"Congressi senz’anima, slogan ripetuti e periferie dimenticate"
30 giugno 2025 17:07di SILVIA MARINO
Confesso di aver scelto consapevolmente di ignorare le recenti dinamiche congressuali del PD calabrese. D’altronde, è difficile appassionarsi alle solite liturgie autoreferenziali messe in scena dallo stesso gruppo dirigente. Ma ciò che sta accadendo in queste ore impone, quanto meno, una riflessione su una comunità politica che sembra aver smarrito il legame con i suoi valori fondanti. Si modificano le mozioni, si aggiornano gli slogan, ma il copione resta invariato: un partito che parla a sé stesso, celebra congressi senza confronto e continua a evocare il potere salvifico della “Ri-Generazione”.
Ma rigenerazione di cosa, esattamente? Delle stesse logiche che da anni soffocano il dibattito? Degli accordi siglati prima ancora che un congresso abbia inizio? O di un’idea di partito in cui il potere è prerogativa di pochi e il consenso è fabbricato a colpi di tessere?
Se è vero che la “rigenerazione” ha accompagnato le mozioni congressuali del 2022 e del 2025, allora il problema è più profondo.Perché ripetere lo stesso slogan ogni tre anni, senza cambiare i metodi di selezione della classe dirigente o la capacità di affrontare i problemi nel merito, rischia di trasformare un’idea nobile in una liturgia sterile
Anche nel 2025, come nel 2022, il congresso è stato celebrato attorno a un’unica mozione, senza alternative, senza dibattito pubblico. Se la “rigenerazione” è davvero il cuore del progetto politico, perché non aprire il confronto, accettare il pluralismo, misurarsi con visioni diverse?
Il vero tema non è la rigenerazione, ma la ricostruzione di un legame autentico con la società calabrese. Finché il PD continuerà a concentrarsi su assetti interni, rapporti di fedeltà e processi decisionali blindati, ignorando le periferie sociali non potrà essere credibile come forza di cambiamento.
La rigenerazione, se vuole essere reale, deve partire da lì: dal riconoscere che il partito ha smesso di somigliare alla sua gente. Bisogna chiedersi se questo partito è ancora in grado di parlare a chi vive ogni giorno disuguaglianze, precarietà e l’assenza di servizi essenziali.
Nel frattempo, fuori dalle sale congressuali, la Calabria affronta emergenze vere: una sanità al collasso, un mercato del lavoro frammentato, diseguaglianze che si allargano. Ma di tutto questo, nel dibattito interno, resta poco o nulla.
Le voci critiche, che ancora provano a creare un varco partecipativo nel partito, sono un campanello d’allarme che il gruppo dirigente dovrebbe ascoltare, non ignorare. Quando si sceglie di non partecipare ad un congresso pilotato, non è una fuga: è un atto di coerenza. Quando si dice “no” agli accordi tra correnti che non lasciano spazio al confronto, non è ribellione: è l’ultimo tentativo di salvare qualcosa in cui si è creduto.
Non basta cambiare parole. Serve cambiare direzione.
La sfida vera non è solo organizzativa, ma culturale e politica: non riorganizzare il potere, ma rimettere al centro le persone. E questo richiede ascolto, pluralismo, coraggio. Tutto ciò che, finora, è mancato.
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