’economia ungherese dipenda dal combustible russo.
Altra crepa nel muro delle sanzioni in Italia e Germania, che rimpiangono la disavveduta rinunicia al nucleare
Gli scambi italiani con la Russia, 20 miliardi di euro, pongono questo paese al quattordicesimo posto per le nostre esportazioni. Siamo il quinto paese esportatore in Russia dove va il 4.4% del nostro export globale. Due volte e mezzo maggiore la percentuale tedesca, poco minore quella francese. L’investimento diretto (FDI) in Russia era, dieci anni fa, 7 miliardi di euro. Nel 2019 quasi raddoppiato.
Sanzioni quindi dall’impatto bivalente. Difficile valutarne l’efficacia.
Infantile l’idea, adattamento consumistico della Lisistrata, che le mogli dei magnati russi li convincano a scaricare Putin, per poter continuare a fare turismo e shopping nel mondo libero. Improbabile detonante di una crisi politica interna russa e irritante caricatura del ruolo sociale delle donne, rivela una fastidiosa arrièrepensée machista.
Tre imprese francesi della famiglia Mulliez, delle quali la più nota Auchan, a differenza della Renault, non si sono ritirate dal mercato russo. Motivo? Pur consce del rischio di un boicottaggio, in effetti sollecitato dal governo ucraino, hanno dichiarato di non poter gettare sul lastrico 76000 dipendenti.
Non è incongruente la nobile preoccupazione per il personale con il fine e giustificazione delle sanzioni, destabilizzazione economica della Russia che possa sfociare in una ribellione? Non sarebbe buona arma non pagare i 100000 dipendenti delle imprese spagnole e francesi, o i 62000 di McDonald’s?
Pare di no. Occorre distinguere.
Lo ha fatto il presidente Macron, chiarendo che le sanzioni si applicano a imprese che producono beni strategici. Quanto alle altre, siano liberi i loro dirigenti di decidere.
Sanzioni sì, ma come don Lisander fa dire a Antonio Ferrer: “Con juicio”.
Per dubbia, o nessuna, efficacia si distinguono quelle contro gli oligarchi amici personali di Putin. E, per il loro impatto mediatico, i “congelamenti” dei loro yacht.
Congelamenti, o sequestri che siano, il loro valore economico, pur grande, è mínimo se confrontato con l’asset del padrone in Russia o con il volume delle relazioni economiche russe. Il professor Panebianco, ex-preside di Giurisprudenza a Salerno, ha ricordato che, almeno in Europa, sono provvedimenti impugnabili presso la Corte di Giustizia Europea. Pëtr Aven, exdirettore di ABH holdings, intervistato da Parenzo, ha dichiarato di star considerando farlo.
Congelamenti forse inutili per il fine principale, ma di utilità polivalente.
Emblematico, l’accaduto nei giorni scorsi in Repubblica Dominicana. Lo yacht Flying Fox sarebbe stato “visitato” da agenti della HSI, l’Homeland Security Investigation (Homeland ???), accompagnati da doganieri domenicani per “un’investigazione su organizzazioni criminali terroriste e transnazionali che minacciano … le leggi di dogana e immigrazione degli Stati Uniti”.
Un portavoce della marina dominicana ha dichiarato che la documentazione del Flying Fox è in regola, e che la RD si attiene scrupolosamente alla legislazione internazionale. Unica dichiarazione ufficiale.
Lo yacht è, da una decina di giorni, ancorato nel porto Don Diego, nel cuore di Santo Domingo. Ignoto perché non sia potuto salpare. Pare che sia “retenido”, cioé “congelato”.
L’addetto stampa dell’ambasciata USA ha risposto con un “No comment” di libera interpretazione, alla richiesta di confermare la “visita” degli agenti dell’HSI.
Il noleggio per una settimana del Flying Fox, che dovrebbe appartenere a Dmitrij Kamenšcik, amico di Putine proprietario di uno degli aeroporti di Mosca, ha il modico costo di 3.5 milioni di dollari. Immaginarlo come un barcone che trasporti immigranti illegali a Miami, costa fatica, ma tutto è possibile.
Certo, si potrebbe pensare a un’altra interpretazione.
Quando fu eletto, il presidente Luis Abinader, ribadì che i buoni rapporti con la Cina non potevano scalfire la relazione prioritaria della Repubblica Dominicana con gli Stati Uniti. Certezza incrinata dalla pandemia. Le farmaceutiche occidentali non rispettarono i contratti, di ieri l’annuncio dell’intenzione del governo dominicano di ricorrere ad un arbitrato internazionale per l’inadempimento del contratto con Astrazeneca, e rifiutarono negoziare una produzione locale. Grazie al Sinovac, la Repubblica Dominicana fu dei paesi latinoamericani che meglio contennero la pandemia e leader per tasso di vaccinazione nei primi mesi della campagna.
Varie autorevoli dichiarazioni furono critiche dei paesi industrializzati e della loro política di produzione e distribuzione dei vaccini. E a settembre, all’Assemblea delle Nazioni Unite, il presidente esaltò il valore della multilateralità.
Nel contesto latinoamericano sono posizioni preoccupanti. Politici argentini hanno reso dichiarazioni analoghe per quanto riguarda i vaccini. Recenti elezioni presidenziali (Bolivia, Perù, Cile), e le prospettive di quelle in Colombia e Brasile, non dipingono un quadro favorevole agli Stati Uniti. La crisi ucraina ha imposto riconsiderare le relazioni con il Venezuela di Maduro.
Difficile considerare la vicenda del Flying Fox un banale caso di applicazione delle sanzioni.
La questione potrebbe forse essere da interpretare come un richiamo degli Stati Uniti. Priorità alla collaborazione dei paesi del continente. Non sarebbe sorprendente nel contesto tripolare che si sta delineando.
Perché mai dovrebbe applicarle la Repubblica Dominicana, paese amico degli Stati Uniti, ma in ottime relazioni sia con la Russia che con l’Ucraina, paesi, che insieme occupano il terzo posto nelle statistiche del turismo domenicano?
Difficile problema diplomatico per la Repubblica Dominicana. Sorto solo per aiutare i resistenti ucraini? A chi legge la non ardua sentenza".
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