LA SANITA’ PUBBLICA IN CALABRIA: Ricordi del passato e una proposta-manifesto per il futuro.
Continua il “viaggio” di Lino Puzzonia per La Nuova Calabria. nel pianeta della sanità calabrese Un pianeta che purtroppo sembra abitato da zombi cattivi dove, oggi come ieri, se pur la modernità è atterrata con il bagaglio delle tecnologie digitali avanzate, esistono “isole” di resistenze alla programmazione necessaria, pensata ma che si blocca nella sua applicazione reale e sostanziale. Perché il clientelismo blocca le leve che dovrebbero far scattare i meccanismi giusti. Questa terza puntata Lino Puzzonia rievoca tanti ricordi.(en.cos)
di Lino Puzzonia
“Ho già detto che la scelta di fondare tutta la sanità calabrese su una faraonica rete di 41 ospedale fu forse, all’inizio, un tentativo che avrebbe potuto avere un senso stante quelle che erano le caratteristiche delle prestazioni mediche ancora alla fine degli anni settanta e per un buon tratto di quelli ottanta.
In corso d’opera quella scelta si rivelò, però, decisamente intempestiva. A partire dai primi anni novanta infatti la pratica medica e chirurgica aveva subito una straordinaria accelerazione. Nuovi metodi diagnostici, nuovi farmaci e principalmente il perentorio ingresso di una tecnologia sempre più complessa e raffinata stavano mutando drasticamente il contesto.
Trattamenti, spesso in emergenza, che erano per decenni stati effettuati con misure semplici, alla portata di qualsiasi ospedale, diventavano rapidamente pratiche sofisticate richiedenti non solo strumentazioni costose e necessitanti di continua manutenzione ma anche un grado di specializzazione del personale medico, infermieristico e tecnico del tutto particolare.
Vi era dunque la necessità di adeguare la programmazione delle strutture a questo nuovo stato delle cose. I posti letto potevano essere ridotti, perché l’evoluzione medica e chirurgica riduceva i tempi di degenza, ma dovevano essere concentrati in pochi poli di grande qualificazione professionale, strutturale e tecnologica. Ciò non avvenne e furono compiuti degli errori o, se volete, delle grossolane omissioni, principalmente a cavallo del millennio quando tutto il Paese si muoveva di un passo diverso.
Dalla relazione sullo stato sanitario dell’Italia del1999 e poi da quella del 2009 si evidenzia che, in quel decennio, nel centro-Nord si è registrata una riduzione del 50% degli ospedali e del 28% dei posti letto concentrando i servizi appunto in poli di elevata qualificazione. Nel meridione invece gli ospedali sono diminuiti del 23% ed i posti letto del 38%. In Calabria si è toccato il fondo con la diminuzione del 2,6% degli ospedali e del 36% dei posti letto rinunciando così ai poli qualificati e creando degli ospedali sempre più piccoli e sempre meno gestibili sul piano economico-finanziario e operativo.
Fu forse per insipienza? La politica calabrese certo non è mai stata alla ricerca di particolare competenza ma a me pare che la scelta sostanziale fu quella di non abbandonare un accurato sistema di potere che rappresentava una straordinaria macchina elettorale ed il cui equilibrio era funzionale al mantenimento delle posizioni.
La scelta fu quindi quella di utilizzare il sistema sanità come efficiente meccanismo di mediazione del consenso.
Consenso che peraltro avrebbe potuto essere facilmente e virtuosamente ottenuto semplicemente trasformando le piccole strutture ospedaliere in strumenti territoriali che arricchissero le possibilità di diagnosi e cura con prestazioni diagnostiche di livello specialistico erogate vicino alle case della gente e che si affiancassero alle prestazioni di base erogate dalla medicina generale.
Il medico di famiglia e poi quello di continuità assistenziale furono abbandonati al proprio destino senza alcun supporto.
Questo andazzo continuò anche quando la politica, all’inizio del secondo decennio di questo secolo, si decise a dare una prima sforbiciata agli ospedali piccoli, inutili e divenuti finanche pericolosi. Infatti tale decisione, certamente coraggiosa, inspiegabilmente non fu seguita da alcuna riconversione verso struttura territoriali e quegli ospedali furono letteralmente abbandonati e in qualche caso sono stati oggetto di saccheggio. Anche gli ospedali rimasti aperti, d’altra parte, e in qualche situazione non solo quelli zonali, cominciarono a risentire della mancanza di qualificazione specialmente tecnologica e a cominciarono lentamente a decadere.
È da allora che non passa settimana senza che la cronaca regionale non racconti di sindaci, amministratori locali, comitati di cittadini che reclamano la riapertura o il rilancio del loro ospedale così come era. La politica, priva di una qualsiasi idea di sistema, non sta facendo altro che assecondare le manifestazioni, spesso guidate dai consiglieri regionali di riferimento, con il risultato di fare promesse da marinaio o di mettere in atto parziali quanto inutili misure di facciata.
Il quadro complessivo che ne è derivato è mostruoso!
Il territorio praticamente desertificato con l’incapacità anche dei residui ospedalieri zonali di dare qualsiasi risposta anche per la progressiva carenza di personale determinata dal blocco delle assunzioni imposto dal Piano di Rientro e dal commissariamento di cui parleremo più avanti.
Per qualsiasi domanda di salute i cittadini devono dunque ricorrere, con grande disagio, agli ospedali maggiori. Questi, oberati da richieste inappropriate, che avrebbero dovuto essere smaltite dal territorio, cominciano ad arrancare sulle prestazioni qualificate di loro stretta pertinenza. Comincia il fenomeno infinito delle liste d’attesa par qualsiasi prestazione specialistiche e per gli interventi chirurgici d’elezione.
Comincia quindi un nuovo dramma. Chi può va a cercare altrove le prestazioni che fatica ad ottenere in regione.
Si amplifica enormemente il fenomeno della mobilità sanitaria che innesca un nuovo meccanismo di penalizzazione finanziaria di cui parleremo nel prossimo capitalo.
Qui per chiudere con le colpe dei calabresi, dirò soltanto che la mobilità vanifica un risultato del finanziamento pro capite introdotto dalla legge 502/92 che, sia pure molto lentamente, stava riavvicinando il finanziamento calabrese alla media nazionale. Si aggrava ancora di più la situazione finanziaria conducendo fatalmente al Piano di Rientro e al Commissariamento delle cui anomalie diremo.
Credo di aver più o meno finito di illustrare sinteticamente le colpe dei calabresi per l’attuale situazione. In qualche modo l’autoflagellazione è finità. Da qui in avanti parleremo delle colpe degli altri e principalmente dello Stato.”
Lino Puzzonia
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