di SERGIO DRAGONE
Quando a settembre, dopo appena quattro giornate di campionato, azzardai un paragone tra il Catanzaro di Vivarini e quello epico di Seghedoni che conquistò nel 1971 la prima storica promozione in A, più di un amico mi chiese se tutte le rotelle del mio cervello erano a posto. Il nostro obiettivo, mi dicevano, è la salvezza, anche se conquistata all’ultima giornata. Non chiediamo di più. Ma la mia era solo una suggestione, la definii un gioco romantico e beneagurante, anche se quelle similitudini tra le due squadre – a distanza di mezzo secolo – non erano proprio campate in aria: stesso impianto dell’annata precedente, stessa grinta e determinazione in campo, stessa coesione dello spogliatoio, stesso condottiero calabrese al centro dell’attacco.
La vittoria al San Vito ha segnato, a dieci giornate dalla fine, uno spartiacque. Ora il Catanzaro deve crederci e provarci. Capisco la prudenza del presidente Floriano Noto che ha confessato di non sentirsi pronto al grande salto. Ma se lo conosco appena un po', e lo conosco da diversi decenni, posso dire con sufficiente sicurezza che ha considerato anche questa incredibile variabile.
Nei playoff può succedere di tutto. Sono sfide dirette nella prima fase, dentro o fuori, l’importante è arrivare entro il sesto posto e quindi garantirsi il diritto di giocare in casa i quarti. I valori tecnici sono livellati, non esistono squadre imbattibili, perfino lo spietato Parma – che ci ha inflitto la più umiliante sconfitta di questo campionato – riesce a pareggiare in casa con il Cosenza che, a sua volta, viene asfaltato dalle Aquile. Potremmo continuare a lungo ad elencare gli stranissimi incroci di risultati che testimoniano l’assoluta incertezza delle sfide playoff. Aggiungiamo che disponiamo di un’arma letale: un pubblico che pochi club in Italia possono vantare e che sta montando, partita dopo partita, come una marea giallorossa.
E allora, Catanzaro, perché non provarci?
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