Di seguito la nota del Consiglio direttivo della Camera penale di Catanzaro.
Il diritto di difesa è inviolabile, come recita l’art. 24 della nostra Costituzione. Tranne che in ipotesi davvero residuali, tale inviolabile diritto non può essere esercitato direttamente dal cittadino, ma pretende di avvalersi di uno strumento, che veicoli le istanze di tutela giurisdizionale ed assicuri il rispetto delle norme, sostanziali e processuali, nell’interesse del privato e, si giurava una volta, “nell’interesse supremo della Nazione”.
Tale strumento è l’Avvocato, che è dunque intermediario tra il singolo e lo Stato, per l’attuazione del giusto processo, l’affermazione dei diritti individuali, la tutela degli interessi collettivi. Tanto che il codice deontologico nazionale ed europeo gli assegnano il compito di assicurare, nel processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio, vigilando altresì sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell’interesse della parte assistita
Ma – era nel giusto Bockenforde – gli Stati liberali secolarizzati vivono nel perenne paradosso della promessa di diritti che non vengono garantiti, perché l’ordinamento tende a tutelarsi mediante il ricorso a schemi repressivi di stampo autoritativo, che offendono le medesime libertà fondamentali sulle quali, invece, si fonda la sua pretesa di liberalismo. Trovare un bilanciamento sostenibile è un’opera assai complessa, che pretende equilibrio da tutte le parti coinvolte. Il Collega Ugo Ledonne del Foro di Cosenza, che ha invitato – peraltro con estremo garbo – il Tribunale di Verona a non rivolgere domande nocive ad un teste, ha esercitato le proprie prerogative difensive, tentando di impedire la formazione di una prova non affidabile nei suoi contenuti, perché raccolta secondo schemi procedimentali non consentiti. Egli, quindi, ha tutelato il diritto di difesa del proprio assistito, del quale è promotore, interprete e custode secondo Legge e regolamenti.
Il PM della Procura di Verona che, di fronte a tale legittima condotta processuale, ha richiesto la trasmissione degli atti al proprio Ufficio, invitando l’Avvocato a “spiegare in Procura” quello che aveva da dire, ha violato – con toni inquisitori del tutto inopportuni – non solo le prerogative difensive dell’Avvocato, ma il diritto di difesa dell’imputato, che in quel momento il legale stava tutelando.
Perché simile veemente scompostezza, viene da chiedersi? La risposta è assai complessa ed incrocia problemi antichi e nuovi del corretto esercizio della giurisdizione. Ci sono aspetti culturali, che fanno sentire il PM, a pieno titolo, “parte” del processo, pronto però ad utilizzare, nel confronto con l’Avvocato, i poteri pubblicistici che questi non ha.
Ci sono aspetti ordinistici, che fanno ricordare al PM di essere pur sempre collega del Giudice, spingendolo a tutelarlo anche oltre le necessità di difesa che egli avverta. Ci sono aspetti ideologici, che inducono il PM a considerare il Difensore alla stregua dell’imputato e, quindi, un transitorio ed assai fastidioso ostacolo tra l’esercizio dell’azione penale e l’esecuzione della pena. Chissà se la separazione delle carriere, se mai avverrà, riuscirà a risolvere almeno qualcuno di questi problemi. Ma, soprattutto, ci sono aspetti politici, metafisici, mistici, che si rifanno alle teorie di Plowden ed alle intuizioni di Kantorowicz.
L’idea che il rappresentante del potere – in questo caso, quello giudiziario – non sia dotato delle sole sue vestigia fisiche e mortali, ma anche di un aspetto immateriale e quasi divino, un “doppio corpo”, dal quale proviene e che legittima la sua autorità. Una caratteristica dalla quale egli pretende di derivare i crismi della ineffabilità, della legibus solutio, ma soprattutto della intangibilità del suo operato da parte degli esseri mortali, che, criticandolo, specie se a ragion veduta, attentano alla sua maestà. Arroccato nella sua dimensione divina, quel PM non ha percepito che l’Avvocato
sollecitava solo il rispetto delle regole, sul cui corretto esercizio si fonda anche la legittimazione del suo potere. All’Avvocato Ugo Ledonne, agli Amici della Camera penale di Cosenza la nostra vicinanza e la nostra solidarietà, nella consapevolezza che nel moderno diritto penale di lotta,
continueremo ad opporre, senza sosta e sempre fedeli alla Toga, una moderna lotta per il diritto.
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