La riflessione. Maurizio Alfano: "Nigrizia e imperizia. Negritudine e grettitudine. Quanti danni possono fare congetture e pregiudizi"

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Maurizio Alfano
  04 ottobre 2020 12:58

di MAURIZIO ALFANO

La lingua italiana è meravigliosa. Un accento, una vocale in più o meno, e le parole possono assumere significati contrapposti a volte, differenti altre. La lingua italiana è per questo meravigliosa come la nostra Carta Costituzionale che sancisce e difende la libertà di espressione di tutti, così come la dignità sociale di ogni essere umano senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali.

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Questo preambolo che nulla a che fare con quello costituzionale che riconosce anche alla condizione giuridica dello straniero il diritto d’asilo, ci scaraventa però dentro l’affastellarsi di alcune espressioni personali da una parte, e posizioni politiche dall’altra, entrambe ridondanti e stagnanti nel nostro Paese. Nel primo caso, sul colore della pelle degli africani, nel secondo, nel volere insistere nel fare permanere nell’impianto giuridico italiano l’eliminazione del diritto alla protezione umanitaria.

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Ritornando però al significato delle parole, ovviamente subiscono il fascino o il peso del contesto in cui esse vengono espresse. Dire ad una donna mi hai stregato, che implicitamente conclude nel definirla una strega, è in questo contesto ammaliante, è persino un complimento, nonostante il significato letterale del termine. Usare parole come nigri [negri] in un contesto nazionalista e sovranista, dove lo sfondo è la retorica dei migranti come causa di ogni problema  per l’ordine e la sicurezza pubblica va da se, senza doversi spingere troppo in là con fantasiose interpretazioni che emergere la connotazione dispregiativa alla quale l’espressione si presta. Ritornando alla libertà di espressione però, la stessa ci consegna dunque il limite non tanto del politicamente corretto, ma del buon gusto, del buon senso, ed  a essere chiari, io sono uno di quelli che odia l’espressione per definire uomini e donne africane persone di colore, privandole anche del colore della loro pelle che è il nero. Perciò dico persone di colore nero, o bianco, a seconda delle popolazioni che devo rappresentare.

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Proprio in questa direzione, guardando alla natura, e nel rispetto di ogni essere umano, qualsiasi sia il suo colore o orientamento sessuale non mi faccio carico nemmeno di prendere in prestito parole dispregiative all’uopo coniate, ovvero di nascondermi dietro i significati dialettali o ancestrali sapendo che nel momento in cui le uso servono [e ne sono consapevole] a dargli un altro significato - quasi sempre offensivo, dispregiativo, discriminatorio, vessatorio dalla quale ogni uomo non di cultura, ma di buon senso, dovrebbe tenersi distante. Di più, è necessario tacitarsi al contrario se alcune espressioni  siamo consapevoli possano essere sdoppiate dal loro significato primigenio per essere consegnate a violente manipolazioni che hanno evidenti ripercussioni negative in danno poi di chi ne è fatto oggetto di discriminazione. Prima di ogni bisogno intimo o di comodo dovremmo sapere soppesare il peso di una parola e le sue conseguenze.

Poi c’è la questione ulteriore di chi le dice talune espressioni a sfondo ed uso razzista, e di chi le pensa e ne tace. Di questi ultimi, di quelli che ho definito razzisti perbene, l’Italia sembra essere abbastanza popolata ad essere onesti. In loro nome, dei loro voti, del  loro consenso per  rimanere al potere, per altri per ritornarci, è ritornato ferreo per esempio il veto di una forza politica al Governo sulla possibile reintroduzione della protezione umanitaria per tutti quei migranti che in sua assenza vedono negarsi la possibilità del rispetto anche di quel principio costituzionale prima richiamato e per questo consegnati a una condizione di vita da negri e non di persone di colore nero e la differenza non è di poco conto, tutt’altro.

In conclusione, per esempio, la Nigrizia, nel senso primigenio e nell’uso corrente che ne fanno ancora i monaci missionari è deturpata e sempre più vilipesa per l’imperizia anche culturale di questo Paese. La Negritudine che è l’insieme dei valori propri della tradizione culturale nera nelle sue diverse affermazioni ed espressioni [cfr. enciclopedia Treccani] è anch’essa messa sotto attacco dall’uso distorto in contesti chiaramente ostili che si può fare di parole come nigri. E questo è un fatto. La negritudine, ed il complesso di valori che rappresenta viene così con grettitudine liquidata e con essa le popolazioni che la rappresentano. Ah, dimenticavo, giusto un secolo fa, per gli americani nella loro farneticante idea della supremazia degli uomini espressa attraverso la Carta delle razze di Buffalo che postulava su una gerarchia policroma dei colori della pelle destinava proprio agli italiani il colore della negritudine. Al primo posto i bianchi anglosassoni, all’ultimo i neri. In mezzo, senza un’identità definita, chiara, anzi a loro dire bastarda, gli italiani ritenuti figli del pregiudizio della goccia nera.

Ecco quanti danni possono fare congetture e pregiudizi, ovvero parlare per ascoltarsi. Ed anche questo è un fatto.

 

                                                                                                                                      

 

 

 

 

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