di MAURIZIO ALFANO
In linea di principio, ma non per fare un una questione principio. La festa della Repubblica nasce per sancire il passaggio dell’Italia ad una forma di democrazia diretta che si metteva alle spalle la monarchia ed il ventennio fascista con la quale quella monarchia collaborò negli intenti repressivi e razziali. La festa della Repubblica dunque, sancisce uno spartiacque netto, indiscutibile, verso chiunque invochi a se pieni poteri, erediti l’ideologia fascista, ritenendo ancora oggi essere stata la sua massima espressione Benito Mussolini uno statista, e non un dittatore.
La festa della Repubblica i cui principi sedimentano nella sua Carta Costituzionale, sanciscono la sua indivisibilità e divieto di ricostituzione del partito fascista nella direzione contraria quindi di chi parla di secessione, di avere una propria bandiera e moneta, in direzione contraria di chi incita ai confini come forma di difesa preventiva o affondamenti di imbarcazioni umanitarie. Ma come ogni Repubblica sorretta da un alto spirito di riconoscimento delle libertà altrui ha prodotto una forma di democrazia che trattiene a se, come scrisse Noberto Bobbio i suoi paradossi per cui in una giornata come quella di oggi rivendicano di festeggiarla per farne un’operazione mediatica di scontro, mentre si festeggia l’unità, chi ha ancora nel suo programma la secessione, chi ha sputato sul tricolore o chi scimmiotta al disciolto partita fascista come unica forma di Governo possibile.
I paradossi della nostra democrazia scritta ancor prima che dall’inchiostro dei Padri costituenti è stata narrata da vent’anni di dittatura, di milioni di uomini mandati al massacro, impressa su carta dal rosso del sangue dei partigiani di ogni convinzione politica o appartenenza religiosa, etnica, culturale o di orientamento di genere. I sedimenti della Repubblica che ancora oggi consentono la libertà di espressione a chi la dileggia, la incarna in maniera rozza e contraria hanno nelle loro radici la libertà di espressione, di voto, di parola, di manifestazione delle proprie opinioni, messe sotto scacco in alcuni Paesi sovranisti come appena accaduto in Ungheria contesto dalla quale alcune forze politiche italiane non hanno mai preso le distanza, tutt’altro. la festa della Repubblica al contrario però non è proprietà esclusiva di alcuni, soprattutto di quelle forze politiche che in nome di una eredità ideologica rivendicano ancora quella appartenenza mentre sono diventati altro, irriconoscibili nei programmi e negli uomini espressi, concorrendo a generare colpevolmente quella confusione che destra e sinistra alla fine sono la stessa cosa.
La festa della Repubblica incarna, per chi li condivide, alcuni principi indefettibili alla quale non è possibile derogare eppure oggi questi sono sempre più vilipesi, ristretti, o ridefiniti un peso per la democrazia che paradossalmente consente espressioni ed azioni politiche contrarie ad essa stessa. Questi continui colpi di stato allo stato di diritto orditi e messi in atto da alcuni movimenti contrari al presupposto ideale della nascita della Repubblica sono però sorretti da buona parte di un’opinione pubblica che acconsente moralmente alla derubricazione dei diritti universali in nome della singola convenienza. È ora di avere il coraggio di ammettere che da tempo corriamo il rischio di vivere in una Repubblica parallela che conserva talune parvenze di libertà, mentre quest’ultime sono continuamente fatto oggetto di restrizioni, ovvero proclami ed a volte leggi, con colpevole ritardo ritenute poi incostituzionali, che aprono ad un sistema di Governo incarnato da un leader, un capo, e non dalla somma delle sue idee di libertà , di diritti universali di cui esso è mera espressione e non l’incarnazione. La festa della Repubblica dimentica che ha già incorporato in sé li slittamento della liturgia della politica base questa di tutte le dittature che attraverso essa hanno conquistato il potere prima, e massacrato uomini e donne poi.
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