di MARIA MARINO
Intense e profonde le parole del Presidente della CEC, Mons. Vincenzo Bertolone, nei confronti del lavoro femminile, ma soprattutto delicate quelle parole rivolte alle donne, nel giorno della festa della mamma. E’ inusuale e sporadico che la Chiesa parli in una maniera tanto intensa della donna, ancor meno ponga attenzione per il suo lavoro o a tutela di esso.
San Giovanni Paolo II aveva rivolto alle donne, ringraziandole, la famosa “Lettera alle Donne”, poco prima della IV Conferenza Mondiale sulla Donna di Pechino, con l’intento di dare il contributo della Chiesa “ …a difesa della dignità, del ruolo e dei diritti della donna….parlando direttamente al cuore e alla mente di tutte le donne del mondo….” . Quella lettera però in molti ambiti della società, rimase lettera morta, quasi un “tu per tu” tra l’immensità di quell’Uomo di fede e le donne del mondo, e non invece un esempio da emulare e trasferire altrove; quel dichiarato riconoscimento di aver per secoli trattato la donna quale essere umano di minore importanza, riducendola spesso anche in schiavitù, rimase tra gli atti della Santa Sede senza generare grandi mutamenti nella vita delle donne del mondo, soprattutto in quei paesi in cui l’emancipazione femminile tarda ancore a prendere il volo. La Chiesa però non la rinnegò, tantomeno però ne applicò le volontà al suo sistema organizzativo o ecclesiastico, se non per piccoli e sicuramente impercettibili segni, colti solo da chi la Chiesa la vive dall’interno anziché osservarla solamente, il più delle volte solo per criticarla, da punti di osservazione esterni e lontani dalle sue porte.
Ci vorrà Papa Francesco perché il Vaticano, nel gennaio di quest’anno, affidi ad una donna un incarico da Sottosegretario per i rapporti con gli Stati per il settore multilaterale : incarico storico ed innovativo per l’organizzazione Statale Vaticana, ma preannunciata forse già nella prima Messa del 2020 dal Santo Padre quando sottolineò l’importanza “di includere le donne nei processi decisionali”.Ed è proprio questo che l’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nel suo ruolo di Presidente della CEC, raccomanda infatti, proprio il coinvolgimento delle donne nei processi decisionali, sottolineando come e quanto le donne lottino quotidianamente per risultare “…efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia…”.
Grazie Mons. Bertolone per aver voluto sottolineare quanto le donne cerchino quotidianamente di conciliare l’essere lavoratrici con l’essere madri, figlie, spose, sorelle, nella complicata ricerca di conciliare i tempi lavorativi con quelli familiari; eppure, nonostante la tematica sia arrivata a stimolare anche la politica europea, ancora non si è riusciti a far comprendere al mondo produttivo quanto tali aspetti siano entrambi importanti per una donna, per qualsiasi donna in maniera trasversale tra i diversi ceti sociali e le diverse attività lavorative; ma soprattutto quanto entrambe i ruoli svolti dalla donna siano utili alla comunità sociale nel suo complesso. Molti, ancora, i datori di lavoro che disconoscono come risorsa la donna con “bambini piccoli” o in procinto di sposarsi (ancor peggio, pare!); per molti la sua efficienza è limitata, poco produttiva per l’azienda e quindi sconveniente sul piano economico. Tali datori di lavoro non si pongono affatto il problema del “ruolo sociale” della donna, e non considerano nemmeno la possibilità che sia in grado di produrre quanto, se non di più, di un uomo, sapendo ben conciliare, seppur con fatica, i suoi tempi familiari con quelli lavorativi, e ciò nonostante le politiche di genere abbiano oramai da anni contribuito ad abbattere, almeno sul piano formale, tali comportamenti negativi.
Culturalmente, ancora purtroppo, le donne vengono considerate la seconda scelta in campo lavorativo, proprio perché considerate più appropriate al ruolo familiare e meno a quello produttivo; nell’immaginario collettivo, quasi mai è una donna a partecipare ai processi decisionali produttivi, sicuramente mai a coordinare tali processi, e la freddezza dei numeri nelle statistiche, finiscono per avallare tali convinzioni sociali.
La stessa comunicazione dei media contribuisce a mantenere tale immutabile situazione culturale, quando utilizza la donna e il suo corpo nelle pubblicità sessiste o quando sottolinea il sesso di chi è chiamata a rivestire un ruolo, anziché la sua competenza nella materia da trattare.
Molte donne, per poter competere con gli uomini sul piano professionale, rinunciano alla loro principale differenza dell’essere donna, quell’altra metà del cielo, che alla produttività esclusivamente maschile aggiungerebbe, senza togliere nulla, il plusvalore che il punto di vista femminile porta con sé; si confonde spesso, infatti, il modus operandi, che è e deve restare differente tra uomo e donna, con la competenza e la professionalità, che possono, al contrario, essere equivalenti, se non identiche o superiori tra l’uno e l’altro, indipendentemente dal sesso di appartenenza.
L’emergenza che ha costretto tutti noi a rivedere le nostre abitudini e i nostri stili di vita, rischia oggi di aggravare ancor di più la situazione, e bene ha fatto Mons. Bertolone a richiamare tutti sulla tutela del lavoro femminile che, essendo quello considerato di minore valenza, potrebbe subire gravi ed irrecuperabili danni, anche sul piano sociale. Sul piano della riorganizzazione della vita sociale, per esempio, come avverte il Vescovo, sarebbe un errore non coinvolgere le donne secondo il merito di ciascuno o non destinare specifiche risorse a tutela del lavoro femminile, proprio per non aggravare una situazione culturalmente già abbastanza negativa nei confronti dell’emancipazione della donna che, nell’indipendenza economica, trova la sua principale chiave di emancipazione sociale e di non sottomissione; soprattutto nello scenario multiculturale e multietnico che la nostra società oggi presenta, in maniera sempre più incisivo nel tessuto produttivo, occorre poter garantire almeno le basi dell’indipendenza economica alle numerose donne che ancora poco o niente hanno percorso verso la propria indipendenza e autodeterminazione sociale ed economica, per le quali “povertà ed infelicità” ancora vanno di pari passo.
La società ha bisogno delle donne, siano madri, figlie, sorelle o spose, la loro opera nei diversi ambiti sociali, rappresenta una parte importante sia nella cura che nella produzione, sia sul piano economico che su quello sociale; tutelare e garantire loro l’autosufficienza economica significa procedere in avanti lungo la strada della evoluzione sociale, che è la via che tutti noi, uomini e donne della terra, passato il tetro periodo pandemico, auspichiamo di continuare a percorrere senza alcuna inversione di rotta.
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