Torna in libreria Daniela Rabia. Lo fa con il suo ultimo romanzo “La stanza del buio”, (Pellegrini editore). Un libro che racconta il legame indissolubile tra una madre, Anna, ed il figlio Luca.
«Con questo ultimo lavoro siamo a 9, tra racconti, romanzi, raccolte poetiche, saggi. Mi sto cimentando in tutti i generi letterari ma indubbiamente il mio cuore è legato al romanzo . Questo “La stanza del buio”, è il quarto romanzo. Parla di vita, di amore tra madre e figlio, di morte. Di vita oltre la morte. Di legami che il tempo non spezza perché indissolubili come scrivo in quarta di copertina”.
Perché il titolo La stanza del buio?
“Forse perché è stato scritto di notte, al buio. O anche perché evoco momenti di buio. Suggestionata da “Buio” la raccolta di racconti con cui Dacia Maraini vinse il premio Strega nel 1999, ho voluto inserire la parola nel mio titolo”.
C’è la Calabria come nei precedenti testi?
“La mia terra c’è sempre. Questa volta avevo omesso di raccontarla perché la mia storia non aveva una precisa collocazione spazio - temporale. Poi una mattina suggestionata da un viaggio a Corigliano Rossano sono rientrata al b&b in cui alloggiavo e non avendo carta per scrivere ho descritto a volo d’uccello alcune tappe calabre su un foglio di scottex.In genere mi porto dietro il pc per narrare quel che mi emoziona ma quella era una due giorni di solo svago. Lì ho cambiato il racconto e ho fatto nascere Luca in Calabria”.
C’è qualcosa che a libro finito hai omesso di raccontare e vorresti dire al lettore?
“No, assolutamente. Col messaggio ai lettori nelle ultime pagine chiudo il testo. Senza pentimenti e dimenticanze. Non avevo davvero altro da dire”.
Quanto di Daniela Rabia c’è nel romanzo?
“Come sempre affermo, tutto e niente. Io sono in ogni personaggio, in ogni luogo, sullo sfondo. Non potrei raccontare qualcosa che non mi appartiene in qualche modo. Ma al contempo sono nelle righe e nelle pagine bianche in cui ogni scrittore, a mio avviso, autorizza il suo lettore a dire la propria. Un po' come faccio io nei libri che leggo. Se resto delusa, cambio finali, aggiungo elementi, che so, resuscito persone, ne faccio morire altre. Faccio rifiorire amori. In fondo cosa se non la lettura, al pari e in maniera complementare alla scrittura, è atto di libertà?E se siamo liberi possiamo anche impugnare una penna, una matita e scrivere quel che ci piace. Sulla nostra copia, ovviamente. Senza interferire col pensiero di chi ha scritto”.
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