di GIOVANNA BERGANTIN
Ormai è da inizio anno che lavoriamo tutti in condizioni insolite, incerte e più difficili, anche se, nonostante tutto, ci sforziamo di mettere tutte le nostre energie nel raccontare le emozioni, per aprire una luce verso il futuro e lanciare lo sguardo su un orizzonte che c’è, nonostante tutto. Basta trovare il coraggio di saper ripartire. Questo cammino avventuroso e insieme bellissimo- così mi distraggo un po’, avrebbe detto il grande Lucio Dalla - ci porta dietro la tradizione dell’arte ceramica, una delle eccellenze di questa Terra, frutto di una sapienza che rischia di andare perduta. Il centro storico dei vasai di Gerocarne oggi conserva, oltre alla storia e alle fornaci, un’aria magica e uno spirito fuori tempo che l’artigiano ceramista Tommaso Papillo spiega con difficoltà a parole, ma che, foggiando l’argilla con maestria, assicura, c’è.
Figlio d’arte, erede di una delle famiglie in cui la lavorazione della creta è una tradizione, è a tutti gli effetti l’ultimo dei giovani a fare questo per mestiere. “Nell’antico rione dei vasai, continuo il lavoro nella bottega dei miei avi e la cosa mi rende particolarmente orgoglioso”, dice. Un risultato della sua tenacia, “si va avanti solo se ci credi e sei spinto dalla passione”, e della sua capacità di resilienza, dote che a queste latitudini pare particolarmente utile, come in ogni posto in cui il passato deve trovare un modo di conciliarsi con il futuro, reso ora particolarmente incerto dalla pandemia. Un bel pezzo di futuro rappresentato dall’antica arte della ceramica, ben conservata in questo angolo di Calabria.
“Nella storica bottega familiare offriamo, in tempi normali, anche la possibilità di laboratori artistici rivolti a studenti in alternanza scuola-lavoro”, racconta Tommaso, “alla fine l’importante è saper trasmettere ai giovani la storia di quest’arte e di questo luogo dove ancora si possono trovare le storiche fornaci”. Un processo di pratiche rituali antiche, quello che porta alla lavorazione del vasellame. Un tempo i forni erano 18 e ognuno serviva almeno 5 o 6 artigiani che provvedevano alla doppia cottura delle terraglie. Oggi i numeri rispetto al passato si sono, drasticamente, molto ridotti. “Il nostro vecchio forno, però, è rimasto attivo nel suggestivo borgo dei vasai, rimesso a nuovo con un progetto dell’Amministrazione comunale. In realtà, con mio padre, che è stato il mio maestro, proseguiamo la produzione con i ritmi lenti d’un tempo e dopo aver bagnato e impastato l’argilla la lavoriamo a mano facendola girare su una ruota azionata a pedale. Ordiniamo i pezzi lavorati in fila su lunghe tavole che trasportiamo sulle spalle per esporli al sole. Quindi, li mettiamo in forno per due cotture. In queste fasi si inserisce anche la decorazione del manufatto e la definizione dei manici”. Le pignatte sistemate al sole diventano parte del paesaggio del borgo e a sera tutta la famiglia, anche le donne, si cura di sistemare le tavole dentro dei ricoveri.
Il vasellame ad asciugare
“Anche se legati alla tradizione, accanto ai modelli tipici, oggi abbiamo inserito qualche novità in produzione, come ‘scalda nduja’ e ’tajine’ per offrire prodotti molto richiesti dai clienti”. Quello svolto dai Papillo è un lavoro antico e sapiente, che non si apprende dai libri, ma scandisce i tempi di un’arte che si tramanda da padre in figlio come una parte di antica quotidianità. E poi, c’è Tommaso, sorridente, determinato e caparbio che ha il coraggio di raccogliere la sfida, dar speranza al vecchio borgo dei vasai per continuare a portare avanti quest’arte nobile e antica.
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