La riflessione di Vanni Clodomiro: "Neofascismo o fascismo?"

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Vanni Clodomiro
  06 novembre 2021 19:17

di VANNI CLODOMIRO

Da ogni parte si parla da tempo di neofascismo, e mi sembra che oggi si attribuisca questa etichetta un po’ troppo facilmente. Ricordiamoci anzitutto che la storia d’Europa, e del mondo, è sempre stata una storia di regimi autoritari e assoluti. Erano certamente forme diverse di autoritarismo, ma sempre di autoritarismo si tratta. Quando, nel 1700, la cultura illuministica ha cominciato ad affermare princìpi diversi di governo dei popoli, alcuni sovrani cominciarono timidamente ad affrontare il problema di concedere alcune riforme in direzione in qualche modo democratica: cominciava a farsi strada il principio enunciato dal filosofo francese Charles de Montesquieu, secondo cui perfino il Re doveva sottostare alle leggi, rinunciando così a quella forma assoluta di governo delle genti. Poi, verso la fine di quello stesso secolo, la Rivoluzione Francese ha fatto il resto, sostenendo, per la prima volta nella storia d’Europa, la necessità di governi “democratici”. In verità, un secolo prima, cioè nel 1689, era sorta in Inghilterra una monarchia costituzionale, ma allora rimase un fatto isolato.

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Evitiamo però di ripercorrere la storia fino al secolo scorso e cerchiamo di capire un po’ come quello straordinario ed eccezionale movimento del fascismo si sia progressivamente affermato (dopo appena sessant’anni di vita parlamentare democratica) e si sia insinuato nella mente, e anche nel cuore, degli italiani, e non solo: bisogna infatti ricordare che, dopo il fascismo italiano, vari e variegati fascismi si sono diffusi un po’ dovunque, in Europa e nel mondo. Si può perciò dire che l’Italia ha il triste primato di avere inaugurato (per non dire inventato) il fascismo, e tutto ciò che ne conseguì.

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È nota ancora oggi la polemica storica sulla “fascistizzazione” degli italiani: secondo alcuni, Mussolini non riuscì a fascistizzare veramente il popolo, secondo altri invece la fascistizzazione fu un processo portato a termine, specie durante quel periodo che passò alla storia con l’etichetta degli anni del consenso (1929-1936). Secondo noi – a parte il fatto che è sempre difficilissimo pretendere di sapere cosa passa nella mente degli altri – la verità, come spesso accade, è nel mezzo: con tutta probabilità, una consistente parte degli italiani fu effettivamente inebriata dal fascismo; un’altra parte, piuttosto consistente ma tutta, o quasi, necessariamente silenziosa, rimase invece più lucida e non si fece abbagliare da parate, fanfare e facili slogan di quel regime (ad esempio: credere, obbedire, combattere).

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Ebbene oggi, come si diceva, si parla di neofascismo; ma secondo noi in Italia non esiste tanto un neofascismo, quanto piuttosto un fascismo che non è mai morto, ma che, in modo sotterraneo, ha continuato la sua esistenza sotto mentite spoglie: prima Movimento Sociale Italiano, poi Alleanza Nazionale, infine Fratelli d’Italia (il simbolo è sempre rimasto quello della fiamma tricolore). Si tratta di una sorta di sottile filo rosso, che evidentemente non si è mai realmente spezzato: magari si è logorato, un po’ sfilacciato, ma ha resistito anche nella seconda metà del secolo scorso, e continua a resistere nei giorni nostri. Si tratta degli eredi – nella maggior parte dei casi per tradizione famigliare – di quei veri fascistizzati, che hanno visto nel regime di Mussolini, una possibilità di riscatto della piccola borghesia emergente, un ritrovato senso dell’antico valore italico di carducciana memoria... insomma un’Italia del tutto autonoma e potente: un’illusione che ha prodotto i danni che tutti conosciamo, il sovranismo in primis.

Dunque, c’è sempre stata una sia pure minoranza di persone idealmente legata ai fasti di quel passato, alla nostalgia di un regime forte, capace di far piazza pulita di tutte le nefandezze di cui la classe politica è artefice, e di instaurare infine un vero e proprio regime autorevole (avremmo voglia di dire autoritario), onesto e trasparente. Dicevamo un legame ideale, ma stiamo attenti a non definirlo ideologico, perché di ideologia fascista non credo si possa parlare oggi, visto che si tratta di persone oggi più o meno giovani che il fascismo non hanno vissuto, e che comunque nulla hanno studiato e tanto meno approfondito di quel triste periodo della nostra storia nazionale. Perciò, sono stati associati ad un generico “neofascismo” (forse perché non si ha il coraggio di parlare di vero e proprio fascismo) persone come, ad esempio, i sovranisti, i cosiddetti no-vax, e perché no?, anche gli arrabbiati, gli ultras di ogni genere, sportivo, politico, sociale ecc.

Insomma, a questo punto, si potrebbe magari parlare di un fascismo appunto "generico", inteso come "tipo ideale" nel senso di Max Weber.

Dunque, si tratta di una sorta di vagheggiamento di chi vuole rompere un’esistenza grigia e tutto sommato difficile e monotona, e andare in un’altra direzione, non si sa quale e a far cosa realmente; ci troviamo cioè di fronte ad una specie di norma sovvertitrice di ogni norma: tutto si faccia, purché si contesti.

Ma forse, tristemente, ci si ribella a quella sorta di insoddisfazione profonda che spesso alberga nella generazione attuale: un’insoddisfazione che comunque non spiega tutto; molto probabilmente, si tratta di un fenomeno più ampio e non facilmente definibile con una formula unica e liquidatoria, e che sta montando in modo che non privo di pericoli: un fenomeno particolare di questo momento storico, alimentato certamente da quello che sembra a tutti un sostanziale disinteresse della classe politica nei confronti dei bisogni che provengono dal basso.

Tale fenomeno pensiamo si possa tranquillamente definire rabbia sociale. Che poi, in fondo, col fascismo, nulla ha a che vedere.

 

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