La riflessione, l'avv. Truncè: "Il sonno della ragione genera mostri"

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L'avvocato Aldo Truncè
  12 maggio 2022 15:44

di ROMUALDO TRUNCE' *

 Immaginate che domattina il Presidente Mario Draghi si alzi e decida di scioperare, giustificando la sua inoperosità come forma di protesta ad un’attività legislativa che non condivide. Sostituite al rappresentante del potere esecutivo quello del potere giudiziario, e immaginate che domani la magistratura scioperi in blocco, perché non condivide il contenuto di una legge. Gridereste allo scandalo? No, perché è esattamente ciò a cui assistiamo, passivi ed anestetizzati da qualsiasi forma di stupore di fronte a quello che, a Montesquieu, sarebbe invece parso come una catastrofe.

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E’ principio illuministico ancora vivente nei testi di diritto costituzionale quello della rigida separazione dei tre poteri dello Stato, che devono mantenersi indipendenti ed autonomi l’uno dall’altro. Ma quando uno dei tre poteri pretende di non conformarsi al decisum dell’altro, allora, al diavolo la separazione dei poteri dello Stato, ma soprattutto al diavolo l’esercizio stesso del potere, se può passare la possibilità di non esercitarlo come forma di protesta.

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Eppure ci avevano insegnato che i Giudici sono soggetti soltanto alla legge, sicchè oggi appare ancora più spaventoso che la magistratura pretenda di modificare con una protesta astensionistica, l’unico dictat alla quale è subordinata, appunto la legge, espressione della sovranità dello Stato. La protesta astensionistica come rimedio ad una legge che non piace, ma che ancora non è entrata in vigore, appare così qualcosa di innaturale rispetto alla previsione dettata dalla Carta fondamentale per bilanciare l’insorgere di contrasti tra i tre poteri: il ricorso alla Corte Costituzionale, peraltro espressione suprema del potere giudiziario, assolve proprio a questa funzione. Pertanto, se il fascicolo delle performance non piace, che si ricorra alla Consulta quando il nuovo ordinamento giudiziario farà diventare il famigerato fascicolo, strumento di verifica diretta dell’operato dei magistrati.

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Che sia la Consulta a dirci se questa nuova metodologia di valutazione è in contrasto con la Costituzione e vuole davvero ridurre i giudici a burocrati, schiavi del precedente, produttori di numeri, foraggio per statistiche. Quanto, fa male, poi, quella pagella fatta di voti espressi anche dagli avvocati! Ma badiamo, non saranno certo gli avvocati con il loro “voto unitario” a giudicare i giudici, nelle previsioni della riforma. Il loro voto peserà quanto quello del professore di educazione fisica agli scrutini. Nessuno potrà bocciare l’alunno perché è un po’ troppo sedentario. Perché allora tanto parlare? Forse per coprire, con molto rumore, il vero vento di novità dato dal referendum del prossimo 12 giugno in materia di composizione dei consigli giudiziari, allargato ai membri laici, con maggior peso decisionale? Forse per paura che qualcuno, investito della funzione di “giudice del giudice” ne approfitti per spargere sale su una ferita ancora aperta da uno scandalo recente che ha discreditato un’intera categoria? La verità è che nessun magistrato della Repubblica si sente più arroccato – se mai in passato lo è stato - su una posizione intangibile, perché l’aura sacramentale dell’icona del giudicante figlio di Dike è stata persa da tempo.

All’avvocatura farebbe immenso piacere pensare che, in cuor suo, ogni Giudice, che onori il sentimento della giustizia che esercita in nome del popolo italiano, sappia quanto sia indispensabile una reale verifica della qualità del giudizio di se stesso, prima ancora di qu ella del collega della porta accanto. E’ troppo evidente che il meccanismo delle valutazioni creato con la riforma del 2006 è fuffa, se è vero che oggi il 99 per cento dei magistrati avanza di carriera con automatiche ed ottime valutazioni di professionalità rilasciate solo pro forma. Non abbiamo i migliori giudici del mondo, abbiamo solo un inutile e finto sistema di valutazione, che va modificato. Non è sufficiente dopo aver passato l’esame, frequentare la Scuola Superiore della Magistratura e svolgere il tirocinio formativo se poi, nessuno, realmente, verifica la qualità del giudizio reso nel corso degli anni.

Se il fascicolo delle performance avrà un peso reale in quelle valutazioni, allora smaschererà l’inettitudine di alcuni magistrati che non sono più all’altezza della funzione esercitata; ma nel fascicolo non confluirà altro che l’opera omnia del giudice, che egli stesso non dovrà temere, perché nessuno può avere paura di se stesso, se è a posto con il proprio operato. Potrà fare paura il peso futuro assegnato alla percentuale di sentenze riformate, nel bilancio complessivo della valutazione; ma non è forse questo il parametro più immediato che valuta la qualità della giurisdizione? Su questo tema, qualche esponente della magistratura ha detto che per non rischiare di collezionare troppe sentenze riformate, ci sarà un appiattimento dei giudizi sui precedenti, e molte sentenze di “giurisprudenza difensiva”. Nessuno oserà, pochi saranno i giudici ardimentosi e temerari e ciò andrà a scapito dell’imputato. A me questa sembra una minaccia velata di una futura valanga di condanne, quando invece la riforma, che assegna un peso più incisivo al valore della giurisprudenza di legittimità, può portare a risultati esattamente opposti, specie in materia cautelare, quando bisognerà essere più lungimiranti e vedere in chiave prospettica, operando una prognosi sul futuro processo di merito.

Il pubblico ministero che nel suo fascicolo personale collezionerà una statistica negativa in termini di misure cautelari revocate da sentenze di assoluzione - arrivate spesso troppo tardi - potrà conformarsi al precedente in chiave più garantista per l’indagato, da perseguire a piede libero.

Ed a proposito di pubblico ministero, si è detto che il divieto di passaggio di funzioni, da giudicante ad inquirente (o viceversa), per più di una volta nel corso della carriera, rischia di configurare il mostro del “p.m. a vita”. Il mostro, in verità, è quello partorito dal sonno della ragione, come Francisco Goya raffigura nel suo celebre dipinto. Equilibrio e raziocinio sono necessari per calibrare le aspettative opposte che provengono da magistratura e avvocatura sui temi caldi della riforma dell’ordinamento giudiziario, perché non è vero che il futuro assetto ordinamentale riguarderà solo i magistrati. Chi vivrà le conseguenze dirette della riforma, sarà, al solito, sempre lui, il vero ed unico protagonista del processo, l’imputato, colui che, nelle giornate di prossima astensione vedrà irrimediabilmente posticipato il giorno del giudizio.  

*avvocato

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