La riflessione. Terri Boemi: "Il ragazzo con le treccine mi sorride: "Ciao mama". E la mente torna a quello sguardo inumidito dal dolore"

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images La riflessione. Terri Boemi: "Il ragazzo con le treccine mi sorride: "Ciao mama". E la mente torna a quello sguardo inumidito dal dolore"

  27 luglio 2020 17:46

di TERRI BOEMI 

In un pomeriggio qualunque di un’estate particolare, mentre già pregustavo il momento in cui  l’aria fresca della sera avrebbe portato un po’ di ristoro, mio figlio con i modi ruffiani che ogni madre conosce, mi invia un whatsapp chiedendomi se mi andasse  di cucinare una cosa semplice per lui e per D, suo fratello acquisito.

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Vorrei mandarlo a qual paese. Vorrei, appunto.

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Cosi` preparo la mia lasagna vegetariana che, lo so,  fa tanto storcere il muso a quel primogenito rompiscatole, e aspetto.

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I due arrivano alle 22: D., aveva  lavorato fino a tardi e aveva avuto la necessità di una doccia rigenerante. Con le sue treccine colorate, e` una ventata di freschezza e allegria, di cui avevo bisogno.

I due amici si siedono uno di fronte all’altro e, dopo un rapido controllo sulla homepage del social più frequentato al mondo, divorano la cena. Evidentemente gradita.

Osservo il mio giovane ospite. Di lui conosco molto poco. Tasselli sparsi qua e là. Tasselli che, sentivo,  dovevo incastrare. E quel fuori programma poteva essere l’occasione giusta.

Cosi`, quando ormai nei piatti unti non restavano che pochi, desolatissimi  avanzi, azzardo qualche domanda.

  1. si esprime in un inglese perfetto. E i suoi modi sono gentili, estremamente educati. Gli chiedo di descrivermi la sua vita passata, di parlarmi di ciò che ha lasciato  in quei luoghi di disperazione. E di morte.
  2. sorride. Ma i grandi occhi neri tradiscono la sofferenza che quella domanda pettegola aveva fatto riemergere dall’abisso profondo in cui era stata occultata.

Parliamo d’altro giocherellando con le briciole sparse.

I miei quattro piccoli fetenti reclamano attenzione. Io obbedisco volentieri. Lascio i ragazzi ancora seduti attorno alla tavola e scendo di sotto.

Nel silenzio del cortile spazioso, inizio la mia passeggiata. I cani sono stranamente tranquilli, il caldo li aveva spossati.

La mente torna a quello sguardo inumidito dal dolore.

Le uniche cose che conosco della sua vita passata, sono frammenti di una infanzia brutalizzata dalla rabbia e dalla disperazione.

BokoHaram significa letteralmente “l’educazione occidentale e` sacrilega”.

In Nigeria, e solo nel 2011,  e` stata ritenuta responsabile di oltre 450 omicidi.

Philip Zimbardo, uno dei maggiori esponenti di psicologia sociale, con  il suo celebre esperimento carcerario di Stanford, conosciuto come la teoria delle finestre rotte, ha dimostrato che la violenza e il male nell’uomo si palesano la` dove ce n’e` occasione.

A certe latitudini, per esempio, può succedere che una bambina di 10 anni, imbottita di esplosivo, muoia provocando una strage in cui altri bambini come lei o più piccoli di lei, periscano dilaniati dalle schegge. Per converso, alle stesse latitudini, accade anche, che il  Governo autorizzi la costituzione di forze di sicurezza e che i miliziani, assoldati tra la popolazione civile, commettano piu` stragi di quanto non faccia BokoHaram: in  quella situazione cosi` caotica è facile che tutti sospettino di tutti

Un appello lanciato da Amnesty Internazional, che di seguito riporto fedelmente, rende perfettamente l’idea di cosa avvenga laggiu`.

Eccolo:

“Migliaia di donne e ragazze sopravvissute alla brutalita` del gruppo armato Bokoharam sono state successivamente stuprate dai soldati che sostengono di averle liberate. L’esercito nigeriano e la milizia alleata, chiamata Task force civile congiunta (Jtf), hanno separato le donne dai loro mariti confinandole in “campi satellite”. Li`, le hanno costrette a lavorare nei campi e violentate, a volte in cambio di cibo.In migliaia sono morte di fame. Alcune donne si trovano a maggior rischio di abusi perche´ i loro mariti sono stati portati via; automaticamente sospettati di essere combattenti di Boko Haram solo perche´ uomini di una certa eta`”.

Se nasci in Nigeria, o in qualsiasi paese conquistato e depredato  dagli occidentali, la tua vita sarà destinata ad una fine già scritta. Per cambiarla devi imparare a sopravvivere tra  guerre o malattie o tra entrambe le cose. L’unica alternativa è fuggire. Ma mettendo in conto che le probabilità di salvezza  potrebbero  essere minime.

  1. aveva appena 12 anni quando ha visto cadere, uno ad uno, tutti i membri della sua famiglia: torturati, abusati, fatti a pezzi. Non so come sia riuscito a sfuggire alla furia delle bestie. Ma non posso chiederglielo. Non adesso. O forse mai. Cio` che so, e` che D. ha dovuto stringere i denti, ingoiare le lacrime e nascondendosi, patendo la fame, la sete, il caldo, attraversare il deserto della morte, per  arrivare nei lager libici, dove, al pari di altre “cose” dalle sembianze vagamente umane, ha vissuto un nuovo incubo.

Le cicatrici sulle sue braccia sono testimonianza di un orrore che posso appena immaginare e che e` stato riservato a chi ha avuto la sventura di nascere in un posto invece che in un altro.

La passeggiata si e` conclusa. Rientro in casa. Ho quasi vergogna e timore di incontrare nuovamente quegli occhi. Ma si tratta di un pensiero fugace. Presto mi sarei resa conto conto che non ne avevo motivo. D. fa capolino dalla porta che apre sull’ingresso dove stavo ancora trattenendomi intenta a pulire  le zampe dei miei criminali. Deve andare. La stanchezza dell’ennesima fatica quotidiana ora si fa sentire. Ha solo venticinque anni, ma dieci  ore di lavoro stenderebbero perfino Massimo Decimo Meridio.

Il ragazzo con le treccine mi sorride, e dopo qualche istante di esitazione pronuncia due parole, soltanto due: “ciao mama!”

Mi guarda. Lo guardo. Sorrido piena di gratitudine. Lui si rilassa. Temeva, forse, altra reazione. Chiudo a chiave  la porta. Sparecchio e avvio la lavastoviglie. Mi preparo per la notte. Spengo le luci. Allungo  lo sguardo oltre la ringhiera che delimita il balcone. C’è una luna magnifica. La sua luce morbida  avvolge ogni cosa. Le tende di mussola di cotone bianco, solleticate dalla brezza, rigonfiandosi alla base, come danzatori dervisci, sfiorano ritmicamente il pavimento.Riavvolgo il nastro e ascolto nuovamente il suono di quell’ultima frase:” Ciao mama!”. E io,  quasi istintivamente, sussurro 

 “Ciao, ragazzo mio…”.

 

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